CD ed altre musiche di giugno, di Ferruccio Nuzzo

Pubblicato il 1 Giugno 2023 in , da Ferruccio Nuzzo

Non ho mai ascoltato un tale soprannaturale virtuosismo – unito ad una spontaneità, ad una naturalezza, ad un entusiasmo (aggiungere «sublime» a tutti gli aggettivi che precedono) – animare di una mai udita vitalità e buonumore queste musiche che il geniale forlimpopolese Marco Uccellini, sacerdote e «capo degl’instrumentisti», alla Corte d’Este, scrisse alla fine della prima metà del ‘600 inaugurando la tradizione strumentale del barocco italiano 

Conor Gricmanis ha 28 anni, ma un’aria di adolescente, che la campagna dello Shropshire (in Inghilterra) ha visto nascere, come una mitologica creatura silvestre, imbracciando il violino che le divinità devono avergli affidato, sin dalla nascita, per dare all’umanità gioia e speranza in un mondo migliore. Come definire il suo virtuosismo? Conor non è un Paganini (non riesco ad immaginarlo in un repertorio romantico, ma forse anche lì ci sorprenderebbe …) né il suo agio nell’ascendere sino ai gioiosi vertici di questa musica che anticipa Schmelzer et Biber ha nulla di esibizionistico: giusto la gioia di ascendere e di vibrare libera nella gioia dell’esistere.

La maggior parte delle musiche di Marco Uccellini è andata perduta, ma le Sonate dell’Opus 4 e 5 (quest’ultimo contiene sopratutto delle variazioni su canti tradizionali) rappresentano quanto di più interessante e «nuovo» è stato scritto nel genere all’epoca (Uccellini fu anche lui, e prima di tutto, grande virtuoso, e fu anche il primo ad utilizzare la scordatura, artificio tipico della scuola tedesca). 

Conor suona uno splendido Andrea Amati del 1572. Boian Čičič, il direttore dell’Academy of Ancient Music che è stato professore di Conor, è al suo fianco, assieme a Timothy Roberts al clavicembalo ed all’organo. Il CD è stato prodotto da Matteo Gemolo, flautista e musicologo, che con Conor ed il suo ensemble ‘The WIG Society’ ha registrato The Mannheimer, un programma che presenta un repertorio classico da camera di compositori noti e poco noti, inclusi 5 brani in prima mondiale. Il CD uscirà per Arcana inizio 2024.

Uccellini    

Violin Sonatas, from opp 3 – 5 – Noxwode, Conor Gricmanis: violino e direzione, Boian Čičič: violino, Timothy Roberts: clavicembalo, organo – FHR (66’)

 

 

 

 

 

 

 


Scarlatti   

Les 7 dernières sonates – Hugo Reyne, Les Musiciens du Soleil – HugoVox (56’45)

Tra i tanti tesori  della biblioteca del Conservatorio di Napoli, il volume Manoscritti Ms 34-39 «Concerti di flauto, violini violetta e basso di diversi autori», assieme alle musiche di Francesco Mancini, di Domenico Sarri, di Roberto Valentini e di un’altra mezza dozzina di autori napoletani meno noti, raccoglie sette Sonate  della mano di Alessandro Scarlatti, l’«Orfeo italiano», considerato come il fondatore della Scuola napoletana di musica d’opera.

Hugo Reyne, flautista, oboista e direttore (già della Symphonie du Marais, qui dell’ensemble Les Musiciens du Soleil) ha avuto l’idea di considerare l’insieme delle Sette Sonate dell’ormai vecchio compositore, come un ciclo concepito alla maniera delle Sonate del Rosario, associandole alle sette ultime parole di Cristo sulla croce, le Septem Verba a Christo in Cruce prolata che hanno esplicitamente e gloriosamente ispirato la musica di Pergolesi e di Haydn. Anche se non si può certo trovare in tutti i movimenti – sopratutto gli Allegro – la tensione austeramente drammatica del testo, Hugo Reyne, che lo declama egli stesso ad introduzione, è convinto della «sicura emozione che  queste parole – associate al complesso contrappunto del dialogo tra il flauto a becco ed i due violini, accompagnati dal basso continuo – provocano sul pubblico». Senza star qui a dissertare sulla legittimità filologica dell’iniziativa, non si può non ammirare l’appassionato impegno dei Musiciens du Soleil e del loro direttore-solista, e l’eleganza dell’interpretazione, registrata in concerto nella chiesa del castello d’Olonne in occasione del festival Hugo Reyne dello scorso anno.

Quatuor Akos    

Erdödy, Joseph Haydn String Quartets op.76NoMadMusic (68’24 + 63’47)

Astro montante della giovane generazione, il Quartetto Akos, laureato della «13th International Mozart Competition» esordisce nel panorama discografico con questo album di due CD dedicati  ai Quartetti per archi dell’op.76 che Franz Joseph Haydn, nume tutelare del genere, dedicò ad uno dei suoi protettori, il conte Erdödy, e che da lui presero nome. Una splendida testimonianza del giovanile entusiasmo di un ensemble che associa la raffina pratica dell’esecuzione su strumenti d’epoca (una particolare cura è dedicata agli archetti, classici o moderni, sempre coerenti all’epoca di composizione delle musiche eseguite) ad una appassionata comprensione della profondità lirica di una musica che è qui come un annuncio dell’approssimarsi dell’era beethoveniana.

I Quartetti dell’op.76 sono, infatti, tra le opere da camera più ambiziose di Haydn, marcando la differenza dalle analoghe composizioni che li hanno preceduti per una sempre maggior libertà dai rigori della forma sonata. La continuità tematica è sottolineata dallo scambio quasi ininterrotto dei motivi tra gli strumenti e dall’introduzione di forme inabituali nel Quartetto, come come Canone e la Fantasia (il secondo movimento, Poco adagio – Cantabile del Quartetto n.3, «L’Imperatore» annuncia quello che diventerà più tardi «Deutschland, Deutschland über alles» l’inno nazionale della Germania).

Esemplare, per la ricchezza timbrica e l’intimità dello spazio sonoro, la registrazione.

Mozart    

Il mio tesoro – Franck Masquelier & Marc Grauwels: flauti – Indesens Calliope (56’49)

Un delizioso divertimento per due flauti virtuosi che giocano, si provocano, si cercano, si inseguono, si fuggono sulle aeree, alate, piccanti, inebrianti melodie di arie e duetti dalle più celebri opere di Wolfgang Amadeus: Don Giovanni, Il flauto magico e Le nozze di Figaro.

Si sente, sopratutto, il piacere che i due solisti virtuosi provano in questa innocente ed incruenta schermaglia, realizzata a partire da arrangiamenti dell’epoca di Mozart, o di poco posteriori, per l’ensemble di due flauti, molto alla moda al XVIII secolo. Le partiture originali attribuiscono a Mozart stesso alcune  di queste trascrizioni, ma si tratta certamente di un abuso a puri fini commerciali (si conosce con sicurezza soltanto l’autore di quella del Duo K.156, all’origine una Sonata per violino e pianoforte: Wilhelm Barge, virtuoso tedesco della fine dell’800).

Sulla copertina del CD, Franck Masquelier e Marc Grauwels incrociano il loro strumenti come se fossero due spade. «Si può effettivamente pensare che questo dialogo musicale potrebbe concludersi in duello – hanno dichiarato gli interpreti – Ma quando si ascoltano queste arie meravigliose, L’ho perduta, me meschina dalle Nozze di Figaro o Ach, ich fühl’s, es ist verschwunden dal Flauto magico, è evidente «l’osmosi rasserenante» di questa musica.

Mendelssohn    

Symphony n.4 «Italian», Symphony n.5 «Réformation» – Les Ambassadeurs, La Grande Écurie, Alexis Kossenko – Aparté (59’)

È da qualche tempo che non vi parlavo di Alexis Kossenko , lo straordinario flautista e direttore d’orchestra, e delle sue entusiasmanti registrazioni dei capolavori della musica barocca – ed ecco che, con una Sinfonia n.4 «Italiana» brillante, vibrante e piena di buon umore – egli inaugura l’impresa della registrazione delle opere orchestrali di Felix Mendelssohn Bartholdy mettendo una cura particolare non soltanto nell’uso degli strumenti d’epoca, nelle proporzioni degli organici e nella disposizione dell’orchestra – formata dagli effettivi degli Ambassadeurs e de La Grande Écurie riuniti -, ma interessandosi in particolar modo alle versioni meno frequentate in disco ed in concerto (Mendelssohn, che era un grande insoddisfatto, apporterà nel 1834 numerose modificazioni al secondo, terzo ed ultimo movimento della sinfonia – che egli aveva scritto a soli 20 anni -, modificazioni delle quali Alexis ha tenuto conto per questa registrazione).

La Sinfonia n.5 «Riforma» completa il programma di questo entusiasmante CD, dedicato ad Emmanuel Krivine con cui Alexis aveva suonato queste composizioni in tanto che primo flauto della Chambre Philharmonique.

Paul Arma    

Chants du Silence – Thomas Taquet: pianoforte, Anne-Lise Polchlopek: mezzo-soprano – Hortus (73’53)

Chi era Paul Arma (Imre Weisshaus, nato a Budapest nel 1904, poi naturalizzato francese)? Difficile dare una risposta in questo breve spazio, se non giusto elencando le principali attività di questo artista «… universale e multiforme, in perpetua ricerca dell’unita artistica, mediatore infaticabile tra il visuale, il tattile, l’acustico … », come lo definì il musicologo Daniel Paquette. Non conoscevo Paul Arma – a dire il vero, ed ingiustamente, la sua musica non è molto presente nel repertorio discografico né in concerto – e devo (dobbiamo) una grande riconoscenza à Hortus che ha pubblicato un interessantissimo CD dedicato ai Canti del Silenzio. In prima registrazione mondiale questa raccolta di composizioni per pianoforte solo e voce di mezzo-soprano dell’allievo di Béla Bartók, che fu anche disegnatore, scultore ed amico dei più grandi artisti del suo tempo (Matisse, Dufy, Braque, Chagall, Picasso illustrarono le edizioni di questi suoi Chants) è  centrata sugli anni della resistenza e dell’impegno militante del compositore e mette in musica testi di Paul Claudel, Paul Eluard, Romain Rolland …

Il minimalismo di Thomas Tacquet è impregnato di una convinzione quasi viscerale che si articola ed amplifica in un reticolato di tensioni ritmiche. Anne-Lise Polchlopek è estremamente efficace e credibile nel rendere l’impegno del Kampflied, la canzone militante ispirata al cabaret berlinese degli anni ’30.

Body and Soul   

Baptiste Trotignon: pianoforte – Paradis Improvisé (52’28)

Il jazz non è certo la mia specialità. Non ne so nulla di riffs indie rock né di malinconiche ballate drill, ma ogni tanto, quando mi sento dell’umore giusto, faccio un’escursione in questo mondo così ricco ed in continua evoluzione ma pur sempre legato alle sue radici, remote o recenti che siano. E posso, quindi, segnalarvi tre CD, recentemente pubblicati e diversamente interessanti. Due pianisti, per cominciare. 

A  48 anni, e con una folta la carriera discografica, Baptiste Trotignon ha da tempo confermato la sua reputazione di pianista, e Body and Soul non è certo il suo primo exploit come solista. La totale libertà che gli è stata offerta dal suo label, Paradis Improvisé, gli ha permesso la scelta di un programma di dieci standards, dieci perle che illustrano la sua passione, illuminate da un’anima di pianista jazz.

A Trip in Marseille    

Laurent Coulondre: pianoforte – Paradis Improvisé (40’14)

A 34 anni Laurent Coulondre è già da una decina d’anni una delle stelle più luminose del firmamento del jazz internazionale. Pianista ma anche organista, tastierista, arrangiatore, compositore, a suo agio nel repertorio (jazz) «classico» come nel latino o funk, sia all’organo Hammond che al pianoforte da concerto, Laurent ha già raccolto tutti gli onori. Nel nuovo studio di registrazione installato nell’atmosfera calorosa di un appartamento a Marsiglia, Laurent, in perfetta simbiosi, con il suo Steinway ha registrato in una sola giornata gli otto brani del programma del cd in cui il «latino» si alterna alle atmosfere che evocano Bill Evans o Chick Corea ed i ritmi di una salsa impregnata di esotismi Cubani introducono gli omaggi al grande Michel Petrucciani con Petite Louise e Michel on my mind.

 

No(w) Beauty   

Enzo Carniel, Hermon Mehari, Stéphane Adsuar, Damien Varaillon – Menace/Sense (48’)

No(w) Beauty (un gioco di parole che sta a significare che La bellezza è adesso o mai più) è il titolo di questo intenso cd, un programma che immediatamente affascina e cattura, ed anche il nome del giovane gruppo che si è formato, in una sorprendente osmosi, attorno al trombettista Hermon Mehari, di origine americana ma ormai residente a Parigi. Tuttavia, anche se Hermon è certamente un leader, l’ensemble – Enzo Carniel al pianoforte, Stéphane Adsuar alla batteria e Damien Varaillon al contrabbasso – è talmente animato dagli echi di una stessa energia nel magico crogiolo del «suonare insieme», che è difficile identificarne il vertice. «Questa alchimia era là, sin dalla prima volta che abbiamo suonato insieme – ha detto Hermon Mehari – ed è su questa base, incredibilmente ricca, che abbiamo potuto sviluppare il nostro suono».