Qualche anno fa ero a Voghera e aspettavo un’amica per cena. In un supermercato della città, ho visto esposte delle “Fragole di Volpedo”. Costavano piuttosto care, quasi 5 euro per mezzo chilo, ma ricordando quando da bambina andavo con i miei al mercato di Volpedo o di Viguzzolo nella stagione delle fragole (e volendo fare bella figura con l’amica), le ho comperate. Purtroppo, il sapore non era quello dei miei ricordi; ma sul fondo dell’imballaggio – tra l’altro rigorosamente in plastica, ma di questo abbiamo già avuto occasione di parlare – c’era un talloncino che riportava la scritta: “Fragola ASIA”.
La questione mi ha incuriosito e ho fatto una ricerca su internet per trovare il sito dell’azienda che vende queste fragole. Fortunatamente si tratta di una azienda italiana… con quel nome, avevo per un attimo avuto paura che si trattasse di fragole cinesi! Geoplant Vivai produce e commercia molte varietà di piante da frutto. Nella presentazione, mi ha colpito l’affermazione secondo cui “Geoplant vivai, ben consapevole che le piante non sono un bene di consumo, ma di investimento… ecc.”. Infatti io consideravo le fragole un bene di consumo, secondo il mio punto di vista, cioè quello del consumatore, che vuole un prodotto buono e se lo mangia… Un bel sito però, in cui le caratteristiche delle diverse varietà (in realtà si dovrebbe dire “cultivar”) sono spiegate molto bene.
Ecco le principali informazioni: la fragola ASIA ha origine in Italia, con la tecnica di ottenimento che si chiama: Maya x NF 101* – e qui confesso che non so cosa voglia dire la sigla, però nella scheda ci sono anche i nomi di 4 genetisti, che hanno “inventato” – si dirà così? – la nostra fragola. È stata studiata e ottenuta nel periodo 1998-2006 da NewFruits, un’altra azienda italiana che si trova nella stessa zona e lavora sul miglioramento delle varietà di fragole. Ma cosa si intende per miglioramento? La fragola ASIA ha frutti grossi, che pesano circa 28 grammi l’uno. Sono resistenti alla manipolazione e hanno una buona durata (intesa come tempo di permanenza sugli scaffali per la vendita). La resa di raccolta è elevata e a quanto sembra queste fragole sono molto richieste dai produttori che effettuano vendite dirette e hanno clienti molto esigenti quanto a qualità.
Qui non sarei d’accordo: il sapore di queste fragole, come del resto quello di quasi tutte le fragole che si trovano nei mercati e nei supermercati, non ricorda affatto quello che avevano le fragole della nostra infanzia. Sarò troppo esigente, o troppo vecchia e smemorata, ma credo proprio che un cliente esigente abbia delle pretese maggiori…
In più, segnalo un particolare che secondo me è un pochino inquietante: l’asterisco accanto alla sigla della fragola ASIA significa che si tratta di *Varietà protetta, moltiplicazione proibita.
La piantina che ho sul mio balcone e che ho fotografato (immagine qui accanto) produce fragole piccole e molto saporite; produce anche una quantità di stoloni da cui nascono nuove piantine. Certamente, una coltivazione di queste fragole richiederebbe molto lavoro per raccoglierle. Ma che cosa è meglio: produrre piccoli quantitativi con molto lavoro, oppure aumentare la produttività delle piante per avere più cibo? Si torna all’argomento, o meglio a uno dei diversi argomenti di questa rubrica. E poi si pone il problema di capire cosa significa la denominazione di un prodotto, se può essere identificato con la zona di origine, oppure con la zona di coltivazione, perché potrebbe non essere la stessa cosa.
Ed ecco un altro problema che ho toccato con mano di recente. Ho avuto bisogno di acquistare degli spilli; mi sono recata in una bellissima merceria molto ben fornita che si trova a Milano vicino a casa mia, dove ho potuto comperarne una scatola che ne conteneva circa 450 e costava 4 Euro. Meno di un centesimo l’uno! Tornata a casa, mi sono presa la briga di leggere l’etichetta che era applicata sulla scatola, e che diceva: Made in China – distribuito da Simplicity Creative Group, Antioch, TN. Cosa significa? Significa che gli spilli sono stati prodotti in Cina e comperati da un importatore americano, che li vende poi in tutto il mondo. A questo punto mi sono sentita in dovere di fare un piccolissimo approfondimento. Quanti chilometri hanno percorso i miei spilli? Non sappiamo dove in Cina siano stati prodotti, ma possiamo immaginare che siano partiti da Shangai, uno dei centri commerciali più attivi, che è anche una delle città più vicine all’America del Nord. La distanza tra Shangai e la città di Antioch in Tennessee (dove, ho verificato, ha sede Simplicity, un negozio che vende anche on-line in tutto il mondo e che è specializzato in forniture per lavori creativi di sartoria) è di 7645 chilometri. Da Antioch a Milano ci sono altri 11970 chilometri, per un totale di 19615. Non male per un oggetto utile, ma non particolarmente pregiato, come sono appunto gli spilli.
Mi sono perciò domandata: in Italia, ci sono fabbriche di spilli? Ebbene, sembra proprio di sì. In particolare, a Lecco c’è una fabbrica storica di minuterie metalliche, che si chiama Leone Dell’era, è attiva dal 1850 e ha un sito web dove è possibile comprare i prodotti. Ricordo di aver visto alcune scatole con questo marchio in casa dei miei nonni. Dal punto di vista della distanza, per portare a Milano, presso la sede della merceria di cui vi ho parlato, gli spilli prodotti a Lecco, basta percorrere 51 chilometri. Il prezzo è più alto, anche se non è molto diverso, si parla di 6 o 7 Euro per 250 grammi, che dovrebbero corrispondere più o meno a 333 spilli.
Dipenderà anche dal formato. Ci sono due domande da porsi:
1. Come mai gli spilli che percorrono circa 400 volte di strada in più, riescono comunque a costare un po’ meno? La risposta è abbastanza facile: il combustibile costa poco, e le quantità trasportate sono molto grandi. L’eventuale inquinamento non viene conteggiato nei costi.
2. Per quale ragione si preferisce comperare gli spilli negli Stati Uniti invece che in Italia? Probabilmente non è avvenuto “di botto”, con scelte razionali. Certamente, ricordo dai miei viaggi che negli Stati Uniti è molto difficile trovare prodotti locali; probabilmente la mia merceria di Milano ordina molti articoli diversi negli Stati Uniti e non si pone il problema di sapere da dove vengano e quali potrebbero essere prodotti anche qui. Resta la questione ambientale: ci siamo poco alla volta abituati a spostare qualsiasi cosa da un capo all’altro del mondo e non ci poniamo il problema se sia una buona idea oppure no. Ai tempi di Marco Polo, chi affrontava un viaggio lungo e pericoloso lo faceva per riportare a casa dei prodotti rari, esotici e di grande valore. Oggi abbiamo a disposizione i combustibili fossili a basso prezzo, e possiamo permetterci di trasportare per migliaia di chilometri le cannucce e gli spilli, e molte altre cose di poco valore. Occorre cercare di invertire la rotta; secondo me, in Italia – diversamente da quanto accade negli Stati Uniti – ci sono ancora tante piccole fabbriche e tanti artigiani. Si tratta di valorizzarli e utilizzarli. Questo potrebbe aiutare anche la nostra economia.
Per restare sull’argomento “spilli”, a Voghera, – la mia piccola città natale a cui mi piace fare riferimento -, ci sono, secondo le Pagine Gialle, 18 mercerie. Sarebbe interessante andare a comperare da ognuna una confezione di spilli, e vedere da dove vengono… nel 1931, la Guida della Città di Voghera stampata dalla Tipografia Moderna del Rag. Mario Gabetta – mio nonno – riportava 12 mercerie. Anche se facciamo il rapporto con il numero degli abitanti, le mercerie sono aumentate. Qualche speranza quindi c’è!