L’idea di ‘casa passiva’ nasce dall’architettura organica grazie non solo a visioni ideali di vita, ma anche a soluzioni concrete e materiali alternativi
Sin dai tempi di Frank Lloyd Wright la cosiddetta architettura organica aveva ricercato un tipo di progettazione che potesse garantire interventi in armonia con il nostro ecosistema. Con il passare degli anni e con il boom edilizio del dopoguerra, questo filone progettuale, seppur divenuto minoritario rispetto all’efficientismo razionalista, non era scomparso, ma aveva dato vita a diversi esperimenti, più o meno utopistici, che avevano ricercato con alterne fortune proprio questo miglior equilibrio tra l’ambiente e le nostre costruzioni.
Dalle velleitarie ‘arcologie’ di Paolo Soleri in America (da lui così definite per fondere i termini ‘architettura’ ed ‘ecologia’) al più pragmatico recupero dei principi di regolazione micro-climatica dell’architettura della tradizione islamica riproposti dall’egiziano Hassan Fathi, l’architettura organica aveva quindi proposto non solo visioni ideali di vita con un’estetica eclettica, ma anche soluzioni concrete e materiali alternativi (persino sperimentali) per costruzioni più attente all’ambiente.
Dall’architettura organica alla casa passiva
Da tutte queste esperienze e grazie a quanto appreso attraverso gli svariati progetti che avevano adottato questa filosofia, già al termine degli anni ’80, in area tedesca, era stato possibile codificare un vero e proprio protocollo per la costruzione di una ‘casa passiva’ in grado di ridurre ai minimi termini l’apporto energetico degli impianti tradizionali per garantire il comfort termico interno. A ben vedere, se Hassan Fathi aveva saputo recuperare alcuni dispositivi classici dell’architettura nordafricana atti a ricreare nelle sue abitazioni del dopoguerra una microventilazione in grado di aumentare il comfort termico degli ambienti senza il ricorso alla climatizzazione, così anche l’architettura occidentale poteva confidare su una lunga tradizione progettuale attenta all’esposizione al sole e ai venti sin dai tempi in cui il riscaldamento interno era limitato e il raffrescamento elettrico impensabile .
Molti di quei principi di buona costruzione, venivano quindi riproposti e perfezionati alla luce delle nuove tecnologie e non più per necessità, ma al fine di diminuire l’impatto ambientale dei nostri edifici e garantendo al contempo minori consumi e spese per la manutenzione. Quest’ultimo aspetto, non le imposizioni di legge, nè gli obblighi connessi alle temperature di progetto o all’impiego di specifiche tecnologie, aveva convinto un numero sempre maggiore di proprietari ad adottare volontariamente una serie di buone pratiche scaturite da un lungo cammino di perfezionamento.
Casa passiva e diagnosi energetica
La casa passiva o ‘passivhaus’ è infatti in primo luogo una casa ben esposta e ben orientata al fine di ottimizzare l’apporto termico del sole, soprattutto considerando che nel contesto europeo il riscaldamento è la principale fonte dei consumi (e delle emissioni) domestiche. La casa passiva è pertanto connessa a un luogo specifico e la progettazione non potrà mai replicare le medesime soluzioni da Oslo a Siracusa, ma dovrà calibrare attentamente gli interventi in base alla zona climatica e all’effettiva esposizione della casa. E’ quindi evidente come in quest’ottica diventi essenziale per gli edifici esistenti lo strumento della diagnosi energetica che, al contrario delle ormai diffusissime attestazioni della classe energetica (APE), non valuta una casa in base a calcoli teorici (spesso eseguiti dai tecnici senza neanche un sopralluogo), ma ne misura l’effettiva dispendio energetico e fornisce un quadro dell’andamento dei consumi al fine di migliorare l’efficienza energetica ed il comfort abitativo.
Le metodologie di intervento proposte dalle buone pratiche di architettura organica saranno conseguentemente scelte in base allo stato di fatto ed alle reali criticità riscontrate, senza dimenticare che una metodologia come questa mira pragmaticamente al massimo miglioramento possibile e non a un ideale assoluto come l’azzeramento delle emissioni di carbonio, nè impone mai l’uso di una tecnologia specifica (per esempio come le pompe di calore) che in qualche caso potrebbe non essere impiegabile o qualora risulti controproducente sotto il profilo costi-benefici.
Anche per questo motivo gli edifici che hanno saputo garantire le prestazioni massime sono a oggi unicamente edifici di nuova costruzione (o pesantemente ristrutturati), come nel caso dei progetti “22 26” realizzati dagli austriaci Baumschlager Eberle Architekten. Il nome del loro programma, direttamente ispirato alla casa passiva, indica infatti la temperatura interna attesa nella stagione invernale (22° Celsius) ed in quella estiva (26° Celsius), temperature che i progettisti hanno garantito unicamente attraverso una gestione scientifica del naturale irraggiamento solare e dei carichi termici endogeni (persone, server, computer, illuminazione…), insieme ai cambi d’aria e ai frangisole.
Grazie al supporto dei nuovi software è stato possibile, infatti, definire il posizionamento ideale dei due edifici realizzati secondo questo programma (in Austra e Svizzera) e orientare le finestre in modo che l’irraggiamento solare venisse massimizzato durante la stagione invernale e contenuto il più possibile in quella estiva, riducendo drasticamente il fabbisogno di riscaldamento invernale e climatizzazione estiva.
In secondo luogo il software ha contribuito a calcolare con precisione anche l’apporto termico delle attività umane interne e il fabbisogno di ricambi d’aria, approdando alla decisione di separare le superfici illuminanti (finestre fisse) dalle aperture per l’aerazione (più piccole e opache), che un secondo software, installato nelle centraline di controllo interne, apre o chiude automaticamente solo quando necessario: per ossigenare gli ambienti, o per ridurre la temperatura interna favorendo la ventilazione.
Questa strategia, unitamente a una progettazione oculata dell’inerzia termica data dalla massa dell’edificio, ha in breve consentito ai due edifici di realizzare la condizione ideale ricercata dalla casa passiva: quella di un’architettura confortevole senza alcuna necessità di impianti di riscaldamento o climatizzazione. E se, come chiarito, la tecnologia e i più moderni software sono stati in questo caso indispensabili per la fase di progettazione nonché per la gestione in tempo reale di ventilazione e aerazione, il principio per cui una massa muraria consistente, a elevato spessore e ben isolata, è in grado di accumulare il calore in eccesso rilasciandolo lentamente a smorzare i picchi stagionali della temperatura esterna, era un principio intuitivo già noto ai nostri antenati, le cui case e chiese dalle larghe mura si mantenevano più fresche in estate e meno fredde in inverno rispetto all’ambiente esterno proprio grazie alle spesse mura. L’architettura organica ha avuto (e ha), quindi, il pregio di saper preservare le nascoste intelligenze degli antichi edifici, senza negare al contempo il prezioso apporto delle nuove tecnologie.