Via libera, finalmente, alla tabella di marcia che porterà all’adozione di un accordo globale salva-clima entro il 2015, operativo dal 2020. Dopo dodici giorni di negoziati e due giorni di trattative ininterrotte, la Cop17, cioè il 17esimo vertice sul clima delle Nazioni Unite, a Durban, ha il suo accordo. La battaglia sulle condizioni della marcia forzata della comunità internazionale verso una progressiva riduzione delle emissioni di gas serra si è conclusa in extremis con un compromesso sui termini che hanno opposto per giorni i negoziatori europei, americani e asiatici. Al “patto globale” si comincerà a lavorare dall’anno prossimo, sarà siglato nel 2015 e diventerà operativo nel 2020. All’intesa si è arrivati dopo un crescendo di scontri che aveva portato a una spaccatura verticale dell’assemblea che ha rischiato di sprofondare nel caos. Da una parte una larga maggioranza numerica che sosteneva la linea di rigore e di impegno dettata dall’Europa, dalle piccole isole e da buona parte dei governi africani e dell’America latina, cioè dai paesi più esposti alla minaccia diretta provocata dalle emissioni serra prodotte bruciando petrolio e carbone. Dall’altra il cartello dei maggiori inquinatori (Cina, Stati Uniti, Brasile, India, Filippine) che rifiutavano un rapido impegno vincolante. “Il protocollo di Kyoto funziona, noi europei lo possiamo testimoniare”, aveva dichiarato Connie Hedegaard, il commissario europeo al clima. “Ma ci vuole anche uno strumento legalmente vincolante che impegni tutti, un nuovo protocollo”. “Non si può prescindere dall’applicazione del principio di equità, non mi si può chiedere di firmare un assegno in bianco”, aveva risposto il ministro dell’Ambiente indiano, la signora Jayanthi Natarajan. Alla fine è stata trovata la formula che ha messo tutti d’accordo: si arriverà entro il 2015 a definire un protocollo, uno strumento legale o una soluzione concertata avente forza di legge. Dal 2013 partirà inoltre la seconda fase degli impegni di Kyoto a cui aderiranno l’Europa e una parte dei paesi industrializzati. Infine si renderà operativo un Fondo Verde da 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i paesi più poveri a sostenere il salto tecnologico necessario ad abbattere le emissioni serra. In realtà cosa resta di questi negoziati? Resta un accordo “imperfetto” per la poca convinzione sull’efficacia di una «road map» che porta a obiettivi ancora insufficienti per frenare il surriscaldamento di 4 gradi del pianeta, e le sue devastanti conseguenze sull’ecosistema. E dubbi altrettanto forti sul Fondo Verde per il clima, gli aiuti ai paesi più poveri per lenire i danni e facilitare lo sviluppo di tecnologia verde: sarà gestito dalle Nazioni Unite ma, a Durban, non è stato chiarito chi lo finanzierà.