Pur essendo conosciuta, nelle sue diverse varianti, pressoché sull’intero suolo italiano, ha costituito, in passato, l’alimento di base della cucina povera in varie zone settentrionali alpine, prealpine, pianeggianti e appenniniche di Lombardia, Veneto, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Trentino, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, regioni nelle quali è ancora piuttosto diffusa. La polenta è tradizionalmente cucinata anche in Toscana e nelle zone di montagna di Umbria e Marche, Abruzzo, Lazio e Molise.
Il cereale di base più usato in assoluto è il mais, importato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, che le dà il caratteristico colore giallo, mentre precedentemente era più scura perché la si faceva soprattutto con farro o segale, e più tardivamente anche con il grano saraceno, importato dall’Asia. Le prime testimonianze scritte di coltivazioni di mais in Italia fanno riferimento ai territori della Repubblica di Venezia. In un’annotazione alla seconda edizione del Delle navigationi et viaggi di Giovan Battista Ramusio (Venezia, 1554), commentando un testo del portoghese João de Barros (1496-1570), si afferma infatti che:
«La mirabile et famosa semenza detta mahiz ne l’Indie occidentali, della quale si nutrisce metà del mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, del qual n’è venuto già in Italia di colore bianco et rosso, et sopra il Polesene de Rhoigo et Villa bona seminano i campi intieri de ambedui i colori»
La polenta viene prodotta cuocendo a lungo un ammasso semi-liquido costituito da un impasto di acqua e farina (solitamente a grana grossa) del cereale. La più comune in Europa è quella a base di mais, detto granoturco, cioè la classica “polenta gialla”. Questa si versa a pioggia nell’acqua bollente e salata, in un paiolo (tradizionalmente di rame), e si rimesta continuamente con un bastone di legno di nocciolo per almeno un’ora.
La farina da polenta è solitamente macinata a pietra (“bramata”) più o meno finemente a seconda della tradizione della regione di produzione. In genere la polenta pronta viene presentata in tavola su un’asse circolare coperta da un canovaccio e viene servita, a seconda della sua consistenza, con un cucchiaio, tagliata a fette, con un coltello di legno o con un filo di cotone, dal basso verso l’alto.
Il termine polenta deriva dal latino puls, una specie di polenta di farro (in latino far da cui deriva “farina”) che costituiva la base della dieta delle antiche popolazioni italiche. I Greci invece usavano solitamente l’orzo. Ovviamente, prima dell’introduzione del mais (dopo la scoperta dell’America), la polenta veniva prodotta esclusivamente con vari altri cereali come, oltre ai già citati orzo e farro, la segale, il miglio, il grano saraceno e anche il frumento, in misura minore, soprattutto in zone montane, si usano farine di castagne e di fagioli, dando origine a un impasto più dolce. Le polente prodotte con tali cereali sono più rare, specie in Europa.
Si sosteneva anche che il puls originario fosse costituito da una miscela che includeva semi di leguminose, forse anche spontanee. Essi sostengono che il termine inglese pulses, che indica i legumi in genere, origini infatti dal pre-romano pulus. L’etimologia inglese della parola conferma questa osservazione in quanto fa risalire il nome al XIII-XIV secolo per indicare genericamente i legumi, col significato di zuppa spessa..A questo proposito è da notare che è in uso, soprattutto in alcune regioni del Sud Italia, una polenta a base di fave, con la quale si accompagnano verdure come ad esempio la cicoria (noto come Macco di fave).
Una, cento, mille polente
La polenta si accompagna molto bene al burro, ai formaggi molli e ai piatti che contengono molto sugo, in generale carni in umido.
Polenta alla carbonara: piatto tradizionale dei taglialegna e carbonai dei Comuni facenti parte dell’Unione montana del Catria e Nerone, nelle Marche, realizzato con farina di mais, carne di maiale, pancetta e formaggio grattugiato. Ne esiste una versione ripassata in forno che si definisce “polentone alla Carbonara“.
Polenta taragna sulla tavola di legno e coltella di legno. La polenta taragna, in molte zone conosciuta semplicemente come “taragna”, è una ricetta tipica della cucina Bergamasca, ma è molto conosciuta anche in Valtellina e nei dintorni di Lecco, in Val Camonica, nel Bresciano e nel Canavese. Il suo nome deriva dal tarai (tarell, in lingua lombarda), un lungo bastone usato per mescolarla all’interno del paiolo di rame in cui viene preparata. Come altre polente della montagna lombarda (ad esempio la pulénta vüncia, polenta uncia cioè unta, in lingua lombarda), è preparata con una miscela di farine contenente farina di grano saraceno, che le conferisce il tipico colore scuro, diversamente dalle preparazioni nella maggior parte delle altre regioni, che utilizzano un solo tipo di farina, ottenendo quindi una polenta gialla. A differenza dell’uncia, nella polenta taragna il formaggio viene incorporato durante la cottura.
Polenta al forno con bagna càuda. La polenta bianca, piatto tipico del Friuli, del Trevisano, del Polesine, delle zone di Padova e, in generale, dell’entroterra veneziano, si fa con la farina del Mais Biancoperla, di colore appunto bianco. La polenta e osèi, piatto tipico del Veneto e delle zone di Bergamo e Brescia. La sua caratteristica è quella di accompagnare la polente con uccelli (osèi=uccelli) di piccola taglia. Molto diffuso, però, l’accoppiamento della polenta con cünì/cönécc (coniglio) e altre carni cotte come brasati o arrosti.
La polenta cròpa, in lingua lombarda, è una variante della “taragna”, originaria di Val d’Arigna, situata al centro delle Alpi Orobie valtellinesi. La sua particolarità è quella di essere cotta nella panna e di esser fatta con farina di grano saraceno, patate schiacciate e formaggio.
La pulenta uncia, cucinata nelle zone del lago di Como. Dopo aver preparato la polenta con un misto di farina di mais e grano saraceno nel paiolo, la si mischia a un soffritto di abbondante burro, aglio e salvia con del formaggio tipico semüda o un semigrasso d’alpeggio fino a ottenere un composto omogeneo, da qui il termine “voncia, uncia”, che in lingua lombarda vuol dire ‘unta’.
La polenta e bruscitti, è un piatto tipico del Varesotto e dell’Alto Milanese a base di polenta e carne sminuzzata.
La pult, è una polentina molto molle preparata sempre sul lago di Como mischiando farina di mais e di frumento. Viene cucinata soprattutto d’estate e la si mangia intinta nel latte freddo.
Polenta di farina gialla di Storo con Sopressa Vicentina e funghi. La polenta concia (concia, italianizzazione del termine lombardo/piemontese consa, cioè acconciata, condita), è uno dei più noti piatti tipici valdostani e biellesi. Molto indicata per riempire e scaldare nelle giornate fredde, è conosciuta anche come “polenta grassa”. Alla farina di mais viene aggiunto formaggio fuso d’alpeggio. Non si tratta di una ricetta rigida, ma viene tendenzialmente preparata fondendo, a fine cottura, dei cubetti di fontina e/o toma e/o latte e/o burro. nella variante valdostana, quasi a fine cottura vengono versati nel paiolo: fontina, toma di Gressoney e burro. nella variante biellese, il burro viene aggiunto nel paiolo, insieme con la toma o il maccagno. Dal paiolo la polenta concia si versa nel piatto a mestolate, aggiungendovi poi sopra abbondante burro fuso.
Nel Piacentino la pulëinta consa consiste di strati sottili di polenta ricoperti di sugo e alternati con un’abbondante spolverata di Grana Padano.
La polenta con le sepe, o seppie, è un piatto della tradizione triestina e veneziana (spesso nella versione nera). A Trieste le alternative prevedono salsicce, uova strapazzate, gulasch o, nelle generazioni precedenti, prugne cotte.
La polenta saracena, è un piatto tipico dell’alta Val Tanaro, prende il nome dal grano saraceno.
La polenta con i ciccioli, è una ricetta diffusa nella maggior parte dell’Italia settentrionale, assumendo diverse denominazioni. I modi di cucinare la polenta con i ciccioli sono sostanzialmente due. Nel primo, i ciccioli vengono cotti con la polenta, aggiungendoli all’impasto in differenti fasi della cottura, in ossequio alla specifica tradizione locale, come nel caso della pulëinta e graséi, consumata nel Piacentino. Nel secondo modo, il più diffuso, i ciccioli vengono inseriti successivamente in una fetta di polenta abbrustolita, come nel caso della pulenta e grepule, tipica del Mantovano.
Nelle zone del Trentino meridionale si usa anche fare la “polenta di patate” e altri ingredienti che ne arricchiscono il sapore. Per fare quella di patate è sufficiente cuocere nell’acqua salata alcune patate a tocchetti che a cottura adeguata si pestano o si frullano aggiungendo farina di grano saraceno o misto di farine a piacere. Verso fine cottura si possono aggiungere tocchetti di salame locale, formaggi, cipolle soffritte o varianti personali.
In Romagna la polenta viene preparata gettando un misto di due distinte farine di mais – fioretto (fine) e bramata (grossa) – nel paiolo contenente un pugno di fagioli cotti e la loro acqua. Chiamata paciarela perché piuttosto liquida (spesso la si mangia col cucchiaio), viene tipicamente condita con un sugo di salsiccia e pomodoro; nelle zone montane la si prepara anche con farina di castagne. Viene anche preparata la pulénta incaséda, soda e messa in teglia, stratificata con besciamella, ragù di carne e parmigiano, poi passata in forno.
A Tossignano (Romagna) la polenta viene servita “dura”, in parallelepipedi tradizionalmente tagliati con il filo di cotone. È comune anche la polenta realizzata con farina di fagioli e “do pogn (due pugni)” di fagioli secchi. Cannella di nocciolo per polenta.
Nel centro Italia la polenta assume un aspetto differente. Viene preparata più fluida e servita su una tavola rettangolare di legno (chiamata spiendola nelle Marche o spianatòra nell’Umbria centrale e meridionale) di ciliegio o pero intorno alla quale tutta la famiglia si siede per consumare il pasto. La cottura si effettua nel caratteristico paiolo di rame troncoconico, per circa 45 minuti, durante i quali la polenta viene continuamente mescolata con una speciale cannella di legno di orniello o di nocciolo, chiamata “sguasciapallotti“, che scioglie i grumi di farina di mais.
Polenta e coniglio in umido. In Toscana, dove la polenta viene consumata, oltre che nel modo tradizionale, anche fritta o cotta in forno (specie per quanto riguarda la polenta avanzata) ed esistono i crostini di polenta, sono tipiche la pattona e la polenta dolce, entrambe a base di farina di castagne, perlopiù consumata come dolce, ma un tempo, specie in montagna, erano utilizzate come contorno alla carne e anche al pesce o a piatti di verdura.
Nelle campagne era comune la “polenda allargata“, che consiste in una polenta relativamente poco densa, allargata su una tovaglia massiccia appena inumidita a formare uno strato di meno di un centimetro sul quale si spande il sugo, in genere di carne (cacciagione o ragù) o di funghi, ognuno preleva la propria parte a cucchiaiate (o più spesso a forchettate) facendo a gara a chi “pulisce” prima il proprio pezzetto.
Nel Lazio, nelle Marche, in Abruzzo e nel Molise la polenta viene consumata tradizionalmente con due tipi di condimento: il primo un sugo di pomodoro con spuntature di maiale e salsicce, il secondo in bianco, ovvero a base di un soffritto di aglio, olio, peperoncino, salsicce e guanciale oppure pancetta. Entrambi i condimenti possono essere arricchiti con una abbondante manciata di pecorino grattugiato. Ci sono varianti nelle diverse province della regione: per esempio nel Basso Lazio il sugo di salsicce e spuntature prevede che metà delle salsicce siano di fegato; inoltre una parte della polenta non viene coperta col sugo, ma con broccoletti stufati. Nelle zone interne dell’Abruzzo, come a Sulmona, la polenta viene anche infornata e cucinata in bianco con condimento di salsicce.
La polenta fritta è un primo piatto a base di polenta diffuso in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. A Napoli, Foggia, Bari e Messina i triangolini o rettangoli di polenta fritta sono detti scagliozzi o scagliuozzi e sono venduti nelle friggitorie. Si tratta di un piatto tipico della cucina povera barese e messinese. La polenta e salsiccia è una piatto diffuso con numerose varianti in numerose regioni italiane ed è già attestato dall’Artusi che lo proponeva in una particolare versione con polenta tenera di farina di grano turco e salsiccia in tegame con sugo, conserva di pomodoro e parmigiano.
La frascatula, ricetta tipica lucana (ma anche siciliana e calabrese), si prepara con farina di granturco, una patata e strutto. Solitamente si accompagna con del sugo, oppure cotechino o salsiccia. È possibile servirla anche con del vino cotto. La polenta di Sardegna, nota anche come purenta, pulenta o farru (polenta di orzo), sarebbe nota sin dalla civiltà nuragica, come dimostrerebbero i vari mortai e altri strumenti d’epoca usati per la lavorazione di questo alimento e i residui fossili delle colture di piante graminacee utilizzate per ottenere tale farina e sin dal 3000 a.C.. Gli stessi Romani, che in epoca arcaica si cibavano di polenta di farro e orzo, tra il 238 a.C. e il 456 faranno della Sardegna, specialmente della pianura del Campidano, terra di coltivazione delle graminacee, preferendo tra i vari prodotti il grano, ingrediente base per creare la polenta e anche il pane. La produzione fu tale che, durante l’epoca repubblicana, la Sardegna assunse il titolo di “granaio di Roma”. In tempi più vicini, il grano duro resta l’elemento maggiormente sfruttato per creare questo piatto tradizionale isolano, nonostante sia stata usata anche la castagna e la ghianda, per confezionare la preziosa farina, o altri prodotti quali l’avena e la segale, questi ultimi in uso durante il Medioevo e, in seguito, il riso. La farina gialla per preparare la polenta alla sarda è accompagnata da altri alimenti quali la salsiccia, il pecorino sardo, la pancetta magra, nonché verdure e ortaggi quali aglio, cipolla, carota, sedano, prezzemolo, necessari per aromatizzare e arricchire il piatto in questione.
La polenta all’erba amara, piatto tipico della cucina mantovana, viene preparata con farina di mais, burro, erba di San Pietro e grana grattugiato.
Le ricette
La ricetta per la polenta concia
da “la Cucina Italiana“
Per preparare la polenta concia servono 200 g farina di mais, 120 g toma, 120 g fontina valdostana, 120 g burro, parmigiano grattugiato, pepe, sale. Per prima cosa mettere sul fuoco una pentola con 1 l di acqua. Non appena bollirà, salarla e poi versare la farina a pioggia, mescolando con una frusta, per evitare che si formino grumi. Lasciare cuocere per circa 45 minuti, mescolando sempre con un cucchiaio di legno, per evitare che la polenta attacchi sul fondo. Sarà pronta quando si staccherà da sola dalle pareti della pentola. A questo punto aggiungere i formaggi privati della crosta e tagliati a dadini. Mescolare bene, spolverate con un poco di pepe e versare la polenta concia su un piatto da portata o su un tagliere, cospargerla di parmigiano reggiano e di burro, fuso precedentemente in un pentolino.
Crostoni di polenta con il pesce
La polenta ha un sapore molto delicato e versatile e per questo motivo può essere abbinata a qualsiasi altro ingrediente e pietanza a partire dal pesce, dove i crostoni di polenta si combinano perfettamente con i crostacei, l’orata e il baccalà.
- Baccalà e patate formano un’ottima crema da spalmare sui crostoni. Come si prepara?
- prendere 400 g di baccalà ammollato, eliminate la pelle e tagliare la polpa a pezzetti;
- immergere il pesce in 1,5 l di latte e farlo cuocere a fiamma bassa per circa 25 minuti;
- intanto lessare anche 2 patate piccole, sbucciate e tagliate a pezzetti;
- mettere la polpa del baccalà e le patate nel frullatore e frullarli;
- unire al composto 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva, una macinata di pepe e 1 ciuffo di prezzemolo tritato;
- tostare le fette di polenta bramata, e spalmarvi sopra la crema di baccalà e patate.