Con l’arrivo dell’estate la maggior parte di noi si prepara a fare le valigie per andare a rilassarsi o a esplorare mete esotiche. Chi ormai non condivide gli scatti più belli sui social media? Facebook, Instagram e Twitter sono diventati, al pari delle vecchie diapositive, album di ricordi da condividere con i nostri amici digitali. Questo non vale solo per gli splendidi paesaggi e monumenti che il nostro Pianeta ci regala, ma anche per la fauna selvatica. Foto e video di animali in natura sono noti per aumentare la nostra popolarità tra i nostri contatti, e uno dei maggiori prodotti dell’era dei social media sono proprio i “wildlide selfie”. Si tratta di autoscatti fatti in prossimità di animali selvatici in modo che questi siano presenti all’interno dell’inquadratura insieme all’autore. Di certo questo non è un fenomeno nato con i social media, le immagini con animali selvatici esistono dai tempi dell’invenzione della fotografia, quello che è cambiato sono la frequenza di essi e i modi in cui vengono scattati.
Se la maggior parte di noi sapesse della sofferenza che gli animali selvatici sopportano per regalarci uno scatto, di certo metterebbe via telefoni e macchine fotografiche. Pensiamo, per esempio, ai bradipi sudamericani e alla loro popolarità sempre più crescente sui social grazie a foto ritraenti persone che li portano in braccio. Questi animali sono stati prelevanti da uomini senza scrupoli dai loro habitat naturali, solitamente silenziosi, e costretti a vivere in gabbie o ambienti rumorosi e caotici, tirati fuori per l’occasione e pronti a passare ripetutamente tra le braccia di turisti desiderosi più di condividere un scatto quasi unico che di conoscere i segreti della vita di animali così lontani dalla quotidianità urbana cui siamo abituati.
Il desiderio di un scatto sempre più unico e particolare ha creato un’industria del turismo animale, pericolosa e angosciante per tutti gli esemplari selvatici. L’ecoturismo gestito in modo irresponsabile sta mettendo a repentaglio la conservazione di alcune popolazioni di specie, spesso anche a rischio estinzione, tramite la rimozione di individui, innescando cambiamenti nella loro alimentazione o nel loro comportamento riproduttivo, causando stress e aumento di malattie e bracconaggio. Tra gli esempi a mio parere più rappresentativi di questo fenomeno turistico ci sono i templi (che di sacro hanno ben poco) delle tigri thailandesi. Qui i turisti pagano il prezzo del biglietto per entrare a farsi foto sdraiati accanto o abbracciati a individui dalla forma fisica al limite, per la maggior parte del tempo drogati e costretti a mettersi in posa per le foto e tenuti a bada anche con bastoni. Tali comportamenti sono testimoniati da scandalizzati turisti più responsabili su siti aggregatori di recensioni come Tripadvisor. In queste situazioni non illudiamoci che un nostro scatto al volo possa non essere dannoso: qualsiasi forma di interazione tiene in piedi queste attività, e l’unica cosa da fare è girare i tacchi e andarsene.
Purtroppo queste cose non avvengono solo dall’altra parte del mondo. Proprio il 20 luglio a Ginosa Marina (TA) una tartaruga marina Caretta caretta (ndr: specie a rischio d’estinzione) è stata braccata e circondata da una moltitudine di bagnanti bramosi dell’idea di poter fare un selfie o di interagire con lei. La povera Caretta probabilmente si trovata lì in quanto ferita o in attesa di deporre. Le condizioni di stress arrecatole dai bagnanti potrebbero essere state fatali sia per lei che per le sue eventuali uova.
Cerchiamo quindi di non farci ingannare e di comportarci da turisti responsabili. Per molti approfittatori gli animali sono solo fonte di reddito e, soprattutto all’estero, quello dei wildlife selfie è un business gestito anche da bande criminali attive anche nel bracconaggio. Non finanziare questo meccanismo, assicurati che i tuoi wildlife selfie siano liberi da crudeltà. La World Animal Protection, associazione attiva in tutto il mondo nella protezione degli animali, sulla scia di miliardi di immagini sullo stampo di quelle di cui abbiamo appena parlato, dopo un’accurata ricerca sui media ha portato alla creazione di un “Wildlife Selfie Code”. Questo codice incoraggia tutti gli ecoturisti responsabili a impegnarsi in un modo più corretto di fotografare e interagire con gli animali selvatici:
Non scattare un wildlife selfie se: gli animali sono tenuti in mano, abbracciati o incatenati, se per attirare gli animali si ha bisogno di usare del cibo come esca o se smani per abbracciarli.
Si può scattare un wildlife selfie se: si è a una distanza ragionevole dall’animale, se l’animale si trova nel suo habitat naturale, libero di muoversi e non in cattività.
Insomma, rispettare l’ambiente e i suoi abitanti è possibile anche senza rinunciare all’ambito bottino di foto per amici e parenti, buone eco-vacanze a tutti i grey panthers!