Per il paziente diabetico gestire efficacemente la patologia ha significato sino ad oggi ridurre i livelli di glicemia. Ma negli ultimi anni la ricerca ha messo a fuoco un nuovo parametro, sinora sottovalutato, che non si limita al semplice controllo della glicemia ma si concentra sulle sue fluttuazioni con un’attenzione particolare al suo andamento “a picchi e valli”.
Nel paziente diabetico, infatti, la quantità di glucosio nel sangue varia nell’arco dell’intera giornata e da un giorno all’altro. Conseguentemente diversi organi e tessuti sono sottoposti ad un eccesso di glucosio circolante (iperglicemia) o ad una carenza dello stesso (ipoglicemia). Entrambe le condizioni sono alla base della progressione delle complicanze del diabete, come il danno dei piccoli vasi della retina, del rene, del sistema nervoso e dei grossi vasi con malattie vascolari quali infarto, ictus e arteriopatia periferica. Il continuo passaggio nell’arco delle 24 ore da una condizione di iperglicemia ad una condizione di ipoglicemia fa sì che le cellule generino sostanze infiammatorie e che aumenti lo stress ossidativo.
“L’ottimizzazione del compenso glicemico è uno degli obiettivi più difficili da raggiungere nel percorso di cura del diabete – dichiara Antonio Ceriello, Direttore del Dipartimento di Ricerca su “Diabete e Malattie Cardiovascolari” all’Institut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS) di Barcellona, Spagna. In letteratura svariati dati dimostrano che per raggiungere questo risultato è importante controllare la glicemia e le sue oscillazioni giornaliere, affinché si possa prevenire l’insorgenza di complicanze, che rappresentano oggi il pericolo maggiore per il paziente diabetico. Le complicanze a lungo termine del diabete aumentano se le concentrazioni di emoglobina glicata superano la soglia della normalità. Tanto più è alta la percentuale di emoglobina, tanto maggiore è il rischio di complicanze –spiega Ceriello”.
In proposito è stato recentemente pubblicato da “Diabetes Care” uno studio clinico che ha dimostrato che l’utilizzo di terapie innovative come vildagliptin è stato associato ad un controllo delle fluttuazioni glicemiche acute giornaliere e ad una conseguente riduzione dello stress ossidativo e dello stato infiammatorio. Lo studio, condotto in Italia, ha arruolato 90 pazienti ed aveva l’obiettivo di confrontare nell’ambito della stessa classe di molecole, gli inibitori della DPP-4, l’effetto del vildagliptin somministrato 2 volte al giorno nei confronti del sitagliptin somministrato 1 volta al giorno.
“I risultati dello studio hanno dimostrato che vildagliptin è più efficace di sitagliptin, nelle dosi e nelle modalità con cui è stato somministrato, nel ridurre le fluttuazioni glicemiche e nel migliorare il compenso metabolico – ha spiegato Giuseppe Paolisso, Ordinario di Medicina Interna e Geriatria, Seconda Università di Napoli ”. Inoltre nei pazienti trattati con vildagliptin, il farmaco non solo si è dimostrato in grado di abbattere il livelli di stress ossidativo in misura significativamente maggiore rispetto a sitagliptin, ma ha anche ridotto significativamente i livelli delle citochine infiammatorie. Avere oggi a disposizione un farmaco come vildagliptin in grado di controllare le variazioni della glicemia e ridurre quindi sia lo stress ossidativo sia i marker infiammatori oggetto dello studio, permette alla glicemia e all’emoglobina glicosilata di restare nei termini stabiliti dalle Linee Guida e quindi di mantenere il paziente in uno stato di miglior controllo – conclude il Prof. Paolisso.
Il diabete, definita malattia del benessere, nel nostro Paese registra numeri e percentuali di incidenza sempre più preoccupanti. Quarta causa di morte a livello globale, il diabete colpisce più di 300 milioni in tutto il mondo e, secondo le statiche, questo numero è destinato ad aumentare nei prossimi 20 anni. Oltre a ridurre le aspettative di vita, il diabete è causa di serie complicanze: malattie cardiovascolari, renali, cecità, amputazione, cardiopatia ischemica, neuropatie e retinopatia.