Il dibattito attorno all’uso dei contanti sta tenendo banco in questi giorni in cui ben due provvedimenti, contenuti nella legge di bilancio in approvazione, stanno facendo molto discutere: da un lato da gennaio è previsto un innalzamento del tetto per i pagamenti in contanti, che sale da 2.000 euro a 5.000 euro, dall’altro c’è la proposta di togliere ogni sanzione agli esercenti che non accettano pagamenti con carte e bancomat per spese sotto i 60 euro. Insomma, due provvedimenti che vanno nella direzione di incentivare i contanti a scapito dei pagamenti digitali.
Non esiste infatti diffusione dei pagamenti digitali senza la loro accettazione da parte di negozianti e professionisti. Tuttavia gli esercenti lamentano commissioni troppo alte a loro carico ogni volta che utilizzano un Pos. Capita già oggi di leggere cartelli alla cassa che dicono “Non si accettano pagamenti con carta per importi inferiori a un tot di euro” o durante i saldi. E il provvedimento in Finanziaria, potrebbe farlo diventare perfettamente legale a partire da gennaio.
Il problema delle commissioni, però, c’è e riguarda soprattutto i piccoli esercenti che non hanno la forza contrattuale delle catene della grande distribuzione che possono giocare sull’elevato volume di transazioni per contrattare la riduzione delle commissioni.
Quanto costa ai negozi lasciarci pagare con la carta?
Altroconsumo ha fatto qualche calcolo per capire quanto costa a un esercente farci pagare cashless considerando i principali acquirer italiani (le società che gestiscono i Pos) e basandoci sulle informazioni indicate nei foglietti informativi. Per esempio, se paghiamo con il bancomat la colazione al bar (4,50 euro), il negoziante può lasciare alla banca in commissioni anche fino a 50 centesimi, più del 10% della cifra incassata. Una cena da 90 euro pagata con carta di credito può costare alla gastronomia quasi 4 euro di commissioni. Ma questa è solo la punta dell’iceberg perché alle commissioni sul singolo pagamento si aggiungono le diverse centinaia di euro versate ogni anno per la gestione e la locazione del Pos.
Scontrino al bar (4,50 euro). Commissioni di incasso in euro per circuito | ||||
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Intesa San Paolo | Monte dei Paschi di Siena (Nexi) | Poste Italiane | Unicredit | |
Carte di credito (Visa Mastercard) | 0,50 | 0,18 | 0,18 | 0,2 |
Carte di debito (Maestro, Visa Electron, Vpay) | 0,50 | 0,18 | 0,17 | 0,17 |
Pagobancomat | 0,04 | 0,16 | 0,14 | 0,11 |
Conto pub per 25 euro. Commissioni di incasso in euro per circuito | ||||
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Intesa San Paolo | Monte dei Paschi di Siena (Nexi) | Poste Italiane | Unicredit | |
Carte di credito (Visa Mastercard) | 0,65 | 1,02 | 1 | 1,13 |
Carte di debito (Maestro, Visa Electron, Vpay) | 0,63 | 1 | 0,95 | 0,95 |
Pagobancomat | 0,75 | 0,87 | 0,75 | 0,61 |
Gastronomia acquisti per 90 euro. Commissioni di incasso in euro per circuito | ||||
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Intesa San Paolo | Monte dei Paschi di Siena (Nexi) | Poste Italiane | Unicredit | |
Carte di credito (Visa Mastercard) | 2,34 | 3,69 | 3,6 | 4,05 |
Carte di debito (Maestro, Visa Electron, Vpay) | 2,25 | 3,6 | 3,42 | 3,42 |
Pagobancomat | 1,62 | 3,15 | 2,7 | 2,25 |
Il Governo è consapevole del problema e, per alleviare il peso delle commissioni, dal primo luglio del 2020 ha introdotto il cosiddetto “bonus Pos”, un credito d’imposta del 30% sulle spese pagate dagli esercenti per accettare pagamenti con carte, bancomat e altre modalità di pagamento digitale. Un’agevolazione valida solo per chi fattura meno di 400 mila euro l’anno. Il problema è che il credito di imposta funziona ex post e soprattutto va a ridurre le tasse da pagare che, in questo momento storico, sono state posticipate o sono poche.
Un credito d’imposta per le commissioni
Nel decreto fiscale DL 124/2019 è previsto, per i pagamenti effettuati in modalità digitale a partire dal 1° luglio 2020, un credito d’imposta del 30% sulle spese pagate dagli esercenti per accettare pagamenti con carte, bancomat e altre modalità di pagamento digitale (ad esempio le app); una dosposizione che vale solo per gli esercenti che fatturano meno di 400 mila euro l’anno. Ma su cosa si applica il credito d’imposta? Chi ne ha diritto e come funziona nel dettaglio?
- Rientrano nella definizione di commissione su cui si può beneficiare del credito di imposta sia le commissioni pagate dall’esercente su ogni transazione, sia i costi fissi ad esempio i costi di gestione e locazione del Pos.
- Sono ricomprese le spese sostenute dagli esercenti per tutti i pagamenti digitali fatti da consumatori, quindi non solo con le tradizionali carte di credito, di debito e prepagate ma anche le spese di sistemi alternativi come ad esempio Satispay e simili.
- Vale per tutti gli esercenti, artigiani e professionisti, sia per pagamenti online che fisici avvenuti dal 1 luglio 2020 in avanti, purché gli esercenti, nel corso dell’anno d’imposta precedente, abbiano conseguito ricavi e compensi per un importo non superiore a 400.000 euro.
- Gli esercenti utilizzatori del credito di imposta sono tenuti a conservare la documentazione relativa alle commissioni addebitate per le transazioni effettuate con strumenti elettronici di pagamento. Tale documentazione deve essere messa a disposizione, su richiesta, degli organi dell’amministrazione finanziaria, e conservata per un periodo di 10 anni dall’anno in cui il credito è stato utilizzato.
- Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione rispetto alle tasse da pagare, a decorrere dal mese successivo a quello di sostenimento della spesa e deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi fino a quello nel quale se ne conclude l’utilizzo.
L’Agenzia delle Entrate ha emanato il 29 aprile 2020 un suo provvedimento che regolamenta il funzionamento del credito di imposta del 30% previsto dall’articolo 22 comma 6 del decreto fiscale del 2019; in particolar modo disciplina le comunicazioni obbligatorie che banche ed istituti di pagamento devono inviare all’Agenzia dell’Entrate ai fini del credito di imposta da riconoscere agli esercenti che hanno con loro una convenzione per accettare pagamenti digitali. Le comunicazioni devono essere fatte entro il 20 del mese successivo a quello in cui sono stati effettuati i pagamenti digitali da un consumatore. Banca d’Italia con un provvedimento del 21 aprile 2020 ha inoltre regolamentato le comunicazioni che banche e istituti di pagamento devono inviare periodicamente agli esercenti sulle commissioni pagate affinché sappiano quale credito d’imposta spetti loro. Le comunicazioni devono essere inviate entro il 20 del mese successivo a quello in cui sono state effettuate dai consumatori le spese pagate in modalità digitale.
Che fare allora? La soluzione potrebbe essere di azzerare le commissioni di incasso per i pagamenti inferiori ai 10 euro. In questo modo si favorirebbe l’accettazione dei pagamenti digitali dando una scossa al mercato. D’altra parte, l’esperienza di app di pagamento come Satispay dimostra che con commissioni basse (nessuna sotto i 10 euro e una fissa di 20 centesimi sul resto) ed eliminando il costo fisso del Pos, i piccoli esercenti si avvicinano ai pagamenti digitali.
Qualche piccolo segnale da questo punto di vista si vede anche nelle banche tradizionali ma si tratta di iniziative a tempo niente di strutturale. Per esempio, Intesa San Paolo prevede fino al 31 dicembre 2023 la gratuità di pos e commissioni di incasso per pagamenti entro i 15 euro per i nuovi clienti della banca. E lo tesso fa Unicredit fino a fine 2022 per i nuovi clienti per i pagamenti entro i 10 euro.
Per tutti gli altri invece le commissioni sono salate come abbiamo visto.
Insomma, bisogna ripensare le commissioni sui pagamenti digitali per renderli sostenibili anche per i piccoli esercenti. I consumatori dal canto loro devono poter usare la carta sempre.