Nei giorni scorsi è stato presentato a Roma il rapporto sugli OGM “The Gmo emperor has no clothes. A global citizens report on the state of GMOs – False promises, failed technologies” (L’impero degli Ogm è nudo. Un rapporto globale sullo stato degli Ogm – false promesse, fallaci tecnologie”) che raccoglie e sintetizza una grande quantità di dati, ricerche ed esperienze sul campo condotte a vario livello da scienziati, associazioni e comunità locali. I contributi raccolti nel rapporto, scritti da scienziati e non solo, smantellano le argomentazioni riportate generalmente da chi si dichiara a favore degli OGM in agricoltura, a partire dalla supposizione che la loro coltivazione permetterebbe di risolvere il problema della fame nel mondo, aumentando la produttività e rendendo i sistemi agricoli più sostenibili. Eppure dopo quasi vent’anni di esperienza pratica, le promesse iniziali non sembrano mantenute: il bilancio generale appare negativo e nel complesso gli OGM sembrano più pensati come strumento di profitto che per risolvere la denutrizione nei Paesi poveri. Perché, infatti, non sono state sviluppate varietà resistenti alle infestanti invece che agli erbicidi? Perché non sono state diffuse varietà capaci di crescere in condizioni di siccità o di fissare l’azoto libero del terreno? Invece, non solo sono state immesse in commercio piante modificate per due soli tratti (tolleranza agli erbicidi e resistenza agli insetti), ma a ben guardare le rese delle coltivazioni non sono aumentate a seguito della loro introduzione. Questo senza considerare che nella maggior parte dei casi si impiegano i prodotti GM per produrre mangimi animali o fungere da agrocarburanti, non per sfamare direttamente le persone. Dal canto loro gli OGM non sarebbero in grado di risolvere questo problema, non solo perché non aumentano la resa di prodotto agricolo, ma perché si tratta di una tecnologia piuttosto cara per gli agricoltori – sia per i brevetti legati alle sementi, sia per i prodotti chimici di cui hanno bisogno per crescere.
Bisogna poi considerare le conseguenze di queste colture sia sull’ambiente che sui sistemi sociali in cui vengono introdotte. L’aumento dei profitti per i coltivatori molto spesso non si verifica, sia per via dei costi dei brevetti che vigono sulle sementi, sia per via della quantità crescente di prodotti chimici che devono essere impiegati nelle colture GM nel corso degli anni.
Ancora poco chiari sono, infine, gli effetti sulla salute del consumo di alimenti geneticamente modificati. Nella maggior parte dei Paesi, i sistemi di controllo e di approvazione pubblici si basano su analisi e valutazioni fornite dalle stesse ditte che producono e commercializzano le sementi GM, nonostante ormai siano diversi gli studi ad aver messo in luce alterazioni metaboliche ed effetti teratogeni (sviluppo anormale di alcune regioni del feto) in animali nutriti con mangimi derivati da OGM. In aggiunta a tutto ciò, sementi e piante GM aprono il mercato produttivo alimentare al sistema dei brevetti e della proprietà intellettuale, che si traduce in profitto per chi detiene i brevetti (le multinazionali) e in debiti per chi è costretto a pagarne le royalties (gli agricoltori).