Raccoglitori di nebbia, desalinatori batterici e serre irrigate grazie all’evaporazione di acqua marina. La scarsità di acqua dolce pone l’umanità davanti a una sfida immane, ma un mix di ingegno, tecnologia e vecchia saggezza contadina potrebbero regalarci la possibilità di vincerla. Il London Science Museum ospita fino alla prossima estate “Water Wars”, una mostra che fa il punto sull’arsenale di invenzioni messe a punto negli ultimi anni per affrontare il crescente bisogno di risorse idriche. In molti Paesi lo sfruttamento dell’acqua per le esigenze agricole e industriali è già al limite, ma l’incremento demografico (nel 2050 saremo probabilmente circa nove miliardi) e l’imprevedibilità dei cambiamenti climatici impongono di correre ai ripari quanto prima con soluzioni alternative. Cinque metodi in tutto, già collaudati almeno in parte sul campo, spiegati nei dettagli del loro funzionamento, nelle loro potenzialità, ma anche nei dubbi che ancora non sono stati in grado di fugare del tutto.
Raccogliere la nebbia. E’ forse il sistema più promettente, anche in virtù dai costi molto contenuti. L’idea è quella di rendere più efficiente e su grande scala il sistema già usato da alcune comunità locali nei Paesi in via di sviluppo. In particolare in Perù dove, in alcuni sobborghi di Lima, in mancanza di rete idrica la popolazione stende delle reti su un versante della montagna particolarmente esposto alle foschie. Con il passare delle ore queste reti si impregnano di micro-goccioline d’acqua che finiscono per scolare in appositi contenitori. Strutture più alte e meglio disegnate possono però garantire un ulteriore salto di qualità: a Londra è esposta la storia dell’impianto costruito in Cile dall’architetto Alberto Fernandez e dalla designer industriale Susana Ortega: una torre per catturare la nebbia che entrerà in funzione nel 2012.
Evaporazione marina. L’acqua regalata al deserto da un improvviso temporale evapora in fretta sotto l’effetto del sole torrido e del vento, servendo a ben poco. Ma se invece venisse catturata? E se ad evaporare fosse acqua marina anziché la preziosa pioggia? E’ da questa idea che è partito l’ingegnere Charlie Paton per realizzare, dopo 20 anni di esperimenti, le sue serre ad evaporazione marina. Al loro interno è possibile coltivare ortaggi con acqua salata che speciali attrezzature (per favorirne e raccoglierne evaporazione e condensazione) trasformano in acqua dolce. Secondo gli esperti, l’ostacolo per un impiego su larga scala di questa tecnologia sono i costi, ancora da verificare.
Le scatole per piante. Tutto si basa sul principio che a sopravvivere meglio alla siccità sono quelle piante in grado di radicarsi più a fondo nel terreno. Da qui il tentativo di dare loro una mano con delle speciali scatole (una sorta di vasi high-tech da interrare insieme alla pianta) che intrappolano acqua e umidità, rilasciandola poco alla volta, permettendo la sopravvivenza anche in lunghi periodi senza precipitazioni e costringendo allo stesso tempo le radici a farsi strada verso il basso. Il brevetto esposto allo Science Museum è quello di Pieter Hoff. Per gli addetti ai lavori non ci sono dubbi: funziona. Del resto, una pratica simile fa parte da sempre degli usi contadini in Nepal e Sri Lanka. I dubbi riguardano semmai i costi: al momento queste speciali waterbox costano 12 sterline l’una, decisamente troppo per gli agricoltori dei Paesi poveri. Andrebbero quindi realizzate in proprio artigianalmente con materiali a buon mercato.
Desalinazione solare. La desalinazione dell’acqua di mare è già da tempo una risorsa alla quale ricorrono molti Paesi per ridurre il loro deficit idrico. Il problema sono i costi energetici. Ma dove c’è poca acqua c’è quasi sempre molto sole e a Cipro è in via di ultimazione il primo impianto di desalinazione alimentato da una centrale solare a concentrazione. Il progetto di George Tzamtis non è ancora entrato in funzione perché ha dovuto superare alcuni problemi, primo fra tutti il profilo accidentato delle coste cipriote, non adatto alla realizzazione di una centrale solare. È stato inoltre necessario creare delle speciali condotte di scarico per evitare che la salamoia prodotta dal processo di desalinazione danneggiasse l’ecosistema marino dell’isola. Sul fatto che sia questa la strada da percorrere grava in particolare lo scetticismo degli ambientalisti: il metodo sembra essere troppo invasivo.
Desalinatore a batteri. Di tutte le tecnologie in mostra a Londra è la più futuristica. L’invenzione della Mdc (Microbial desalination cell) è di Bruce Logan e parte dalla stessa esigenza della desalinazione solare: ricavare acqua dolce dal mare senza consumare energia tradizionale. A far lavorare questa cellula divisa in diversi comparti sono dei particolari batteri. Stipati in un contenitore e foraggiati con dei nutrienti, questi microrganismi per metabolizzare il cibo producono particelle a carica positiva che innescano una serie di reazioni a catena negli altri contenitori, con il risultato finale di “estrarre” sodio e cloro dall’acqua marina.