Nonostante le mie scarse conoscenze in economia, da qualche anno sto cercando di capire qualcosa dei meccanismi che determinano il prezzo del petrolio, e di quello che questo prezzo significa per la nostra vita. Una ventina di anni fa avevo partecipato a un corso sull’economia del petrolio, ed ero rimasta abbastanza perplessa quando il docente aveva concluso che “non è possibile prevedere il prezzo del petrolio”. La sua affermazione mi aveva un po’ indispettita, perché mi aspettavo che un esperto potesse dire qualcosa di più. Ma ho poi capito che è proprio così. Chi ne sa un po’ di più di economia, infatti, direbbe che ovviamente il prezzo del petrolio è determinato dalle leggi della finanza, come succede per tutti i beni quotati in Borsa. La mia perplessità derivava e deriva dal fatto che può essere più o meno facile – e costoso – estrarre il petrolio. Mi sono sempre domandata quindi come il prezzo finale possa essere lo stesso, o quasi, indipendentemente dai costi diversi che devono essere affrontati per estrarlo. Per tentare di capirci un po’ di più, seguo un sito tra i tanti che ne parlano e consiglierei anche “Our Finite World”, il blog gestito da una Pantera Grigia come noi, che a mio parere offre dati e punti di vista molto interessanti.
Ma prima di tutto capiamo meglio di cosa si parla. E’ bene precisare che quando si dice “petrolio grezzo” (Crude Oil in inglese) si intende un prodotto naturale – ebbene sì, si trova in natura – formato da materia organica antica, come per esempio plankton e alghe, che è stata nei secoli sottoposta a temperatura e pressione elevate. Il petrolio è la materia prima (commodity) più richiesta al mondo, perché da essa si ricavano moltissimi prodotti. La figura dell’”Albero del Petrolio” mostra in forma grafica tutto ciò che si può ricavare dal petrolio grezzo, come ad esempio: carburanti, combustibili, lubrificanti, cere, le molecole da cui si ricava la plastica, medicinali, e così via.
Il prezzo quindi, come per tutte le materie prime quotate in borsa, è influenzato soprattutto dall’offerta e dalla domanda. Quindi se le imprese lavorano molto e producono molto petrolio, il prezzo può scendere; mentre se aumentano le richieste, il prezzo salirà almeno fino a quando qualcuno sarà capace di mettere sul mercato una quantità maggiore di quella richiesta. Si mescolano questioni di tipo tecnico (quanto petrolio c’è, e se siamo capaci di estrarlo), e questioni di tipo politico: un paese produttore può ridurre la propria produzione volontariamente, ma anche per cause esterne, come guerre, attacchi terroristici, disastri naturali e così via.
D’altro canto, la domanda di solito è legata alla crescita economica. Nei periodi di recessione la domanda diminuisce, ma negli ultimi decenni, nonostante alcune crisi economiche, possiamo dire che il consumo di petrolio a livello mondiale non è mai diminuito; al massimo si è registrato un rallentamento – temporaneo – della crescita del consumo. Come abbiamo già visto, il consumo di energia aumenta il benessere. Non ci dobbiamo meravigliare che in un mondo dove la popolazione cresce, e dove tutti cercano di aumentare il proprio livello di benessere, aumenti la richiesta di petrolio. Occorre poi ricordare che il petrolio viene commerciato in dollari americani, quindi il suo prezzo è influenzato dalla forza di questa moneta e dalla politica degli Stati Uniti in modo predominante.
Proviamo adesso a considerare l’andamento del prezzo del petrolio nel tempo, riportato nella figura qui di seguito (Statistical Review of World Energy 2019, scaricabile liberamente in rete).
Ci interessa il grafico in verde chiaro, dove il prezzo è riportato in moneta attualizzata. Sono anche indicati alcuni importanti fatti di tipo politico che lo hanno influenzato, causando picchi di costo. Possiamo osservare che nei primi decenni di utilizzo del petrolio il prezzo era alto, anche più alto di oggi. Probabilmente la quantità a disposizione allora era poca rispetto alla richiesta. In seguito sono stati scoperti molti nuovi campi petroliferi e sono state messe a punto migliori tecniche di estrazione, facendo diminuire il prezzo. Che però, a partire più o meno dalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, ha ripreso a crescere sia pure in modo discontinuo. Il primo picco importante nel prezzo, e uno dei più importanti storicamente, è stato quello collegato alla guerra del Kippur, che noi pantere grigie possiamo ricordare, quando il petrolio a disposizione dei paesi ricchi diminuì drasticamente. Ci ricordiamo il periodo della cosìddetta “austerity,” le domeniche a piedi e l’aumento del prezzo della benzina. A quell’epoca risalgono lo sviluppo del nucleare – soprattutto in Francia – e le prime discussioni sul picco del petrolio – in altre parole, si cominciò a pensare che le scorte di greggio potessero essere limitate, e finire abbastanza presto.
Diventa più difficile trovare una causa precisa dell’andamento nel secondo millennio. La globalizzazione e lo sviluppo industriale dei paesi emergenti hanno portato un forte aumento della richiesta e – come conseguenza – l’aumento del prezzo. Ma a partire dal 2010 circa, è intervenuto un nuovo fattore: la produzione in grande quantità – soprattutto negli Stati Uniti- di quello che si chiama Shale Oil – in italiano “olio di scisto”. Come si può facilmente trovare anche su Wikipedia, lo shale Oil è un petrolio diverso da quello a cui siamo abituati, in quanto si trova all’interno di rocce molto poco porose. Per estrarlo quindi occorre frammentare la roccia e riscaldarla. Questo tipo di roccia contiene una materia organica che si chiama cherogene e che era nota fin dall’antichità, ma molto poco usata in quanto è molto più difficile da estrarre rispetto al petrolio convenzionale. La difficoltà nella estrazione, ricordiamocelo, significa maggior costo, e anche possibile danno ambientale, perché è necessario utilizzare la tecnica particolare che si chiama fraking, fratturazione.
A partire più o meno dal 2010, il prezzo del petrolio era diventato abbastanza elevato da giustificare l’utilizzo di queste tecniche più costose; e questo ha reso possibile un grosso aumento della produzione di petrolio da scisto. Gli Stati Uniti sono così diventati il maggior produttore mondiale, superando l’Arabia Saudita e causando l’abbassamento del prezzo che dura fino ad oggi (anche se i 50-60 dollari al barile di oggi sono almeno sempre il doppio del prezzo medio registrato prima del 1970) La contraddizione a mio parere consiste nel fatto che un metodo di estrazione più costoso è servito a mantenere i prezzi più bassi. Tutto questo è possibile attraverso i collegamenti con la finanza e non è molto facile da capire. Sicuramente, ha un grosso impatto sulla nostra vita, anche se non sempre ne siamo consapevoli.