Il grave atto terroristico a Berlino del 19 dicembre ha colto di sorpresa la Germania, anche se da tempo era in allerta. È un altro colpo al senso di sicurezza dei Tedeschi che si ripercuote inevitabilmente sul governo già preoccupato per la tenuta dell’equilibrio politico e minacciato da mesi dalla crescita della nuova forza di destra xenofoba (Alternative für Deutschland). Questa conta sui Tedeschi che si sentono insicuri al proprio interno, isolati e spesso irritati verso i partner europei. A ciò si aggiunga l’imprevedibilità del comportamento di Donald Trump in coincidenza con l’inarrestabile, crescente e vincente attivismo di Vladimir Putin. L’equilibrio interno ed esterno, su cui la Germania ha costruito e messo in sicurezza la sua potenza economica e la sua vera o presunta egemonia, è inaspettatamente scosso.
Per avventurarsi “nel campo minato del 2017” (Donald Tusk) molti Tedeschi intendono ancora affidarsi alla cancelliera Angeka Merkel, unica “sopravvissuta” della stagione che ha visto protagonisti i Cameron, gli Hollande, gli Obama (e si parva licet Renzi). Angela Merkel è una garanzia di ferma e pragmatica capacità di reazione alla nuova congiuntura o segnala semplicemente una mancanza di alternative? Ma proprio uno dei suoi motti preferiti ” non abbiamo alternative” potrebbe rivoltarsi contro di lei. Nell’opinione pubblica si sta insinuando il dubbio se le doti di tenacia nel mantenimento dello status quo, che hanno fatto della Merkel la figura-chiave dell’Europa, non abbiano raggiunto i loro limiti dinanzi alle nuove sfide.
In realtà il 2017 sembra ipotizzare o promettere soluzioni “alternative” sulle questioni scottanti, non risolte, ereditate dagli anni precedenti: il fenomeno migratorio e i suoi contraccolpi socio-culturali. l”incontrollabilità del terrorismo e la psicosi che ne discende, la riproposizione della questione della “identità” e “sovranità” tedesca, la virtuale disgregazione dell’Unione europea (Jean- Claude Juncker non ha esitato a parlare di “crisi esistenziale”).
Il populismo di cui si parla in Europa è l’humus culturale dell’interna congiuntura ma anche un modo di immaginare come affrontarla. In realtà sotto la dizione generica di populismo ci sono approcci molto diversi, al di là di un comune aggressivo atteggiamento anti-establishment e anti-migrazione. Ha poco senso mettere sullo stesso piano il neo-nazionalismo del lepenismo, il movimentismo Cinquestelle e l’Alternative für Deutschland (AfD).
In Germania, Angela Merkel ha seri motivi per essere preoccupata del possibile successo elettorale della AfD nelle elezioni generali del settembre 2017. Esse altererebbero l’intero sistema politico generale. È in gioco infatti l’equilibrio tradizionale, basato sulla competizione e complementarietà dei due Volksparteien (CDU/CSU e SPD) che hanno retto la Bundesrepublik dalla sua fondazione. Dietro la minaccia di una nuova destra “estrema” c’è il pericolo insidioso di una ridefinizione del concetto di “centro” e del Volk tedesco. Il successo elettorale della AfD lo si deve non solo ai voti sottratti alle formazioni estremistiche di destra, neonaziste e alla stessa Linke ma all’adesione di ex-elettori della CDU/CSU oltre che della SPD. Con un’immagine banale ma efficace l’ AfD è chiamata “un partito aspirapolvere” degli scontenti di tutti i partiti. Ma la presidentessa del partito Frauke Petry ripete: “Dove siamo noi, lì c’è il centro”. Forse qui si potrebbe applicare l’espressione “estremismo di centro” che venne usata in altre circostanze anche in Italia. Insomma l’ambizione della AfD è di presentarsi come Volkspartei, nel momento in cui i tradizionali grandi “partiti popolari ” democristiani e socialdemocratico sono in evidente calo.
Se il successo della AfD dipendesse esclusivamente dalla disapprovazione di parte della popolazione alla politica dell’accoglienza inaugurata nell’autunno /inverno 2015, la cancelliera ha davanti a sé parecchi mesi per riguadagnare consenso. Sta infatti già implementando misure restrittive per nuovi ingressi e di espulsione degli illegali. Ma l’ansia generata dal terrorismo drammatizza ulteriormente gli altri aspetti del problema: la difficoltà di far accettare a tutti i paesi dell’Unione i criteri della redistribuzione degli aventi diritto, i gravosi accordi con la Turchia, resi più ambigui dalla regressione antidemocratica del regime di Erdogan. Anche l’ ambiziosa prospettiva di grandi investimenti e assistenza alle regioni dell’Africa, da cui fuggono i disperati che puntano sull’Europa, difficilmente vincerà lo scetticismo circa la sua realizzabilità a fronte della miserabile situazione europea. Angela Merkel non si sarebbe mai aspettata di doversi confrontare con questa situazione. Ma dovrà farlo. Altrimenti vincerà “l ‘alternativa”.
È difficile prevedere se tutto questo avrà dei contraccolpi anche sull’atteggiamento tedesco verso l’Unione europea. Se prevarrà la linea di un tenace mantenimento dell’attuale status quo, con uno stretto controllo dei posti-chiave istituzionali. O se si farà sentire la voglia di un Sonderweg (di una “via speciale tedesca”) a fronte di un’Europa paralizzata. Il severo europeista Schaeuble ha evocato l’idea dei primi anni novanta di una Kerneuropa (“nucleo duro europeo”) accanto ad appartenenze meno impegnative. Come dimenticare – del resto – che l’idea di due Europe, con due euro (nord e sud) venne enunciata proprio dalla AfD prima maniera? Si tratta solo di minacce, di esercitazioni più o meno accademiche?
Non meno problematica è la sfida internazionale. Non è ancora chiaro quale sarà l’atteggiamento di Donald Trump verso l’Unione europea. Sicuramente non sembra avere una particolare comprensione per l’Europa, nel doppio senso di volerla capire nella sua complessità e di simpatizzare con le sue scelte. La battuta che per lui in Europa conta soltanto la NATO forse è soltanto una malignità. Ma a questo punto diventa specularmente decisivo l’atteggiamento verso la Russia di Putin. La crisi ucraina ha rivelato tra Russia e Germania un confronto/scontro moderato e moderatore, un’ attenzione reciproca ai propri interessi economici ed energetici, ma anche posizioni di principio e di appartenenza di campo che ha sollevato non poche perplessità. Forse è un gioco geopolitico e geoeconomico difficilmente ripetibile con la nuova Casa Bianca. Sarà un’altra prova delle capacità diplomatiche di Angela Merkel.
di Gian Enrico Rusconi è professore emerito di Scienze politiche presso l’Università di Torino per ISPI