I cibi hanno un’impronta idrica, tanto che, per ciascun alimento, è stato valutata quanta acqua è stata necessaria, direttamente o indirettamente, per produrlo. Una parte di impronta idrica viene chiamata “verde”: è l’acqua piovana evaporata durante le fasi di produzione; l’impronta “blu”, invece, riguarda quella utilizzata che non torna al corso d’acqua da cui proviene; la “grigia”, infine, costituisce il volume d’acqua che viene inquinata per produrre l’alimento. In vista di un impatto lieve sul pianeta, occorrerebbe mangiare frutta, verdura, latticini e cereali, accompagnati da acqua di rubinetto o tè. Il che significa che, se davvero mangiassimo seguendo i precetti della piramide alimentare classica, avremmo anche un comportamento virtuoso nei confronti dell’ambiente: i cibi alla base sono infatti quelli con l’impronta idrica minore. Facciamo un esempio: per produrre un chilo di pomodoro fresco ci vogliono 156 litri di acqua, per una bottiglia di passata 172 litri, mentre si arriva a 223 litri per un barattolo di polpa da 400 grammi. Occorrono 200 litri di acqua per “produrre” un uovo, 900 per un chilo di patate, 3400 per un chilo di riso e fino a 2.400 litri per un hamburger da 150 grammi. L’indagine sull’impronta idrica è stata realizzata grazie al supporto scientifico del Wwf e del Dipartimento di Ecologia forestale dell’Università di Tuscia (Viterbo), per coinvolgere le aziende in un programma di contenimento dello sfruttamento ambientale, tramite riduzione dello spreco idrico. Ma non solo le aziende: il progetto aiuterà a sensibilizzare i coltivatori, che forniscono il prodotto, ad adottare maggiori accorgimenti nelle pratiche di irrigazione, dove spesso vengono impiegati macchinari obsoleti e poco controllati. E noi? Qual è l’impronta idrica del nostro carrello della spesa? È possibile calcolarla online, grazie all’apposito programma del Wwf, cliccando qui.