La Commissione europea ha inviato oggi all’Italia un nuovo sollecito affinché essa ottemperi alla pronunzia formulata nel 2008 dalla Corte di giustizia europea in base alla quale l’esistenza di età pensionabili diverse per funzionari pubblici uomini e donne viola il principio della parità di retribuzione. L’Italia ha introdotto nuove disposizioni per adeguarsi alla sentenza della Corte a seguito di una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione. Nella lettera complementare di costituzione in mora adottata oggi, la Commissione sostiene però che le disposizioni varate dall’Italia – che porterebbero gradualmente nell’arco di otto anni a una equiparazione dell’età pensionistica – fa persistere il trattamento discriminatorio.
La parità retributiva tra le donne e gli uomini è consacrata all’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Nel contesto delle pensioni da lavoro ciò implica che l’età pensionabile deve essere la stessa per le donne e gli uomini. La Corte di giustizia europea ha confermato a più riprese che le pensioni dei funzionari pubblici vanno considerate alla stregua di retribuzioni e di regimi professionali.
Il 13 novembre 2008 la Corte ha statuito che il regime applicabile ai funzionari pubblici italiani gestito dall’INPDAP (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) è discriminatorio poiché applica alle donne e agli uomini età pensionabili diverse. Questo era anche il punto di vista della Commissione allorché ha aperto nel 2005 la procedura d’infrazione contro l’Italia.
Nel giugno 2009 la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora perché l’Italia non aveva adottato disposizioni giuridiche nuove che fossero in linea con la sentenza. Nella sua risposta alla Commissione l’Italia ha notificato il varo di nuove disposizioni che introducono gradualmente, fino al 2018, un’età pensionabile identica per tutti i dipendenti pubblici. In forza delle disposizioni del decreto l’età pensionabile per le funzionarie pubbliche aumenterebbe gradualmente e arriverebbe allo stesso livello di quella degli uomini – la cui età pensionabile legale è fissata a 65 anni – soltanto nel 2018.
La Commissione ritiene, anche in conformità della giurisprudenza dell’UE, che tale misura transitoria continui ad applicare un trattamento discriminatorio e sia quindi inadeguata. La Commissione ha pertanto deciso di emanare un’ulteriore lettera di costituzione in mora all’indirizzo dell’Italia in forza dell’articolo 260, paragrafo 1, del TFUE, sollecitando le autorità italiane a ottemperare alla sentenza.
Iter procedurale
L’articolo 258 del trattato conferisce alla Commissione la facoltà di procedere nei confronti di uno Stato membro che non adempie ai propri obblighi.
Se constata che la disciplina comunitaria è stata violata e che sussistono i presupposti per avviare un procedimento di infrazione, la Commissione trasmette allo Stato membro in questione una diffida o lettera di “costituzione in mora” (primo avvertimento scritto), in cui intima alle autorità del paese interessato di presentare le proprie osservazioni entro un termine stabilito, solitamente fissato a due mesi.
Alla luce della risposta dello Stato membro, o in assenza di risposta, la Commissione può decidere di formulare un “parere motivato” (secondo e ultimo avvertimento scritto), nel quale espone chiaramente e in via definitiva i motivi per cui ritiene che sia stata commessa una violazione del diritto comunitario e invita lo Stato membro a conformarsi entro un termine ben preciso, in genere di due mesi.
Se lo Stato membro non si conforma al parere motivato, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee. Se la Corte di giustizia accerta che il trattato è stato violato, lo Stato membro inadempiente è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi al diritto comunitario.
Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire nuovamente la Corte, in applicazione dell’articolo 260 del trattato, chiedendo alla Corte di infliggere una sanzione pecuniaria allo Stato membro interessato.
Se la Corte constata l’inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. Il pagamento è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza
documenti allegati
Avete mai pensato che il fatto di essere donna o uomo vi abbia impedito di ottenere un lavoro? Avete mai assistito a trattamenti ingiusti per motivi fondati sul sesso, o siete mai stati invitati ad operare una discriminazione? Siete stati vittima di abuso, molestie o avete semplicemente avuto la sensazione di essere oggetto di un’ingiustizia?
Interventi da parte dell’UE
L’Unione europea si batte da tempo contro le discriminazioni sessuali. I primi interventi risalgono agli albori della Comunità europea. Sin dal 1957, il trattato CEE contiene una disposizione che vieta la disparità retributiva tra uomo e donna. Dal 1975 l’UE ha adottato diverse direttive sulla discriminazione sessuale e anche la Corte di giustizia europea ha emesso una serie di sentenze in materia. La legislazione europea riguarda i seguenti settori:
I vostri diritti e doveri
È importante conoscere i propri diritti e doveri, quali definiti dal trattato CE e dalle direttive sulla parità di trattamento tra uomo e donna.
Chi è vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ha il diritto di sporgere denuncia, anche se le modalità pratiche possono variare da un paese all’altro.
Nell’Unione europea i datori di lavoro hanno il dovere di impedire ogni forma di discriminazione sessuale sul luogo di lavoro.
Assistenza
Secondo la legislazione europea, gli Stati membri sono tenuti a riconoscere alle vittime di una discriminazione il diritto di denunciare il fatto mediante una procedura giudiziaria o amministrativa. Chi è vittima di una discriminazione sessuale deve in primo luogo familiarizzarsi con le disposizioni e procedure del sistema giudiziario nazionale, verificando ad esempio quali sono le organizzazioni ufficiali incaricate di prestare assistenza alle vittime (vedere: Organismi nazionali per la parità uomo-donna), le procedure giudiziarie e amministrative a disposizione, il sostegno finanziario che si può richiedere per seguire il procedimento, i mezzi di impugnazione previsti, gli elementi necessari per provare che la discriminazione ha effettivamente avuto luogo e le fonti di consulenza e assistenza.
Sono una 582enne, credo di aver diritto a 60 anni a smettere di lavorare. Non faccio la maglia e non ho nipoti. Mi piacerebbe viaggiare, conoscere un po’ di mondo ma non quando dovrò usare (spero di no) il bastone o la sedia a rotelle!!! Grazie Europa, che ci costringi a mantenere i nostri figli bamboccioni che non trovano uno straccio di posto per tutti questi vecchi e vecchie che devono lavorare PER FORZA!!!! Certo per loro la pensione non esisterà ma solo dal lavoro all’ospizio…bella prospettiva!!!