Sao Tomè e Principe: in Angola, le isole delle banane

Pubblicato il 10 Gennaio 2019 in , , , da stefia
banane

Il Natale è archiviato e io, superata la boa dell’Anno Nuovo, già sento nell’aria il profumo della primavera e della prossima estate.  Le giornate si allungano e così malgrado il gelo, la neve e la pioggia con la mente sono già lontana, in luoghi dove il freddo non arriva.

Sono a Sao Tomè e Principe, un gruppo di isole sperdute nell’Oceano Atlantico, di fronte alle coste dell’Angola, a metà strada dal Brasile. Isole che per lunghi anni sono state sotto il dominio dei Portoghesi che le hanno usate come base per il loro fiorente commercio di schiavi.   La sensazione, appena ci si arriva, e ci si arriva sempre a notte fonda, è quella di essere all’improvviso catapultati alla fine o all’inizio del mondo, dove d’un tratto saltano tutti gli schemi.  Dove la gente vive in modi diversi da quelli a cui noi siamo abituati e anche il paesaggio non ha niente di consueto.

Mi accoglie, infatti, una oscurità solida, densa come un mantello in cui aleggia una sorta di mistero.  Un mondo ancora quasi intoccato, una giungla dolce dove ancora si avvertono spiriti e fantasmi del passato.   Nell’aria salgono i fumi acri della legna bruciata per farne carbone, e ancora l’aroma ambrato del cacao e quello dolce dei fiori tropicali.  Sono arrivata a Sao Tomè per lavoro, devo preparare un pranzo siciliano in un resort di una coppia di simpatici e audaci bergamaschi, Tiziano e Mari,  che, dopo aver traversato tutta l’Africa in bicicletta, anni fa hanno acquistato un pezzo di terra dove coltivano frutta e ortaggi tropicali e nostrani e dove hanno costruito un resort,  piccoli bungalow di legno che si affacciano su un mare intoccato circondati da una natura sfolgorante.

bananeFa caldo anche se siamo nella stagione delle pioggie, un caldo umido che dilata i pori.  Cucinare qui sarà un’avventura, non solo perché non è facilissimo reperire gli ingredienti che servono per un pranzo siciliano, e infatti in parte ce li siamo portati da casa, ma anche perché la cucina non è ventilata e devo friggere arancini per 60 persone!! Per fortuna però sono aiutata da un fantastico gruppo di donne isolane, Maria, Paolina, Branca e Atunisia che non parlano italiano e io biascico poche parole di portoghese, ma in cucina ci si capisce senza parlare e loro si divertono a preparare con me oltre agli arancini, il pesto trapanese, il tonno con la cipollata e il bianco mangiare e a insegnare a me come preparare certi piatti locali a base della tanta e squisita frutta tropicale che si trova qui.

Il giorno dopo vado in giro per l’isola, un luogo dove i ritmi sono lentissimi, slabbrati, trascinati. La gente è allegra, per strada ridono e ti salutano. Ci sono enormi baobab che arrivano al mare, un mare caldo e trasparente ma privo di profumi, non è insomma il Mediterraneo. I bambini nei villaggi giocano con palle di pezza o si divertono a far rotolare copertoni spingendoli con piccoli rami, i maiali grufolano liberi ovunque, le donne lavano i panni a fiume e poi li mettono, come bandiere colorate, ad asciugare al sole, in spiaggia o sulla riva. Sono incantata.

Se il mare non  semina odori in compenso la terra è ricca di fragranze.  Nell’aria si scontrano gli aromi forti del cacao che da sempre è una delle ricchezze di queste isole, e quello più pastoso delle banane.  Di banane ce ne sono di tantissime specie, grandi, piccole, gialle, verdi, rosse, sono dolcissime e profumano ogni cibo a cui si accompagnano. Qui le usano su tutto e per tutto, in particolare con il pesce che acquista così sapori e aromi caraibici.

Al resort le fanno seccare in maniera artigianale, in grandi teche di legno e vetro per poi farne dolci e farine.  Mi piacerebbe molto poter preparare una torta nel forno tradizionale che hanno qui ma ahimè il tempo stringe, resto solo per pochi giorni anche se avrei la tentazione di restarci per sempre, all’improvviso infatti la vita che facciamo dall’altra parte del mondo mi sembra senza senso.  Fosse per me ne starei qui, in panciolle, a essiccare banane e a osservare questa natura sfolgorante. Invece nel cuore della notte mi tocca partire, sotto una pioggia monsonica, carica di strane farine, di marmellate, banane secche e spezie sconosciute.  Ho comprato farine di manioca, di frutto del pao, una strana palla che cresce sugli alberi e che è commestibile, di patata dolce e naturalmente di banane.  E con la farina di banane appena tornata a casa preparo una ciambella .  In una ciotola monto 2 uova con lo zucchero, poi aggiungo 150 gr. di farina di banane, una bustina di lievito, 20 ml di olio di oliva, un pizzico di sale e una vasetto di yogurt, mescolo bene e metto in forno a 180 gradi per circa 30 minuti.  La mangio al mattino appena sveglia, senza affanno, guardando con nostalgia le foto delle isole.