Lo scorso 11 giugno a Milano è stato inaugurato il più importante centro di ricerca transatlantico sull’economia del clima, l’RFF-CMCC – European Institute on Economics and the Environment, realtà unica nel suo genere che si concentrerà su una delle più grandi sfide che l’uomo si sta trovando ad affrontare: i cambiamenti climatici. Il centro nasce dalla collaborazione tra il Resources for the Future (RFF), nota organizzazione americana che conduce ricerche indipendenti su questioni ambientali ed energetiche, e la Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), più recente fondazione di ricerca italiana che si occupa delle medesime tematiche. Il team di ricerca è composto da 50 ricercatori di 13 diverse nazionalità provenienti da varie aree (climatologi, economisti, matematici, data scientists, …).
Il centro è stato inaugurato dal Professor William Nordhaus che, grazie alle sue ricerche in ambito economico sui cambiamenti climatici, è stato insignito del premio Nobel per l’economia nel 2018. Col suo discorso d’apertura il Prof Nordhaus cerca di farci riflettere: nonostante la scienza del clima sia molto avanzata, a bloccarne lo sviluppo e la reale applicabilità è spesso la natura volontaria degli accordi internazionali attualmente in vigore. In quanto sono accordi volontari risultano quindi privi di sanzioni. Ciò è tanto triste quanto indicatore della sconcertante realtà che ci circonda: possibile che né il parere degli esperti né gli allarmi lanciati su tutti i media cui siamo quotidianamente esposti siano sufficienti a farci comprendere quanto i nostri comportamenti stiano portando alla distruzione del pianeta? Possibile che tutto ciò non sia abbastanza per decidere di modificarli? La soluzione sembrerebbe essere quella di stabilire meccanismi internazionali che valorizzano tramite incentivi gli Stati che si impegnano attivamente nella realizzazione degli obiettivi degli accordi e sanzioni per chi ne rimane fuori o non li rispetta al meglio. Ma è davvero solo la paura di sanzioni che può stimolare un comportamento maggiormente virtuoso in primis per noi singoli ma anche per le stesse nazioni di cui siamo cittadini?
Sono tanti i suggerimenti che recenti ricerche scientifiche propongono e su cui ci possiamo basare, come cittadini e come Stato. Su Nature Climate Change, prestigiosa rivista scientifica del gruppo Nature, ritroviamo ad esempio uno studio chiave, mostrato anche al lancio dell’evento, in cui viene descritto l’approccio che ciascun Paese dovrebbero adottare, tenendo conto di vulnerabilità e incertezze specifiche, per sviluppare strategie volte al rispetto degli obiettivi globali per il clima e alla riduzione della CO2 entro il 2050. Ciascun Paese, ciascuna regione, ciascuna città così come ciascuna impresa e singolo cittadino, può tagliare le emissioni di gas a effetto serra con misure che siano in linea con le sue priorità socio-economiche, sostenendo così gli obiettivi comuni a tutti. Prima ci mettiamo in moto come Nazione meglio sarà per tutti. La stessa Nature Climate Change ci mostra in un secondo studio come i recenti modelli di proiezioni climatiche mostrano che saranno proprio i Paesi che attualmente emettono le maggiori quantità di CO2 che subiranno nel prossimo futuro i costi maggiori derivati dal cambiamento climatico.
A seguito di queste letture mi sono domandata: ma qual è l’impatto delle mie azioni quotidiane sul Pianeta? Quanto con le mie azioni contribuisco all’emissione dei gas serra? Sono così attenta quanto penso di essere? Sono andata quindi a calcolare la mia impronta ecologica, ovvero proprio la misura dell’impatto delle mie azioni sulla Terra tramite il comodissimo sito del WWF. Sono meno di 40 domande dalla risposta molto rapida che indagano le nostre abitudini quotidiane in fatto di alimentazione, sprechi, qualità degli elettrodomestici, abitudini casalinghe, trasporti, consumi e stile di vita. I prezzi sono riportati in franchi svizzeri dal valore molto simile ai nostri euro (1 CHF = 0.90 €). Con somma tristezza il mio consumo in equivalenti di CO2 all’anno è risultato essere poco meno del doppio della media mondiale (7.12 tonnellate CO2/anno). Nel mio caso a gravare è stato il poco utilizzo dei mezzi pubblici, abitudine che purtroppo vista la mia attività lavorativa scarsamente potrò modificare. Nonostante ciò con la mia famiglia stiamo pensando di cambiare i nostri veicoli con dei sostituti elettrici, molto meno inquinanti dei fratelli a benzina e diesel. Oltre i trasporti sono tante le cose che sottovaluto, a partire dai consumi di carne. Basti pensare che la produzione di un solo kg di carne richiede da 5 a 20 kg di mangime e di conseguenza anche una maggiore superficie ed energia rispetto a prodotti di origine vegetale. Vado bene per fortuna con gli scarti e lo stile di vita, nonostante le abitudini della mia città mi mettano spesso a dura prova.
Il mio consiglio per tutti voi è dunque quello di fare il test, così da scoprire quali tra le vostre abitudini risultino più dannose per l’ambiente e poterle correggere al meglio. Visto che proprio in Italia è sorto il Centro di Economia del Clima, diamo il buon esempio impegnandoci in prima persona, così da mettere in atto il frutto delle loro ricerche e previsioni.