Cresce l’età media e mantenersi attivi diventa prioritario. Quello dell’active aging è un concetto che incide direttamente sulla salute fisica e psicologica dei singoli ma anche sulla collettività. Soprattutto in Italia
Si chiama invecchiamento attivo, active aging. La definizione, coniata nel 2002, arriva dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, che lo ha descritto come il “processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità di vita delle persone che invecchiano”. In parole più semplici, riguarda la possibilità, la capacità, la sfida, invecchiando, di mantenersi attivi. Un concetto che incide direttamente sulla salute fisica e psicologica dei singoli (l’active aging come strumento per aspirare sempre di più ad un healthy aging, l’invecchiamento in salute) ma anche sulla collettività. Soprattutto in un’Italia — e in parte anche in un mondo — in piena transizione demografica.
“Ci sono due fattori importanti da considerare. Da una parte un aspetto positivo, l’aumento dell’attesa di vita alla nascita, che attualmente è di 81 anni per gli uomini e 85 per le donne, dunque in media circa 83 anni. Dall’altra, il calo della natalità che ha portato il nostro Paese ad avere uno dei tassi più bassi nel mondo, un dato che inevitabilmente determina il sempre maggiore invecchiamento della popolazione — spiega Tiziano Lucchi, direttore dell’Unità operativa di Geriatria del Policlinico di Milano —. Attualmente l’indice di invecchiamento è del 24 per cento però, secondo il più recente Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese, nel 2040 salirà al 32,5 per cento”. Un italiano su tre, scrive il Censis, nel 2040 avrà più di 65 anni “e, dato ancor più preoccupante — nota Lucchi — nel 30 per cento dei casi si tratterà di anziani in completa solitudine”. Un’emergenza sociale per cui l’invecchiamento attivo può diventare una risorsa necessaria.
Il tema dell’active aging è di stretta attualità, tanto da essere entrato nell’agenda politica: “La legge di riferimento è la numero 33 del 23 marzo 2023 di cui è stato da poco approvato in Consiglio dei ministri il decreto attuativo: una legge che mette al primo punto la materia dell’invecchiamento attivo, della promozione dell’inclusione sociale, della prevenzione della fragilità”. Un riconoscimento dell’importanza strategica dell’active aging come forma di prevenzione ‘collettiva’: “Mantenersi attivo — nota Lucchi — è sicuramente un’opportunità per il singolo anziano ma, alla luce del costante invecchiamento della popolazione, diventa anche una strategia di sostenibilità da un punto di vista sociale”.
Sul fronte previdenziale, per esempio, e in generale per la società di cui gli anziani possono mantenersi parte attiva, “preservando una loro autonomia funzionale” che li renda quanto più possibile utili e partecipi, per sé e per gli altri. Invecchiare, dunque non è solo questione di longevità: “Non solo vivere a lungo, ma vivere bene — continua Lucchi —: secondo i dati Istat, a 65 anni abbiamo ancora un’attesa di vita che può essere superiore ai 20 anni, però per meno del 50 per cento è un’attesa di vita attiva. In altre parole, più della metà di questa attesa di vita è gravata da una disabilità più o meno importante”.
Il recente convegno ‘L’anziano tra fisiologia e patologia. Funzioni sensoriali e invecchiamento attivo’ tenutosi a Milano e promosso dal Policlinico con il patrocinio dell’Università degli Studi di Milano, Ordine provinciale dei Medici e Chirurghi di Milano e Società italiana di Gerontologia e Geriatria e dedicato alla memoria di Carlo Vergani, grande geriatra scomparso nel 2020, ha guardato al confine tra fisiologia e soglia patologica. Un confine che, in corso di invecchiamento, progressivamente si assottiglia, perché l’anziano “perde quella riserva funzionale di cui siamo dotati alla nascita, necessaria per far fronte alle forze destabilizzanti della vita, e diventa così più fragile, più vulnerabile”: “Quest’anno abbiamo scelto di approfondire il tema dei deficit funzionali perché problemi a vista, udito, olfatto, gusto e tatto, possono pregiudicare in maniera importante il benessere, l’autonomia e l’inclusione del soggetto anziano”.
Un consiglio pratico per affrontare l’età che avanza? “Di recente al Milan Longevity Summit ha parlato Nir Barzilai, genetista israeliano ritenuto tra i maggiori esperti mondiali di longevità: lui indica quattro pilastri della longevità, ossia l’esercizio fisico, la corretta alimentazione, un sonno sufficiente (almeno otto ore), ma soprattutto le connessioni sociali. Ecco — conclude Tiziano Lucchi — mantenere delle relazioni sociali, una vita affettiva, dal punto di vista della longevità è davvero importante”.
Fonte: Corriere della Sera, 13 giugno 24