Recentemente sono stati resi noti alcuni dati significativi sull’aumento delle persone ultraottantenni che si recano al pronto soccorso degli ospedali. Il numero è infatti cresciuto del 58% tra il 2005 e il 2015 e rappresenta il 12% delle persone che accedono a questo servizio. Sono circa 100.000 cittadini in più ogni anno, con un aumento dei ricoveri pari al 50%.
Il fenomeno è allarmante, perché l’aumento supera di gran lunga il contemporaneo aumento dei cittadini di quella fascia di età; evidentemente alla base vi è stato un qualche cambiamento epidemiologico ed organizzativo. Una prima ragione è che sopravvivono sempre più anziani ammalati, grazie ai progressi delle cure e all’organizzazione sanitaria. Fortunatamente il grande vecchio non è più considerato persona sulla quale agire solo in modo palliativo, ma un paziente che ha diritto a cure specifiche per le diverse patologie che lo hanno colpito; peraltro, spesso l’atteggiamento palliativo è stato in passato solo una copertura per nascondere disinteresse e tendenza all’abbandono. Un’altra causa potrebbe essere la scarsa propensione delle famiglie ad affidarsi alla medicina di famiglia in presenza di eventi acuti, sia per la ridotta disponibilità del medico, sia perché questi non è ritenuto adeguato a gestire le cure delicate che devono essere dedicate ad un anziano.
A questo proposito, molti si augurano che la nuova prospettata organizzazione della medicina di famiglia cambi sia la realtà oggettiva (più tempo a disposizione degli ammalati, anche con visite a domicilio se necessarie), sia la percezione soggettiva circa la capacità di gestione di casi complessi. Resta aperta la discussione su come organizzare la copertura delle 8 ore notturne; fino ad ora nessuno ha portato dei numeri in grado di supportare l’uno o l’altro punto di vista. Sarebbe stato sufficiente misurare quanti ricoveri in pronto soccorso di persone anziane sono stati realmente evitati dalla guardia medica, evitando di prendere decisioni sulla base del “secondo me”… Ma quando l’organizzazione sanitaria e le relative decisioni inizieranno ad essere fondate su valutazioni quantitative? Fino a quando dovremo sopportare la prevalenza rispetto alle decisioni di motivazioni sindacali od economiche, che nulla hanno a che fare con il bene dei cittadini?
La problematica quantitativa ha sollevato l’attenzione sulle modalità di assistenza alla persona molto anziana quando accede al pronto soccorso; infatti, essendo una condizione recente vi sono poche esperienze al proposito. Il pronto soccorso non deve trattare la persona molto anziana come tratta l’adulto o il giovane; infatti l’ultraottantenne è fragile dal punto di vista clinico, perché portatore di molte patologie contemporaneamente, ha spesso una compromissione più o meno grave dell’autosufficienza, talvolta è solo, vive con angoscia le incertezza legate alla sua sintomatologia e attende con ansia il responso dei medici, può avere una demenza, che complica il processo diagnostico ed i successivi trattamenti. Vi è il rischio che un’accoglienza inadeguata possa aggravare la condizione della persona ammalata (spesso molto compromessa al momento in cui accede al pronto soccorso), che si trova in uno stato di grave disagio, sia per la sintomatologia (dolori, dispnea, ansia, delirium, ecc.) sia per l’ambiente non famigliare, la scarsa attenzione, i timori per il futuro. Inoltre è necessaria una grande sensibilità clinica da parte del personale medico ed infermieristico, per evitare un inquadramento clinico errato, che può portare da una parte ad un ricovero inutile oppure, al contrario, a dimissioni inappropriate, che aumentano il rischio di un peggioramento del quadro clinico, il quale a sua volta induce ad una grave stato di incertezza nei famigliari, che spesso porta da un ritorno entro breve tempo al pronto soccorso.
Fortunatamente la problematica è al centro delle attenzione dei sanitari; da varie parti si suggeriscono procedure specifiche adatte all’anziano fragile, in particolare per abbreviare i tempi di attesa. Da molti anni è stato proposto una codice specifico, che segnali la presenza in pronto soccorso di un anziano fragile; il tutto porterà in ogni regione italiana ad evitare le ingiustizie delle quali talvolta in passato (e purtroppo anche oggi) sono state vittime le persone non più giovani. In altre realtà sono in via di sperimentazione alcuni reparti di Osservazione Breve Intensiva geriatrica, ambiti dove l’anziano fragile che presenta aspetti diagnostici e prognostici incerti viene preso in carico in modo accurato e multidimensionale per un massimo di 48 ore. Si evitano così i rischi sopra menzionati, sia quelli di ricoveri precauzionali inutili (e dannosi: si ricordi quanto la letteratura scientifica e l’esperienza insistano sui danni che l’ospedalizzazione provoca nell’anziano fragile) sia il rinvio a casa di persone che beneficerebbero di cure adeguate nell’ospedale. Inoltre in un ambiente più protetto è possibile anche una valutazione accurata degli aspetti sociali, spesso strettamente intrecciati con quelli clinici. La solitudine, l’incapacità di autocura dovuta, ad esempio, alla depressione, la non autosufficienza non adeguatamente supportata da un adeguato caregiving rendono drammatica la condizione dell’anziano, che quindi non può essere rinviato al domicilio senza una contemporanea protezione sociale, la cui organizzazione rientra tra i compiti di un pronto soccorso (si pensi al tempo operatore necessario per prendersi cura anche di questi aspetti!).
In conclusione, non mi permetto certo di banalizzare una problematica complessa e spesso dolorosa per chi la subisce; talvolta però basterebbe un po’ di impegno colto e generoso. Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini recenti di un pronto soccorso di Napoli, che è stato per anni una sorta di luogo infernale, fino a che si è deciso di cambiare… oggi è un luogo civile, dove ogni vecchio, per quanto debole, non avrebbe più paura ad entrare!
Contributo del prof Marco Trabucchi, http://www.fondazioneleonardo.it/
View Comments (1)
Non mi convince molto la creazione di reparti di osservazione e di cura intensiva geriatrica per due motivi di fondo. il primo motivo è che spesso l'anziano arriva già spaventato dal suo essere invecchiato e malato , per cui la classificazione e la separazione conseguente, rispetto a tutto il resto della popolazione dell'ospedale, non è incoraggiante. Se l'anziano non autosufficiente e /o soggetto di demenza senile può giovare da una situazione isolata e protetta , l'ottantenne o ultraottantenne lucido , ma con fragilità di salute , a mio vedere , gradisce la permanenza nel mondo a cui è abituato fatto di persone di tutte le età.
il secondo motivo è invece una seria preoccupazione che un reparto di questo tipo finisca inevitabilmente con il diventare un reparto di cure di accompagnamento che meglio soddisfa le esigenze della sanità in decisa crisi economica e di risorse di ogni tipo. Tristissimo due volte sapere di entrare in un reparto di questo tipo.
Purtroppo ho sentito fare dei discorsi raccapriccianti a dottori anche molto bravi e competenti : sentire dire loro che gli anziani rubano le risorse della sanità e non sentire invece le loro critiche rivolte a chi le risorse non le sa gestire o le sottrae a chi ne ha diritto , fa intuire che a livello di gestione ospedaliera c'è allineamento con la politica del disinteresse alla vita dell'individuo . Vedere come l'individuo venga sprezzato proporzionalmente alla sua età e a quanto sia di peso nella società a livello famigliare e collettivo , rende l'idea di quanto siamo caduti in basso eticamente nonostante il grande progresso tecnologico.