È partito a Napoli il Workshop “Nanotecnologie nella pratica clinica: carcinoma della mammella, ma non solo”, un meeting al quale parteciperanno i più importanti oncologi italiani, nel quale verranno esplorate le nuove possibilità offerte dall’impiego delle nanotecnologie non solo contro il tumore al seno ma anche nella terapia di altre importanti neoplasie, come il tumore al pancreas, ai polmoni, alle ovaie e all’epidermide.
Cresce infatti in Italia l’incidenza del tumore al seno, ma aumentano anche le risorse terapeutiche innovative a disposizione dei medici. Grazie a queste, a screening sempre più diffusi e alla diagnostica di avanguardia, stanno radicalmente cambiando qualità e aspettativa di vita delle donne colpite dalla malattia. Oggi il traguardo della sopravvivenza a 5 anni è raggiunto da oltre l’85% delle pazienti. Un risultato importante se si considerano i circa 40.000 nuovi casi di tumore al seno che si registrano ogni anno in Italia. La Campania è al primo posto per incidenza nel Sud d’Italia, con più di 3.200 nuove diagnosi l’anno.
Una delle frontiere più avanzate nella lotta al tumore al seno è rappresentata dalle nanotecnologie applicate al trattamento clinico della neoplasia mammaria avanzata: modello di questa evoluzione è il farmaco, paclitaxel albumina, che coniuga il principio attivo paclitaxel con una tecnologia d’avanguardia basata sulle nanoparticelle. Rispetto alla chemioterapia classica, questo approccio aumenta significativamente i tassi di risposta e la sopravvivenza delle pazienti.
Si tratta della prima nanochemioterapia target per le pazienti con carcinoma mammario avanzato. “Per migliorare l’indice terapeutico dei taxani, che sono lo standard of care nel trattamento del tumore della mammella, è stata utilizzata la nanotecnologia che, sfruttando le proprietà di trasporto naturale dell’albumina, ha sviluppato nanoparticelle di albumina legate a paclitaxel”, ha spiegato Sabino De Placido, docente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. “In tal modo la nanotecnologia ha consentito di trasformare un farmaco insolubile come paclitaxel in una forma solubile e iniettabile in nanoparticelle utilizzando l’albumina umana, che trasporta direttamente il farmaco al tumore”
Con questo approccio, il principio attivo si lega dunque all’albumina in nanoparticelle, molecole con dimensione di 130 milionesimi di millimetro (nm), circa 100 volte più piccole di un globulo rosso. Grazie a questa azione, si ottiene il rilascio nel sito tumorale del 49% in più di principio attivo rispetto alla chemioterapia tradizionale e si riducono gli effetti collaterali.
Ulteriore vantaggio di questa tecnologia è il fatto di non richiedere premedicazione e set speciali d’infusione, né i solventi normalmente in uso per i taxani. Le pazienti quindi possono evitare molti dei disturbi, spesso gravi e a volte permanenti, causati da tali prodotti e accorciare il tempo d’infusione a 30 minuti, contro le consuete 3 ore.
(Da: quotidianosanità.it)