Riforma Contratti dopo il Jobs Act: quali cambiano, quali restano o spariscono

Pubblicato il 6 Marzo 2015 in , da redazione grey-panthers

I decreti attuativi del Jobs Act approvati hanno completato la Riforma dei Contratti prevista dal Governo, introducendo il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, eliminando progressivamente una serie di tipologie contrattuali come le collaborazioni a progetto o le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, riformando altri istituti come il part-time, mentre restano inalterati ad esempio il tempo determinato e l’apprendistato. Vediamo un breve vademecum riassuntivo della Riforma Contratti, comprensivo delle misure inserite nei diversi decreti attuativi della delega del Jobs Act, che mette in luce cosa cambia.

=> Jobs Act: come cambiano contratti e lavoro

Il contratto a tempo indeterminato
Una delle misure portanti della Riforma Contratti riguarda il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, che viene applicato a tutte le nuove assunzioni. In pratica, chi è già assunto a tempo indeterminato resta con il vecchio contratto, ma a chi trova lavoro o lo cambia viene invece applicato il nuovo contratto. Questa riforma è contenuta in un decreto ad hoc, che ha già terminato l’iter attuativo e di cui si attende a giorni la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per la definitiva entrata in vigore. La norma è lo “Schema di decreto legislativo in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 Recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti“. C’è una precisazione importante per le PMI con meno di 15 dipendenti: nel caso in cui superino questa soglia con assunzioni a tutele crescenti, applicano le nuove regole sui licenziamenti anche ai vecchi assunti.

=> Guida al contratto indeterminato a tutele crescenti

In estrema sintesi, cambiano le protezioni dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero le norme sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto, che resta inalterato solo per i licenziamenti nulli o discriminatori. Per tutti gli altri, quindi giustificato motivo oggettivo e soggettivo e giusta causa, ovvero sia per i licenziamenti economici sia per quelli disciplinari, è previsto un risarcimento economico pari a due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità. Nel caso di licenziamenti disciplinari (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) resta il reintegro se in giudizio si dimostra l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.

=> Licenziamento con il nuovo articolo 18: esempi concreti

Un’altra novità relativa al tempo indeterminato è contenuta nella Legge di Stabilità, e prevede per le assunzioni 2015 una decontribuzione per tre anni, al 100% fino a 8.060 euro su base annua. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo è quello di rendere maggiormente conveniente per le aziende la stipula dei contratti a tempo indeterminato, rendendoli meno costosi ad esempio rispetto al tempo determinato.

=> Assunzioni agevolate 2015, regole operative INPS

Contratto a tempo determinato
Qui il testo di riferimento (come per tutti gli altri contratti che seguono) è invece il decreto di Riforma Contratti, che è stato approvato dal Governo nel consiglio dei ministri dello scorso 20 febbraio e che ora deve percorrere l’iter dei decreti attuativi delle deleghe, quindi passare per il parere dalle commissioni parlamentari e dalla conferenza stato regioni (ci vogliono circa un paio di mesi). In pratica, viene confermato in toto l’impianto del Decreto Poletti 2014: il contratto a tempo determinato è consentito per tre anni senza causale (36 mesi), non può riguardare più del 20% dell’organico aziendale a tempo indeterminato, tranne che nelle micro-imprese fino a cinque dipendenti, che non hanno nessun paletto all’applicazione. Sono esenti dal limite del 20% anche le start-up innovative, le assunzioni di lavoratori con almeno 55 anni, le sostituzioni di dipendenti assenti, le attività stagionali, i contratti per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi.

=> La riforma del contratto a tempo determinato

Apprendistato
Anche qui confermato il Decreto Poletti del 2014. Restano quindi tutti i contratti di apprendistato già previsti (per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale; professionalizzante; di alta formazione e ricerca). La durata minima è di sei mesi, alla scadenza le parti possono recedere (previo preavviso), oppure il contratto diventa a tempo indeterminato. Ci sono regole precise per la formazione durante l’apprendistato.

=> Apprendistato: Linee Guida

Collaborazioni a progetto
In pratica si tratta di una forma contrattuale destinata a sparire, anche se sono previste una serie di eccezioni. I contratti in essere possono proseguire fino a scadenza, solo per questo 2015. A partire dal 2016, invece, vanno trasformati. Scatterà il tempo indeterminato se la prestazione è continuativa, di contenuto ripetitivo, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento a tempi e luogo di lavoro. Potranno invece sopravvivere i contratti a progetto nel caso in cui ci siano specifici accordi con i sindacati, oltre che per i professionisti iscritti agli ordini, e i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni. Tutto questo vale per il privati, nella PA è tutto rinviato al 2017.

Infine, i datori di lavoro che trasformano da subito a tempo indeterminato collaboratori a progetto o consulenze a Partita IVA, estinguono automaticamente le violazioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso (a meno che non siano state già accertate).

=> Jobs Act, collaborazioni a progetto addio

Part-time
Qui ci sono una serie di modifiche, che si inseriscono comunque in un panorama che vede invariate le regole fondamentali. Restano tutte le possibilità attualmente previste di part-time orizzontale (riduzione orario giornaliero), verticale (riduzione settimanale o mensile) o misto, ma vengono introdotti nuovi paletti per il lavoro supplementare o straordinario. Il primo, possibile solo per il part-time orizzontale, nel caso in cui non ci siano paletti specifici nei contratti naizonali, è consentito solo fino al 15% dell’orario settimanale pattuito. Il lavoro straordinario, applicabile al part-time verticale o misto, sempre nel caso in cui non ci siano disposizioni nei contratti collettivi, è consentito fino al limite del 25% dell’orario concordato. In entrambi i casi, la retribuzione deve prevedere una percentuale di maggiorazione sulla retribuzione oraria globale pari al 15%.

Altre novità riguardano la trasformazione del rapporto: introdotta una nuova possibilità di part-time alternativo al congedo parentale (qui il riferimento è il decreto sui tempi di conciliazione lavoro-famiglia, anch’esso all’inizio dell’iter), che prosegue per tutta la durata del congedo (quindi sei mesi a testa per ogni genitore per un massimo di 10 o 11 mesi), e che poi torna automaticamente a tempo pieno. Previsto poi il diritto al part-time in alcuni casi gravi di malattia, e c’è diritto di precedenza nella trasformazione del contratto per alcune esigenze di cure parentali.

=> Riforma Contratti Jobs Act: il nuovo part-time

Associazione in partecipazione
Viene eliminato il contratto di associazione in partecipazione che prevede anche una prestazione di lavoro: i contratti in essere proseguono fino a scadenza, non se ne possono stipulare di nuovi. Tecnicamente, sono abrogati il secondo e terzo comma dell’articolo 2549 del codice civile e l’articolo 1, comma 30, della legge 92/2012.

Altri contratti
Lavoro intermittente: non ci sono novità sostanziali, resta sempre possibile per i lavoratori con più di 55 anni o con meno di 24 anni di età, è ammesso per un massimo di 400 giornate lavorative in tre anni;
somministrazione: anche qui, tutto invariato. I dipendenti in somministrazione non possono superare il 10% dell’organico a tempo indeterminato;
lavoro accessorio: qui ci sono invece regole estensive rispetto alla precdente normativa. L’utilizzo dei voucher lavoro viene ampliato a tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite di 3mila euro di corrispettivo annuo. In generale, il limite annuo della somma dei committenti è pari a 7mila euro, mentre ogni singolo committente non può superare i 2mila euro.