Non solo pensioni tra le sfide che il Paese si trova ad affrontare per uscire dalla crisi ma anche sostegno ai lavoratori che hanno perso il lavoro, faticando a trovarne un altro e senza i requisiti pensionistici: per gli over55 (lavoratori compresi nella fascia di età tra 55 e 65 anni) prende forma il Piano INPS sul reddito minimo garantito, come anticipato dal presidente dell’istituto previdenziale, Tito Boeri, in audizione davanti alla commissione Affari Sociali, alla Camera dei Deputati.
=> Pensione anticipata e reddito minimo: il Piano INPS
Entro giugno, spiega Boeri, l’INPS presenterà una proposta specifica per andare incontro alle esigenze di queste persone. Non ci sono, al momento, dettagli sul modo in cui l’istituto sta studiando di intervenire, se si tratterà di un reddito minimo o di una prestazione di diverso tipo. Si tratterebbe, comunque, di una soluzione che si autofinanzia. Una:
«proposta di riforma chiavi in mano», che si può mettere in atto immediatamente, anche perché «esistono già strumenti normativi e coperture».
=> Salario minimo, la mappa europea
Ammortizzatori sociali
Si tratta di lavoratori che richiedono un intervento specifico, che non può trovare realizzazione nell’ambito delle politiche attive per il lavoro in quanto, pur volendo ricollocarle, tali figure non riuscirebbero a trovare una nuova occupazione in quanto non sufficientemente richieste sul mercato: solo il 10% riesce a trovare un nuovo posto. Gli unici strumenti attualmente disponibili sono dunque gli ammortizzatori sociali come l’ASpI (ora sostituita dalla NASpI). In arrivo anche l’ASDI; che però ancora non è operativa (Boeri assicura che l’INPS renderà lo strumento il più efficace possibile). Ma tutto questo non basta.
Scenario
Nell’attesa di conoscere con precisione in che modo la proposta INPS andrà incontro al problema degli ultra55enni che perdono il lavoro, Boeri propone un’analisi della crisi e del mondo in cui l’Italia l’ha affrontata, abbastanza severa.
La povertà è aumenta di un terzo, nel senso che la percentuale di famiglie sotto l’indice di sussistenza è passata dal 18 al 25%. Significa che ci sono dagli 11 ai 15 milioni di persone in condizioni di povertà. E’ successo nel giro di sei anni, e «nella storia di questo paese non c’erano mai stati fenomeni di questa portata». Non solo: la crisi ha avuto impatto negativo soprattutto sulla parte più debole della popolazione: il 10% di italiani con il reddito più basso ha visto le entrate diminuire del 27%, il decile più ricco (significa il 10% di popolazione che guadaga di più), ha subito un decremento del 5%, e la percentuale è molto simile per le fasce intermedie.
Era inevitabile? Si chiede il presidente dell’INPS, che immediatamente risponde: «no, non era affatto inevitabile». Basta guardare gli altri paesi, che hanno subito la stessa crisi, che hanno visto il reddito nazionale scandere del 7%, ma senza incremento dei tassi di povertà.
Traduzione: l’Italia ha fatto pagare la crisi alle fasce sociali più deboli, contrariamente a quanto è successo nel resto d’Europa. La ragione? Un sistema di prestazioni sociali inefficace. Ancora numeri: solo il 3% delle prestazioni sociali va al 10% più povero della popolazione, contando anche le pensioni (che però non sono uno strumento di assistenza). Togliendo le pensioni, la percentuale arriva al 10%. Evidentemente, troppo poco: appuntamento a giugno, per conoscere i contenuti del piano INPS.
(Fonte: Webtv Camera dei Deputati – audizione Boeri)