Le emissioni serra sono cresciute del 38% tra il 1990 e il 2009. Il fragile accordo per ridurle, che impegna solo una minoranza dei Paesi inquinatori, sta per scadere. Il numero di governi pronti a sottoscrivere un’intesa per difendere l’atmosfera diminuisce. I climatologi avvertono che, continuando di questo passo, l’aumento di temperatura nel corso del secolo sarà devastante. Messa in questi termini la scommessa di Durban, la conferenza Onu sul clima che si apre in Sudafrica, appare persa in partenza. La prima fase del protocollo di Kyoto del 1997, che impegnava i Paesi industrializzati a ridurre del 5,2 per cento le emissioni di gas serra entro il 2012, si concluderà alla fine del prossimo anno. Calcolando che per ratificarlo ci sono voluti sette anni di negoziati, con gli Stati Uniti che frenavano e l’Europa che spingeva, si comprende perché la missione di arrivare in tempo alla seconda fase di impegni appare impossibile. Anche perché Canada, Russia e Giappone hanno già fatto sapere che non intendono firmare un impegno per il periodo che si apre con il 2013. Gli Stati Uniti non hanno mai sottoscritto alcun accordo vincolante sul clima. E i Paesi di nuova industrializzazione, dal 2008 responsabili della maggior parte delle emissioni serra, utilizzano la formula delle “responsabilità comuni ma differenziate” per rinviare l’accettazione di un target obbligato di riduzione. La conferenza di Durban, presentata come “l’ultima occasione per salvare il clima”, segna dunque il tramonto di un impegno per la difesa dell’atmosfera? Non è detto perché molti dei protagonisti della battaglia climatica non hanno gettato la spugna. L’Unione europea, che ha mantenuto gli impegni assunti a Kyoto, ritiene che solo se le emissioni globali di gas serra si dimezzeranno rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050 si potrà avere un 50% di possibilità di contenere l’aumento della temperatura globale di 2 gradi, il tetto oltre il quale i danni comincerebbero ad assumere una dimensione catastrofica. E l’Unep, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, ha elaborato uno scenario di riduzione nei vari settori (produzione di energia elettrica, trasporti, edilizia, agricoltura, rifiuti) in cui si dimostra che i tagli sono realizzabili non solo a costi contenuti, ma con meccanismi che porterebbero a ricadute positive sull’insieme dell’economia. Da Durban, con buona probabilità, uscirà dunque uno scenario di transizione, un ponte tra il 2012 e il 2015, l’anno in cui potrebbe essere raggiunto un accordo più ampio. Un’intesa che probabilmente risulterà agevolata dal ruolo crescente della green economy nei Paesi caratterizzati dalle economie più dinamiche, a cominciare dalla Cina che ha già conquistato la leadership nel campo dell’eolico e del fotovoltaico.