Una pennellata “green” o una bella risciacquata di colore verde. Chiamala come vuoi, fatto sta che va molto di moda tra le aziende e cavalca il boom dei prodotti sostenibili e della comunicazione che lo spinge. Ma sotto la mano di vernice ci sono dei reali contenuti “verdi”? Non sempre. Anzi, “la comunicazione è a rischio mistificazione”, accusa una ricerca promossa da greenbean, agenzia italiana di brand communication dedicata alla sostenibilità, sulle campagne di comunicazione realizzate negli ultimi due anni e tese a posizionare un marchio/prodotto come “green”. Nel dettaglio, tra le 83 marche che hanno pianificato pubblicità proponendo come messaggio principale la sostenibilità, 53 – ossia il 63% – sono quelle bocciate da greenbean come evidenti casi di greenwashing. “Quando si parla di prodotti verdi, il consumatore cerca informazioni che possano aiutarlo a decidere: sì dunque alla trasparenza, alla verificabilità e soprattutto alla credibilità dei messaggi – dice a e-gazette Alessio Alberini, cofondatore di greenbean. – Solo informando in modo corretto sulle proprie performance ambientali le aziende possono infatti ispirare fiducia al consumatore, aiutandolo a scegliere: è un modo anche per contribuire a costruire un mercato di prodotti realmente sostenibili”. Ma quali sono gli errori in cui incorrono i responsabili marketing italiani quando tentano di sedurre il consumatore proponendo un prodotto o una marca “green”? Il più comune, risponde la ricerca, è evidenziare una singola caratteristica ritenendola sufficiente per classificare come sostenibile il prodotto, ignorando altri aspetti più importanti. Molto diffuso anche il fornire dati e informazioni presentandoli come certificati… da se stessi, senza l’intervento di una terza parte indipendente che garantisca procedure e veridicità. E talvolta, addirittura, sono apposte finte eco label sull’annuncio o sulla confezione.
(Fonte: e-gazzette.it, testo di Matteo Cislaghi)