L’invasività delle nuove tecnologie distrugge posti di lavoro? I casi di : alcuni leader del commercio elettronico sono emblematici: nel 2012 avrebbero contribuito all’eliminazione di alcune decine di migliaia di posti di lavoro in tutto il settore commerciale solo negli Stati Uniti. E Instagram, comprata da Facebook tre anni fa per un miliardo di dollari, contava all’epoca solo 13 dipendenti. Se ci limitassimo a questi dati la risposta alla domanda iniziale non potrebbe che essere positiva.
«E’ vero che le aziende digitali hanno pochi dipendenti ma hanno anche dimostrato di poter creare nuovi lavori, nuove startup e nuovi modelli di business», chiarisce Giulio Xhaët. Xhaët, che è coordinatore in area digital per la busines school del Sole24Ore e che ha appena firmato assieme a Ginevra Fidora il libro «Le nuove professioni digitali» (Hoepli), ha anche argomenti quantitativi a sostegno del suo ottimismo. Secondo l’osservatorio Digital & New media di Michael Page, infatti, il digitale offre segnali confortanti per lo sviluppo occupazionale: il trend oscilla tra il 20 e il 27% di crescita annua a seconda del ruolo specifico richiesto.
Un’altra indagine, realizzata dal Politecnico di Milano su 100 direttori del personale, identifica le professioni digitali più richieste. Intesta c’è l’“eCrm&profiling manager” che deve ottimizzare le relazioni con i clienti attraverso il digitale. Quasi introvabile è anche il “Chief innovation officer” che deve proporre modelli innovativi di business per sfruttare le risorse digitali a disposizione. Xhaët e Fidora nel loro libro segnalano anche altri professionisti super ricercati. Richiestissimo è per esempio il “Data scientist”, che va a caccia dei trend socioculturali aggregando enormi quantità di dati per aiutare le aziende nelle scelte strategiche. Tra i più cacciati c’è anche il Seo, che sta per “Search engine optimization” ma anche, scherzosamente, per Super eroe dell’ottimizzazione. E’ il professionista che collega, attraverso il campo dei motori di ricerca, le domande degli utenti alle risposte dell’azienda per cui lavora, ottimizzando le strade che dai canali Search del marketing portano al sito dell’impresa.
Non si creda però che le professioni digitali più richieste siano appannaggio dei soli “smanettoni” con formazione scientifica e che gli “umanisti” siano tagliati fuori. «Oggi Internet apre le porte anche a chi ha nel proprio background una preparazione non scientifica. — commenta Fidora — Le aziende cercano soprattutto le competenze trasversali: solide basi di economia e statistica ma anche capacità di gestire efficacemente contenuti e relazioni». Un esempio? Uber sta cercando 427 laureati con competenze umanistiche e “solo” 168 con formazione scientifica.
(Fonte Corriere della Sera)