Sentiamo parlare sempre più spesso di sostenibilità. É un argomento molto importante, e vorrei cercare di sintetizzarne in questo articolo qualche aspetto, considerando, tra l’altro, il ruolo dell’energia in questo particolare dibattito. Impresa per nulla facile, ma è bene provarci.
Dopo aver parlato di come energia ed economia sono interconnesse, e come la crescita richieda inevitabilmente un maggior consumo di energia, sarebbe bene cercare di capire meglio cosa ci si può aspettare – e cosa si potrebbe cercare di fare – per il futuro. In questi giorni se ne discute molto anche perché la pandemia sembra ad alcuni un’occasione per il cambiamento. Ma il dibattito è in corso da tempo. Nel 1987, Gro Harlem Brundtland, presidente della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED,) ha presentato il rapporto «Our common future[1]» (Il futuro di tutti noi), formulando una linea guida per lo sviluppo sostenibile ancora oggi valida, ma poco applicata in pratica.
Il rapporto contiene la definizione del concetto di «sviluppo sostenibile». «Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Ma il punto secondo me più importante è che l’economia sostenibile si basa su tre pilastri: deve produrre ricchezza e benessere, deve essere accettabile dal punto di vista sociale, e non deve danneggiare l’ambiente. Non è poco…
Molti lettori in effetti potrebbero dire che è impossibile; certamente, se esaminiamo il mondo che ci circonda e ricordiamo alcuni argomenti già trattati in questa rubrica, – ad esempio quando abbiamo parlato di agricoltura e produzione del cibo, oppure di vestiario -, ci rendiamo conto che la strada da fare è ancora molta. Ma ovviamente vale la pena di tentare, anzi, vista la posta in gioco, non ci sono molte alternative!
Per di più, spesso si ha l’impressione che molti utilizzino la parola sostenibilità senza avere ben chiaro di cosa si tratta, solo perchè è un neologismo di moda, oppure considerando un solo aspetto dei tre di cui parla la figura. Se teniamo presente tutti e tre gli aspetti, non è per nulla semplice da realizzare. Forse si può provare a fare un piccolo passo per volta.
Ad esempio, da un anno circa abbiamo assistito alle dimostrazioni degli studenti contro il cambiamento climatico e anche molte associazioni femminili sono impegnate su questo fronte. Al di là degli slogan, quanto queste persone sono consapevoli del significato di sostenibilità? Non è una questione semplice. Già dal 1972 si parlava in modo molto serio dei “Limiti della crescita”[2], ma questi avvertimenti sono stati trascurati e oggi la situazione si è ulteriormente complicata. Abbiamo visto che in agricoltura a livello mondiale si produce più cibo di quello che ci servirebbe, anche se ci sono ancora molti milioni di persone denutrite. Per il vestiario, abbiamo parlato della cosiddetta “fast fashion”, che ci permette di acquistare abiti a basso prezzo e di averne sempre di nuovi, basandosi sulla possibilità di spostare qua e là per il mondo i tessili. Il sistema si mantiene anche grazie al fatto che i prezzi finali sono bassi, che i nostri salari ci permettono di “assorbire” produzioni superiori a quello che sarebbe necessario, e che molti indumenti finiscono nei rifiuti dopo essere stati utilizzati molto poco. Quindi: dal punto di vista economico, certamente il tornaconto c’è. Ma qualcuno guadagna moltissimo, i consumatori dei Paesi ricchi hanno prodotti a basso costo, i lavoratori dei aesi poveri guadagnano pochissimo.
Il danno ambientale non viene quantificato, quindi resta “nell’ombra” in un sistema basato sul mercato. Ma è fondamentale considerarlo. Le emissioni di ossido di carbonio dovute ai trasporti sono soltanto un aspetto. Occorrerebbe considerare la produzione di rifiuti, il consumo di acqua, le sostanze chimiche utilizzate nella coltivazione e nella lavorazione… per i prodotti agricoli, è meglio produrre di più con l’agricoltura intensiva, oppure produrre di meno utilizzando più terreno? E’ meglio comprare prodotti a basso costo che provengono dall’altra parte del mondo, oppure preferire le coltivazioni locali, tra cui quelle in serra, che consumano energia?
Dobbiamo ammettere che il nostro attuale tenore di vita è possibile grazie al combustibile a basso costo, che permette di utilizzare la mano d’opera in Paesi in via di sviluppo, e ci dà la possibilità di consumare molto di più di quello che ci basterebbe per vivere in modo comodo e dignitoso. In molti casi, questo consumo permette anche di far lavorare – in condizioni molto poco dignitose – le persone dei Paesi poveri. I tre aspetti della sostenibilità sono intrecciati strettamente tra loro. É molto difficile quindi invertire la rotta.
Tanto per fare un altro esempio, negli ultimi anni il consumo di combustibili fossili a livello mondiale non è diminuito. Il combustibile fossile serve anche per per le cosiddette “fonti rinnovabili” di energia. I pannelli solari a basso costo, o i loro componenti, vengono prodotti spesso in Cina, in fabbriche alimentate con energia da combustibili fossili e con materie prime che provengono da parti del mondo molto lontane tra loro. È possibile assemblarli e venderli grazie ai combustibili fossili a basso costo. Sono quindi veramente “rinnovabili” e “sostenibili”? Occorre capire meglio.
Un altro concetto di cui si parla molto è la cosiddetta “Economia circolare”. Di cosa si tratta? L’economia lineare, che oggi ci è molto familiare, consiste nel fabbricare un oggetto, usarlo, e quando non funziona più o non ci serve più, buttarlo via. L’economia circolare invece, quando un oggetto si guasta o non serve più, trova tutti i modi di recuperarlo, intero oppure nei suoi componenti, allungandone la vita e diminuendo la quantità di rifiuti che vengono prodotti.
Qualche pantera grigia come me potrebbe ricordare che i nostri nonni, senza conoscere questo termine, semplicemente cercavano di “non buttare via niente”, ed erano quindi dei campioni della economia circolare. I contadini di una volta, e non solo loro, agivano in questo modo per necessità: le risorse a disposizione non erano molte, e gli oggetti erano spesso costosi. Oggi, come abbiamo già visto ad esempio per il vestiario, abbiamo invece a disposizione moltissimi oggetti a costo basso. Oggetti che non vale la pena di recuperare per altri usi. Dal punto di vista economico, infatti, buttare via un abito e comprarne uno nuovo costa meno, anche in termini di tempo, che ricavarne un vestitino per un bambino, oppure stracci con cui pulire i pavimenti, e così via. Quindi l’aspetto più propriamente economico favorisce l’economia lineare. Ma se considerassimo l’aspetto sociale? Qui il discorso si fa un po’ più complicato: facendo lavorare gli operai dei Paesi in via di sviluppo, da una parte sfruttiamo mano d’opera a basso costo; dall’altra però diamo a queste persone e a questi Paesi una opportunità di crescita. Ma se poi consideriamo il terzo pilastro, la salvaguardia dell’ambiente, ecco che l’economia circolare si rivela migliore. Non solo perché producendo meno rifiuti si aiuta l’ambiente, ma anche perché gli oggetti a basso costo vengono prodotti grazie all’utilizzo di:
- combustibile fossile per i trasporti a basso costo
- mano d’opera priva di dritti, o comunque meno tutelata che da noi.
Abbiamo quindi visto che la sostenibilità ha molti aspetti diversi di cui è bene tener conto. E l’energia gioca un ruolo molto importante. Occorre rifletterci su. A questo scopo, potrei anche consigliare il documentario prodotto da Michael Moore e disponibile in rete: https://www.youtube.com/watch?v=Zk11vI-7czE.
[1] Questo rapporto si trova in rete al link: https://www.are.admin.ch/dam/are/it/dokumente/nachhaltige_entwicklung/dokumente/bericht/our_common_futurebrundtlandreport1987.pdf.download.pdf/our_common_futurebrundtlandreport1987.pdf.
[2] Rapporto sui limiti dello sviluppo (dal libro The Limits to Growth. I limiti dello sviluppo), commissionato al MITdal Club di Roma, fu pubblicato nel 1972 da Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Rander e William W. Behrens III.