Il fenomeno delle microabitazioni come incremento della qualità e del valore delle piccole e piccolissime case, anche come strutture ricettive per lo svago e il riposo. Con l’obiettivo di accrescere qualità e benessere
Anche l’Italia, oltre all’Unione Europea, ha recentemente introdotto diverse modifiche di rilievo nel panorama normativo edilizio, in particolar modo con il recente decreto ‘SalvaCasa’, licenziato da diversi mesi e oggetto misterioso ancora oggi, in attesa di una chiara ed efficace traduzione e interpretazione sul territorio, laddove Regioni e Comuni ne definiscono l’effettiva applicazione al di là delle dichiarazioni di intenti.
Evitando di entrare nei dettagli e nelle mille pieghe del provvedimento, una delle principali innovazioni, forse la più chiara introdotta dal testo in oggetto, sembra essere quella che riguarda la riduzione della superficie minima necessaria a determinare l’abitabilità di un’abitazione da 28 a 20 mq.
Criticata e criticabile, per i suoi possibili effetti forse non del tutto compresi dal legislatore, questa misura in particolare, più che aiutare i piccoli proprietari a sanare piccole difformità e abusi minori, così come dichiarato, agirà molto probabilmente come un possibile incentivo alla rivoluzione già in atto nell’epoca degli alloggi Airbnb, del turismo low-cost e dell’esplosione di affitti brevi e brevissimi. Gli effetti di questa rivoluzione, per lo più negativi, sono già oggi visibili e sono stati documentati da sdegnate inchieste e reportage della stampa oltre che dalla pungente ironia di sagaci pubblicazioni come le “Case Milanesissime” di Fabrizio Esposito (meglio noto con il suo pseudonimo di Alvar Altissimo).
Vi è però, al contempo, anche un positivo effetto collaterale già all’opera nella tendenza attuale a ridurre le superfici abitabili, che fa il controcanto alla riduzione degli standard abitativi e che invece mira a un incremento della qualità e del valore delle piccole e piccolissime abitazioni e delle strutture ricettive per lo svago e il riposo. E’ questo il fenomeno delle microabitazioni ben descritto dalle riviste di design e architettura, che non si pone più come obiettivo principale quello di definire gli standard minimi abitativi in funzione dei metri quadrati ma del benessere degli occupanti, nella convinzione di poter ridurre il nostro impatto non solo senza ridurre, ma piuttosto aumentando la qualità dei nostri alloggi.
Progetti come il finlandese ‘Majamaja, un piccolo nucleo di piccolissime abitazioni indipendenti ed energeticamente autosufficienti immerse nella natura, ma anche come il poetico Lileo Ecolodge di Atelier Lavit in provincia di Asti, mirano dichiaratamente a offrire ai propri occupanti di più con meno: più natura, più aria, più vita all’aria aperta, meno spreco, meno energia, meno consumi. Intervistato da Giulia Zappa in una delle storie della piattaforma del Salone del Mobile, l’architetto Lavit ha infatti chiarito come la sua architettura miri a “mettere in opera la natura”, che diventa a tutti gli effetti elemento di progetto, laddove lo spazio esterno non è più soltanto un accessorio, ma diventa un elemento costitutivo della superficie abitabile.
E se i due casi qui menzionati sono essenzialmente delle strutture ricettive concepite e disegnate per offrire un miglior contatto con la natura a visitatori e turisti in ambienti rurali, la politica di una maggior qualità e compattezza del progetto risulta in realtà tanto più efficace proprio in ambito urbano. A partire dalle storiche pareti attrezzate e gli arredi divisori di Gio Ponti, così come anche il letto-abitacolo multifunzione di Munari o la minikitchen di Joe Colombo, il design ha regalato all’Italia una lunghissima tradizione di arredi multifunzionali, sia standard sia unici e su misura, una tradizione ancora molto viva che perdura tanto nel lavoro dei progettisti contemporanei quanto nel sapiente lavoro dei molti piccoli artigiani, o nelle nuove collezioni delle aziende più grandi. Dagli esclusivi monoblocchi trasformabili di Boffi, alle cucine a scomparsa di Molteni, fino ai più accessibili arredi ibridi e supercompatti di Clei o gli armadi abbattibili di Fantin.
Questa tradizione che possiamo, senza falsa modestia, affermare tutto il mondo ci invidia, perdura a cominciare dalla continua evoluzione della ferramenta per arredi, che ha consentito negli ultimi anni innovazioni tutte italiane come lo scorrimento di ante complanari o la scomparsa totale degli ingombri delle maniglie o saliscendi assistiti per le appenderie, frutto di molti brevetti e altrettanto lavoro dei nostri designer e delle nostre aziende, che ancora oggi hanno capacità sorprendenti, a tutti gli effetti sartoriali, nei loro arredi su misura e mai banali nelle soluzioni standard. Le microabitazioni possono da questo punto di vista essere un’occasione di ulteriore sviluppo per questo settore, a patto che l’obiettivo resti quello di un’accresciuta qualità e del maggior benessere, piuttosto che lo smembramento e la parcellizzazione dei nostri appartamenti con arredi finalizzati al turismo “mordi e fuggi”. Aspettiamo con curiosità anche la prossima mostra in Triennale degli esiti dello storico premio di interni Nest Award che, in occasione della Design Week di aprile, mostrerà al pubblico italiano e internazionale i progressi qualitativi del design di interni e delle abitazioni in Cina degli ultimi quindi anni. Nonostante il recente rallentamento dell’edilizia dell’impero Celeste, è infatti innegabile che la sorprendente crescita cinese di questi ultimi anni sia stata in parte dovuta (e qualcuno dice in molta parte) proprio al continuo lavoro di progettisti, costruttori e imprese impegnate a offrire degli standard abitativi sempre migliori e qualitativamente al passo con i livelli tecnologici del mondo contemporaneo.
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