Nel 2009, sulla rivista scientifica “Ecology and Society”, un gruppo di scienziati internazionali (qui l’articolo in inglese) segnalò quelli che secondo loro erano i maggiori problemi che l’uomo avrebbe dovuto affrontare per continuare a vivere sul pianeta. Il loro elenco comprendeva: il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, la riduzione dello strato di ozono atmosferico, le variazioni dei cicli naturali degli elementi principali (azoto e fosforo), il consumo di acqua dolce, il cambiamento del sistema terreste e la perdita di biodiversità. A questo elenco, per cui gli scienziati riuscirono a fissare una stima quantitativa dei limiti da non dover superare, hanno aggiunto anche l’inquinamento chimico e il carico di aerosol atmosferico, di cui ancora non erano in grado di fornire una predizione.
Stabilendo dei limiti quantitativi da non dover superare, il gruppo di scienziati ha cercato di fornire un aiuto ai Governi di tutto il mondo per ripensare a politiche, azione e investimenti volti a portare avanti un cambiamento dal modello socio-economico a cui siamo abituati, basato principalmente su un sistema di produzione intensivo e su un’economia basata sul petrolio, verso un nuovo modello virtuoso che fonda le sue basi su principi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il nostro recente Ministero della Transizione Ecologica (MiTE) è nato proprio da tali presupposti. Infatti, oltre a mantenere tutte le funzioni del ‘vecchio’ Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il nuovo Ministero opera anche nel complesso sistema della transizione ecologica ed energetica, attraverso il rinnovamento delle infrastrutture per supportare uno sviluppo più green. L’obiettivo è quello di mettere in atto un insieme di azioni, investimenti e politiche ambientali e di sviluppo volte a favorire il cambiamento di cui sopra. Alcuni dei punti chiave di questa transizione stabiliti dal MiTE sono:
- Fonti rinnovabili: in accordo con il nuovo PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), l’obiettivo è quello di arrivare entro il 2030 al 55% di energia prodotta da fonti rinnovabili. Questo sarà possibile solo con un aumento degli investimenti verso questo tipo di forme di produzione energetica, maggiormente rispettose del pianeta ma necessitanti specifiche infrastrutture tecnologiche. Non è un caso che molti dei fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, noto anche come Recovey Plan) saranno destinati proprio allo sviluppo di fonti di energia sostenibile (per approfondire, maggiori informazioni sul sito ufficiale governativo del PNRR)
- Mobilità più green: il settore dei trasporti sia pubblico sia privato continua a essere tra i più inquinanti per l’atmosfera (qui un nostro recente articolo). L’obiettivo è quello di convertire questo settore incentivando i consumatori a scelte più green, come i veicoli elettrici, aumentando tutte le infrastrutture (colonnine per la ricarica sia in contesti pubblici che privati, rete di distribuzione elettrica, la progettazione per l’implementazione di questa tecnologia…) a essi connesse
- Agricoltura sostenibile: si punta a ridurre l’uso dei pesticidi e di aumentare invece l’impiego di tecniche di agricoltura biologica. Si cercherà anche di ridurre il sistema degli allevamenti intensivi per ridurre le loro emissioni inquinanti (per approfondire qui).
- Economia circolare: si cercherà di potenziare le reti di raccolta differenziata e gli impianti di trattamento e riciclo dei materiali al fine di cercare di rendere l’economia in grado di rigenerarsi da sola. Questo sarà possibile non guardando più i rifiuti come spreco ma come un nuovo punto di partenza.
- Incentivi per l’efficienza energetica degli edifici: il PNRR prevede non solo di migliorare la classe energetica di molti edifici, a anche di costruire impianti o connessioni per il recupero del calore di scarto. In questo modo non solo si riducono le emissioni ma si migliora anche la qualità del decoro urbano.
Tutti i Paesi del mondo sono impegnati nel mettere in atto questa transizione: l’unico modo per ottenere dei veri risultati è quello di impegnarci tutti nel ripensare la società in cui viviamo. La transizione deve partire da cambiamenti nello stile di vita delle singole persone per avere poi un effetto su scala più ampia. Se infatti è decisivo che spinte, incentivi e investimenti arrivino dai nostri Governi, è altresì fondamentale che ognuno di noi, a livello personale, ripensi le modalità in cui utilizza energia, mezzi di trasporto e risorse in un’ottica maggiormente sostenibile.
Proprio in un’ottica di impegno individuale e collettivo allo stesso tempo, è di recente pubblicazione “Affrontare la complessità – per governare la transizione ecologica”, in cui il Prof. Federico M. Butera, noto ricercatore e divulgatore scientifico nel settore dell’uso razionale dell’energia e delle fonti rinnovabili, approfondisce questi temi cercando di fornire un quadro più completo del forte intreccio tra ambiente, economia e società. Partendo dalla premessa che l’impatto dell’attività umana sul pianeta ha raggiunto livelli senza precedenti nel mondo in cui viviamo, questo libro ci aiuta ad approfondire le dinamiche di interconnessione che regolano ogni aspetto della nostra contemporaneità, sia sociale che ambientale, permettendoci di comprendere meglio come tutto sia legato e come solo capendo e ripensando queste interconnessioni in maniera sostenibile saremo in grado di raddrizzare l’allarmante rotta su cui il pianeta sembra indirizzato.