Microabitazioni: prefabbricati e case trasportabili, non solo lusso

Pubblicato il 18 Febbraio 2025 in , da Arturo Dell'Acqua Bellavitis
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Come microabitazioni si possono considerare molti esempi di prefabbricazione avanzata e di nuove tipologie di case trasportabili. Su tutti il “Guscio” di Roberto Menghi e “Le Cabanon” di Le Corbusier

Nel vasto filone delle nuove microabitazioni, rientrano di diritto anche molti esempi di prefabbricazione avanzata e di nuove tipologie di case trasportabili. Le microcase, infatti, sebbene spesso fraintese e tradotte dal marketing del ridicolo in una scorciatoia per rendere redditizi anche immobili privi delle necessarie caratteristiche igienico-funzionali, hanno stimolato negli ultimi anno la ricerca e l’innovazione tecnologica a diversi livelli: dall’arredo integrato multifunzionale alle nuove tecniche di prefabbricazione di strutture e componenti.

Alla base dell’idea dell’abitazione trasportabile è ancora oggi il sogno di poter viaggiare, di poter scoprire nuovi luoghi e, perché no, di tanto in tanto poter cambiare il contesto in si vive. Da qui infatti, generazione di progettisti e sognatori in Italia l’hanno sempre vista diversamente dall’industria di Hollywood, che ha proiettato spesso un’immagine preoccupante delle abitazioni mobili, come luoghi del crimine e dell’emarginazione (da “Kill Bill” di Tarantino fino al futuristico “Ready Player One” prodotto da Spielberg). Del resto, il primo vero nucleo abitativo mobile, l’auto, è in Italia generalmente legata a memorie positive, basti pensare al primo brevetto di Kartell (firmato Roberto Menghi) per un porta-sci per il tettuccio delle automobili, che ancora oggi rappresenta l’azienda ai suoi brillanti esordi, accompagnando l’Italia del boom economico nei suoi viaggi. Da questo stesso immaginario scaturì infatti il compasso d’oro proprio a Menghi per il capanno turistico “Guscio” disegnato per Zanotta nel 1967.

In apertura: aVOID, modello di casa in miniatura con tetto a falda di Leonardo Di Chiara

Progettista “di poche parole”, come è stato recentemente definito dalla rivista “Abitare”, anche i suoi progetti avevano il dono della sintesi: spaziale e formale. Il “Guscio”, riusciva infatti a condensare fino a quattro posti letto in pochissimo spazio, garantendo allo stesso tempo flessibilità ed eventuali funzioni aggiuntive grazie alla modularità di una struttura leggerissima (erano gli anni delle grandi innovazioni italiane nella chimica). La sintesi avveniva inoltre anche sul piano funzionale, rendendo il progetto adatto ad una comoda cabina per i litorali, o a un ermetico gazebo da giardino e, naturalmente, a una micro-abitazione.

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Il “Guscio'”, capanno turistico disegnato da Roberto Menghi per Zanotta nel 1967

Da micro-case a case mobili

Rispetto a questo archetipo italiano della casa mobile, i progettisti italiani contemporanei si sono spostati verso immagini più tradizionali e, abbandonata la space age degli anni ’60, Leonardo Di Chiara ha preferito proporre un rassicurante modello di casa in miniatura con tetto a falda (aVOID), dotato di una riconoscibilità immediata. A dispetto dell’estetica rassicurante del progetto, però, questo modello di ‘casa a schiera’ per “quartieri migratori” rischia di riproporre esattamente gli scenari dispotici americani che il pubblico italiano (e forse alcun pubblico al mondo) sembra non apprezzare particolarmente. Il prototipo realizzato ha invece il grosso pregio di essere realmente trasportabile, leggero e di dimensioni compatibili con quelle di un container, è stato infatti trasportato in diverse città d’Italia e d’Europa dal progettista, che ha potuto così mostrare il lato più attraente di questi progetti: l’idea delle vacanze e del viaggio per tutti, del lusso accessibile, come già negli anni ’60.

In particolare, il piccolo villaggio temporaneo di micro-case costruito a Berlino nel 2017 all’interno del giardino del museo della Bauhaus, aveva infatti già ospitato il primo prototipo funzionante di Di Chiara (“Tiny100”, casa autocostruita di 6 mq con non più di 100 € di materiali). Ben lontana dal risolvere i problemi della carenza di alloggi o dell’esclusione sociale, la mostra-villaggio di Berlino ha infatti mostrato le potenzialità dell’autocostruzione e la natura eminentemente ludica e ricreativa di questi microinsediamenti: dai villaggi vacanze ai campeggi, alla creazione di aree specifiche per permanenza temporanea, fino allo sviluppo di un nuovo tipo di multiproprietà ibrido tra il villaggio turistico e l’area camper, questi progetti possono essere la risposta agli stravolgimenti delle città generate dal turismo mordi e fuggi di Airbnb, introducendo un maggior grado di flessibilità a costi contenuti. Difficile (e sconsigliabile) invece immaginare che le micro abitazioni possano risolvere problemi strutturali della società. A ben vedere, già Le Corbusier, che aveva sostenuto il motto “architettura o rivoluzione” e si era battuto per l’ideale della casa per tutti, aveva sintetizzato molte delle sue invenzioni architettoniche all’interno delle sue “unitè d’habitation” francesi: macrostrutture concepite come conglomerati di piccole microabitazioni sovrapposte, più che appartamenti.

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Interni de “Le Cabanon” di Le Corbusier

I risultati furono inizialmente molto deludenti e in alcuni casi (Berlino) disconosciuti dallo stesso Le Corbusier, mentre in altri generarono quartieri disagiati destinati a un graduale abbandono (Firminy, comune francese situato nel dipartimento della Loira). Solo la fama del progettista e la nascita di un pubblico internazionale di appassionati ha di fatto rivitalizzato in particolare l’unitè di Marsiglia, divenuta quasi luogo di pellegrinaggio degli ammiratori di Le Corbusier, abitata per lo più da artisti e designer, oggi quasi musealizzata e risorta non certo come quartiere popolare.

A non molta distanza (Roquebrune-Cap-Martin) invece è ancora visibile il “Cabanon”: tra tutte le micro-case forse la più famosa e riuscita, tanto che nel 2006 i giardini della Triennale ne hanno ospitato una replica in scala reale di Cassina, che trasformava la semplicità originale del progetto in un manufatto ormai in tutto assimilabile ai prodotti di lusso: tiratura limitata, legno massello levigato con vernice opaca trasparente e lavorazioni con incastri a coda di rondine.

L’originale francese dice però di una strada ancora percorribile e di un lusso forse ancora a buon mercato: un piccolo disegno che il progettista di fama internazionale realizzò in pochi minuti in un bar della Costa come regalo alla moglie per il suo compleanno, prefabbricato con il legno della Corsica e trasportato fino a Roquebrune, dove pare che Le Corbusier abbia detto “Mi trovo così bene nel mio Cabanon che sicuramente terminerò la mia vita qui. E così, sognando di morire “nuotando verso il sole” Le Corbusier terminò i suoi giorni terreni proprio a Roquebrune, d’estate, sulla spiaggia ai piedi di quel Cabanon che, insieme alla maestosa vista del Mar Mediterraneo, ancora si intuisce tra le piccole case visibili dall’alto del piccolo cimitero dove riposano i suoi resti.

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Roquebrune