Ormai il prezzo del petrolio è tornato più o meno al valore che aveva un anno fa, prima della pandemia. Per il momento, non è chiaro se sarà un fenomeno temporaneo oppure no, ma soprattutto sembra che la cosa non preoccupi molto né gli esperti di economia, né le persone “della strada”. Forse qualcuno, proprio perché “della strada” ha notato un aumento del prezzo della benzina… Non è per niente facile fare delle previsioni considerando l’effetto della pandemia in corso. Sappiamo che ci sono tanti fattori da considerare. Proviamo a ricordare alcuni fattori:
- il prezzo basso può far diminuire la ricerca di nuovi giacimenti, provocando – dopo un po’ di tempo – la diminuzione della produzione e quindi l’aumento del prezzo. In effetti sta cominciando a succedere, anche perché le aziende petrolifere stanno occupandosi sempre di più di energie rinnovabili;
- se però il prezzo sale, si può pensare che molte persone non potranno affrontare un aumento dei consumi e la richiesta diminuirà, causando l’abbassamento del prezzo
- comunque, se il prezzo sale anche i prezzi di molti generi di prima necessità aumenteranno: tra questi soprattutto quelli del cibo, dato che l’agricoltura è ancora molto dipendente dai combustibili fossili.
I prezzi alti però aiutano ad aumentare la produzione, e in particolare possono essere un incentivo per far lavorare i giacimenti dell’olio di scisto (Shale oil). Abbiamo già visto che negli Stati Uniti, l’olio di scisto è stato quello che ha aumentato molto la produzione di petrolio e ha permesso di tenere basso il prezzo negli ultimi 4 o 5 anni. Nel 2020, la produzione di Shale è stata molto penalizzata dalla pandemia e dalla diminuzione del prezzo, ma potrebbe riprendere se aumenta il consumo.
Leggendo sul sito www.oilprice.com si evince che nel 2020 abbiamo, alla fine, consumato circa il 10% in meno dei 100 milioni di barili al giorno che avevamo usato nel 2019. Non sembra molto, pensando alle chiusure che ci sono state, alla diminuzione drastica dei viaggi aerei, e alla fermata dell’economia mondiale. Ma questo 10% di consumi in meno ha praticamente riempito tutti i serbatoi di stoccaggio e fatto scendere i prezzi di ben più del 10%.
Ora molti prevedono che la richiesta continuerà a essere bassa, perché si preferiranno le cosiddette “energie rinnovabili”. Mi permetto di essere un po’ scettica, aspettando di poter leggere il prossimo documento della BP “World Energy Outlook” che ci farà sapere le statistiche complete del 2020. Finora, considerando i dati del 2019, non si era visto un vero cambiamento nei consumi energetici; nel 2019 abbiamo consumato, a livello mondiale, il 34% di Petrolio, il 27% di carbone e il 24% di gas (sommati, sono l’85% del totale di energia primaria). Per arrivare a queste percentuali, i consumi di combustibili fossili in numeri assoluti sono aumentati, quindi per ora sembra che le rinnovabili riescano a compensare a malapena la crescita del fabbisogno. La situazione durante la pandemia però è stata anomala e prima di fare delle considerazioni sarà meglio cercare di capire qualcosa in più di quello che sta accadendo ai consumi durante la pandemia.
Alcune considerazioni che mi sono state suggerite da un articolo di Felicity Bradstock uscito sul sito Oilprice.com il 12 gennaio 2021. I combustibili fossili, dice l’articolo, sono stati indispensabili al nostro benessere durante la pandemia e stanno ancora contribuendo alla lotta al virus. In tutto il mondo siamo stati in grado di riscaldare le nostre case, alimentare le nostre auto e cucinare, mantenendo un tenore di vita relativamente normale. La logistica e i trasporti non si sono fermati, anche se hanno dovuto uniformarsi alle nuove disposizioni di sicurezza. Non ci sono stati problemi negli acquisti di carburante alle stazioni di servizio perché, nonostante il calo della domanda, l’offerta è rimasta stabile.
Ma petrolio e gas si sono rivelati vitali proprio nella lotta contro il Covid-19. Gran parte delle apparecchiature mediche e dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuali) richiedono disponibilità di energia e di petrolio. Negli Stati Uniti è stato possibile, fin dai primi mesi della pandemia, convertire in modo rapido alcuni impianti dalla produzione di automobili a quella di ausili per la respirazione, ad esempio Mercedes e Ford. Naturalmente, questi impianti consumano energia. Dove è iniziata la campagna vaccinale, stiamo utilizzando energia per i processi di produzione e trasporto, e spesso si tratta di combustibili fossili. I vaccini devono essere trasportati anche a lunga distanza e conservati in strutture di stoccaggio sicure a temperature estremamente basse per garantirne l’efficacia.
Quando pensiamo al petrolio solitamente pensiamo alle automobili e ai trasporti, ma non dobbiamo dimenticare che dal petrolio deriva la materia prima per apparecchiature mediche vitali e ben 70.000 altri prodotti. Benzina, propano e molti altri prodotti chimici forniscono la base di molti prodotti di plastica necessari per affrontare la pandemia globale: dal tessuto non tessuto per camici e mascherine, a detergenti e disinfettanti. Tanto per fare un esempio, consideriamo le mascherine N-95 (o FFP2). La mascherina è composta di fibre derivate dal petrolio e dal gas naturale che filtrano l’aria che si respira. Per creare filtri efficaci, i produttori di mascherine utilizzano polimeri come il polipropilene. Pensiamo un attimo alla quantità di rifiuti che vengono generati usando prodotti monouso, dalle mascherine ai milioni di siringhe che servono per le vaccinazioni. E comunque anche nelle mascherine di tessuto, che hanno il vantaggio di poter essere lavate e quindi durare più a lungo, si inserisce uno strato intermedio di materiale sintetico per renderle più efficaci.
Molte nuove tecnologie – che consumano energia – hanno reso possibile il lavoro da remoto e hanno consentito di lavorare a migliaia di lavoratori che altrimenti avrebbero potuto diventare disoccupati. Il trasporto pubblico è stato usato meno, ma non sembra che il traffico sia diminuito, almeno negli ultimi tempi: chi lavora fuori di casa spesso ha preferito spostarsi in auto per sicurezza. Le compagnie petrolifere e del gas, pur rimanendo poco in vista, hanno garantito che l’approvvigionamento energetico giornaliero rimanesse sostanzialmente inalterato. Qualsiasi carenza di carburante avrebbe potuto portare a un panico significativo e all’incapacità di produrre e trasportare attrezzature mediche, test e vaccini.
Cosa possiamo concludere per ora? Che l’energia è indispensabile per il nostro benessere, e non soltanto perché ci permette i viaggi e gli svaghi. Che buona parte di questa energia deriva dai combustibili fossili, ma anche che i prodotti usa e getta – indispensabili in medicina – sono in gran parte derivati dal petrolio. Al di là di tutto questo, il prezzo dei combustibili fossili continua ad essere fondamentale per l’economia, almeno finché i consumi prevalenti di energia primaria resteranno così suddivisi. In attesa di avere i dati del 2020, il mio augurio è che si cerchi di tenerne conto e che la sostenibilità non sia soltanto una parola di moda.