Alla fine degli anni 1950 si assiste nelle grandi città come New York a una crisi urbana: le classi medie, in modo massiccio, abbandonano il centro cittadino per rifugiarsi in posti più sicuri e confortevoli. Parchi urbani concepiti alla vecchia maniera sia come luogo antitetico alla frenesia e all’ordine della città sia come luogo prettamente di svago e di attività sportive diventano loro stessi una fonte di insicurezza. Non più luogo di riposo o di contemplazione della natura o di attività sociali o di puro divertimento, ma luogo di scontro, di conflitto, quando non di violenza.
I “Vestpocket parks” sono sorti come reazione al degrado che la città presentava proprio nelle sue parti più centrali. Essi sono stati “inventati” da John Lindsay, sindaco di NYC, nel 1965. I nuovi parchi dovevano essere pieni di fantasia, di colori, seduttivi, chic, in poche parole “cool”.
Essi sono stati concepiti per utilizzare lo spazio lasciato libero da un edificio (un blocco) nelle zone centrali della città in modo da creare “oasi “ invitanti alla sosta.
Il SAMUEL PALEY PLAZA è forse l’esempio stilisticamente più riuscito e di grande successo. E’ stato aperto al pubblico nel 1967 e ha costituito il modello da imitare per altri piccoli parchi nella città.
Si trova sull a 53.ma strada tra Madison e 5.a Avenue. Progettato da Robert Zion su commissione di William S.Paley per lungo tempo capo della CBS, fu donato da lui alla città in memoria del padre: è un esempio prezioso di come design e filantropia possano combinarsi per dare alla comunità prodotti di grande valore.
La dimensione del parco è quella di un blocco di edifici (40×100 piedi): di fatto occupa lo spazio dello storico del Night Stork Club, fin dal 1930 un luogo obbligato per i nottambuli newyorchesi.
Lungo la strada il parco si segnala per il posizionamento di alberi e per la presenza di fiori dai colori brillanti. Per entrare si devono fare 4 gradini. L’entrata è sul lato più corto ed è più stretta dello stesso. Si entra nel piccolo parco come in una scatola rettangolare, avendo di fronte, come sfondo, un muro di acqua (alto 20 piedi) che riversa 1800 galloni (quasi 7000 litri) al minuto: un sipario di acqua che con il proprio rumore copre il rumore della città circostante ed attira irresistibilmente lo sguardo su di sé.
L’acqua si riversa in una vasca a un livello inferiore. Chiusa la cascata per manutenzione nel mese di gennaio, nei mesi più freddi l’acqua è riscaldata da una turbina prima di esse pompata. I muri laterali sono in mattoni ricoperti da edera. Tutto l’insieme è protetto dal vento che spesso imperversa in questi spazi al centro di Manhattan.
Il terreno è rivestito da blocchi di pietra ruvida e ospita 17 piante di Gleditsia triancanthos felicemente disposte a quinconce in modo da creare una copertura aerea che fa dimenticare la presenza incombente dei grattacieli laterali, senza peraltro oscurare la luce del cielo, grazie alla leggera eleganza del fogliame. Nelle stagioni di mezzo queste piante consentono di prendere quanta più luce possibile in quanto, in questa zona climatica, si ricoprono di verde tardi e perdono le foglie molto presto.
Sul terreno sono disposte in modo del tutto casuale seggiole di Bertoia (Bird Chair 1950-52) attorno a tavoli che si possono spostare a piacimento.
Ai lati dell’ingresso ci sono due piccolissimi chioschi.
Anche in questo caso, il successo di un parco è dato dall’utilizzo e dalla frequenza degli utenti. Nel Paley Park si possono trovare persone sedute attorno a un tavolo che consumano il loro pranzo, oppure una coppia di anziani che giocano a scacchi, oppure turisti italiani e giapponesi che scattano foto, o l’impiegato che legge il giornale, o ancora altri che passano ore semplicemente seduti di fronte alla cascata guardando l’acqua che rimbalza sulle pietre sporgenti della parete… a qualsiasi ora qualsiasi persona qui trova l’angolo in cui scappare dalla città pur rimanendone ancora completamento immerso.
Un’angolo di innegabile eleganza e di grande fascino.