Cercare una risposta al problema degli scarti: ci sta pensando con alcuni progetti pilota il settore della nutri-energetics, nel quale convergono gli interessi delle industrie nutraceutica (combinazione di ‘nutrizionale’ e ‘farmaceutica’), alimentare, biotecnologica e di quella delle energie rinnovabili. Sebbene sia appena agli albori, si tratta di un compartimento industriale che fa già sognare gli operatori economici e i guru dell’innovazione, tanto che c’è chi sostiene che potrebbe rendere obsoleto lo sfruttamento delle derrate alimentari per la produzione dei biocarburanti. E non solo: potrebbe anche trasformare le biomasse di scarto dell’industria energetica e i rifiuti dell’industria alimentare in prodotti nutraceuticali dalle caratteristiche curative, in proteine per l’alimentazione umana (o animale) e in fertilizzanti biologici. Certo per adesso si tratta di esperienze pilota, ma non per questo sono meno significative, soprattutto se si tiene conto che l’industria nutraceutica – che ha visto la luce solo qualche anno fa – entro il 2015 è destinata a raggiungere i 250 miliardi di dollari di fatturato. Un recente rapporto del Wall Street Journal sostiene inoltre che si tratta di settori che svolgeranno un ruolo trainante nel nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e rinnovabile al quale puntano i paesi avanzati in questo crepuscolo di recessione economica.
Non si tratta necessariamente di esperienze startup: in molti casi a prendere l’iniziativa sono aziende multinazionali. Alcune di loro hanno annunciato un finanziamento per cominciare a produrre acido adipico – composto usato tra l’altro anche per produrre lubrificanti industriali e moquette – dalla fermentazione della biomassa di rifiuto generata producendo etanolo. Lo stesso prodotto si ottiene tradizionalmente dalla raffinazione del petrolio. Un’altra esperienza è quella della di un’industria brasiliana, anche lei nel settore dei biocarburanti, che dalla biomassa di scarto dei suoi distillati ha deciso di estrarre farnesene, un isomero che può essere usato come base per cosmetici biologici e che in natura viene sintetizzato come anti parassitario da alcune specie di patate. Simili, le esperienze di due aziende statunitensi che operano nel settore dei biocarburanti ricavati dalle alghe: dai loro scarti estraggono nutraceuticali che possono essere usati come integratori dietetici e cibo per l’acquacultura, mentre l’italiana AgrOils Technologies (settore biodisel) ha sviluppato, in collaborazione con la Creagri, un metodo per l’estrazione di principi biologici attivi dalle scorie di una pianta tropicale – la Jatropha curca – che gli rimangono per le mani dopo averne estratto gli oli per la produzione di biocarburanti. Non solo: mentre prima del trattamento le scorie erano tossiche, dopo la lavorazione della AgrOils diventano utilizzabili per produrre proteine per l’alimentazione umana ed animale.
Il problema dell’utilizzo dei coprodotti è particolarmente sentito dall’industria agricola e da quella alimentare, che hanno a che fare con quantità crescenti e difficilmente gestibili dei derivati del loro processo produttivo. Per fare un esempio, le acque di scarico per la produzione dell’olio d’oliva, solo nel bacino del Mediterraneo, superano i cinque miliardi di litri annuali. In California, per affrontare questo problema di recente s’è costituito un consorzio di aziende ed istituti accademici. Le soluzioni esaminate variano dalla liofilizzazione della biomassa alla loro digestione in una camera di fermentazione. Sistemi che, oltre a creare le condizioni ideali per l’estrazione di molecole utili al sistema cardiovascolare e digerente, permette anche di produrre gas naturali per il consumo energetico.