Ad oggi sono oltre cinque miliardi le dosi di vaccino anti-Covid somministrate nel mondo. Ma di queste, il 75% è concentrato in soli dieci paesi. Davanti alle disparità vaccinali e alla necessità di immunizzare i paesi più fragili di immunizzarsi, i ministri della Salute del G20 riuniti nella cornice dei Musei capitolini del Campidoglio hanno sottoscritto all’unanimità il Patto di Roma, una dichiarazione condivisa affinché – come ha spiegato il ministro Roberto Speranza – il vaccino “sia un diritto di tutti e non il privilegio di pochi”. Il punto, ha chiarito ancora Speranza, è “provare ad allargare la forza dei nostri servizi sanitari nazionali, investire di più su di essi e provare a segnare un cambio di passo significativo che consenta di difendere l’approccio di universalità del Servizio sanitario nazionale” perché, ha detto, “nessuno venga lasciato indietro”. Una riflessione che, nonostante le promesse del passato, ad oggi è contraddetta dalla realtà dei fatti: laddove diversi paesi europei hanno superato il 70% di copertura vaccinale, tra Asia e Africa raramente si va sopra il 40%. Con il Sudafrica fermo al 16% e l’Indonesia al 23%.
Ripartire dalle lezioni apprese?
Tante le questioni sul tavolo nella due giorni di lavori che si è conclusa oggi. Dall’impatto del Covid19 sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030, alle strategie da mettere in campo per prevenire e rispondere alle pandemie del futuro, migliorando le capacità di collaborazione e coordinamento a livello internazionale. Appare sempre più chiaro, infatti, come una risposta efficace alla pandemia debba comportare un maggior sostegno ai paesi più fragili per accelerare il conseguimento degli SDG, in primis quelli legati alla salute. Al contrario, osserva la presidenza italiana del G20, la prolungata emergenza sanitaria “ne ha ulteriormente minacciato l’avanzamento, con stime che indicano un ritardo accumulato di decenni soprattutto in determinate aree del mondo”, rendendo gli sforzi per il loro conseguimento ancora più urgenti e prioritari. Il G20 Salute ha perciò adottato come messaggio centrale il mandato “Build back better” (ricostruire meglio) così come la realizzazione di una maggiore resilienza, di fronte alle crisi sanitarie e non solo.Migliorare i sistemi sanitari su scala globale, nazionale e locale a partire dalle cure primarie e investire importanti risorse nella salute e nel benessere sarà di importanza capitale per sostenere nel lungo periodo il progresso socio-economico mondiale e arrivare ad una maggiore prosperità condivisa. Andrà quindi perseguita una ripresa che tenga conto delle lezioni apprese durante la pandemia.
Approccio One Health?
I ministri delle venti economie più industrializzate hanno anche passato in rassegna gli “strumenti di controllo” che hanno consentito di contrastare con efficacia la pandemia: se il Covid-19 ha fatto emergere le carenze dei sistemi sanitari, al tempo stesso ci ha insegnato come ricerca scientifica, collaborazione internazionale e partnership pubblico-privato riescano produrre risultati eccezionali, come la creazione di vaccini sicuri ed efficaci nel giro di pochi mesi. La crisi ha dunque fatto emergere l’importanza di avere sistemi sanitari solidi ed efficienti, superando decenni di ritardi e investimenti inadeguati. Inoltre, nella consapevolezza che le ultime crisi sanitarie hanno avuto nella relazione uomo-animale-ambiente il principale fattore determinante, una delle risposte chiave che i paesi del G20 suggeriscono ruota intorno all’approccio One Health. Si tratta di un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse e sul riconoscimento che la salute umana, quella animale e la salute dell’intero ecosistema siano legate indissolubilmente.
Garantire vaccini ai paesi poveri?
E poiché l’emergenza sanitaria non sarà esaurita finché non ne saremo fuori tutti, i Ministri del G20 hanno discusso di come assicurare un equo accesso ai vaccini all’intera popolazione mondiale. L’obiettivo – evidenziato nel Patto siglato al termine dell’incontro – è un messaggio rafforzato di cooperazione, solidarietà ed equità, nella convinzione che “nessuno debba essere lasciato indietro”. Gli obiettivi globali dell’OMS prevedono che ogni paese riesca a vaccinare almeno il 10% della sua popolazione entro la fine del mese, almeno il 40% entro la fine dell’anno e il 70% entro la metà del 2022” ha osservato il Direttore Generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus nel corso del suo intervento. “Possiamo ancora farcela ma solo con l’impegno e il sostegno dei paesi del G20”, ha affermato Tedros, poiché sono loro che in qualità di maggiori produttori, consumatori e donatori di vaccini posseggono la chiave per raggiungere l’equità vaccinale e porre fine alla pandemia”. In tal senso, il progetto Covax, che si propone di donare vaccini ai paesi in difficoltà, da solo non può bastare secondo Jeffrey Sachs, economista della Columbia University, autorevole membro della Commissione Covid-19 per la rivista The Lancet e consulente Onu per il clima. Secondo Sachs si deve riprendere in mano il discorso della sospensione dei brevetti e il trasferimento delle tecnologie, per favorire la produzione di vaccini nei paesi che ne hanno bisogno.
IL COMMENTO di Matteo Villa, Research Fellow ISPI
“C’è una dichiarazione, adottata all’unanimità. L’anno scorso, anziché unire il mondo la pandemia lo aveva profondamente diviso. Non c’era accordo su quali misure sanitarie preferire, quanto chiudere o aprire i paesi, quanto stimolo economico fosse necessario. Insomma, su come uscirne insieme. Quest’anno l’accordo è più vicino (e un tentativo era arrivato già a maggio, con la Dichiarazione di Roma) ma rimane un accordo tra “grandi”, mentre i “piccoli” restano a guardare. E così, mentre molti paesi G20 discutono dell’opportunità di somministrare una terza dose di vaccino, buona parte del mondo resta a secco. Sarà anche un mondo più unito, ma unito nella disuguaglianza”.
Fonte: ISPI