Oggi si parla tanto di cure personalizzate, adattate, cioè, al singolo malato e alla sua malattia ed ecco le soluzioni proposte dai medici. Gli oncologi, per esempio, si affidano al Dna; i cardiologi agiscono diversamente, almeno per quanto riguarda la prevenzione di infarto e ictus: studiano la carta del rischio cardiovascolare. Gli esperti del diabete combinano le misure che riguardano l’età e il peso di una persona, la sua glicemia nelle diverse ore del giorno, quella a digiuno e, soprattutto, quella dopo il pasto, la quantità di emoglobina glicosilata nel sangue (in sigla HbA1c, dà un’idea dell’eccesso di glucosio nel sangue, nei tre mesi precedenti), la presenza di obesità o di complicanze come l’insufficienza renale cronica, e stabiliscono il “profilo” del paziente affetto da diabete di tipo secondo (quello dell’adulto) su cui verrà “ritagliata” la cura. Diabetologi come “profiler”, dunque. E pazienti che possono essere inquadrati in cinque “tipi” principali: tanti ne hanno infatti individuati gli esperti dell’Associazione Medici Diabetologi (Amd) che ne hanno parlato a Lisbona in occasione del congresso annuale dell’Easd, l’European Association for the Study of Diabetes. Un approccio “made in Italy” al problema che sta interessando la comunità scientifica internazionale. Attualmente, infatti, esistono linee guida per il trattamento del diabete, che non specificano quale farmaco scegliere per quel particolare tipo di paziente. L’idea è stata allora quella di mettere a punto cinque algoritmi, che identificano altrettante tipologie di diabetici. Grazie a questi algoritmi si può sfruttare al massimo la potenza delle cure oggi disponibili, che vanno cominciate il più precocemente possibile. Esiste infatti una sorta di “memoria metabolica”: se all’esordio della malattia il glucosio rimane alto per troppo tempo (e la spia è appunto l’emoglobina glicosilata), le complicanze del diabete saranno peggiori. Il “profiling” dei pazienti diabetici prende in considerazione anche un elemento su cui gli esperti si sono focalizzati in questi ultimi tempi: la glicemia post-prandiale. Le ricerche dimostrano infatti che la glicemia post-prandiale (il pasto stimola la secrezione di insulina, l’ormone che serve al metabolismo degli zuccheri e che è carente nel diabetico, ndr) sarebbe legata a un maggior rischio di complicanze cardiovascolari. Ecco perché è fondamentale ridurla. Ultimo, ma non meno importante, elemento per la personalizzazione della terapia: il controllo della glicemia da parte del paziente. L’automonitoraggio serve sia all’inizio, quando un paziente deve essere “catalogato” in uno dei cinque profili, sia dopo, per il controllo dell’efficacia della terapia. Oggi i metodi più diffusi si basano su apposite strisce, dove si fa cadere una goccia di sangue: queste strisce sono, poi, “lette” da un piccolo apparecchio che indicherà il valore della glicemia. I test disponibili (oggi se ne trovano in commercio una ventina) hanno un margine di errore del 20% nel determinare il vero valore della glicemia. Forse un po’ troppo, dal momento che quanto più il dato è preciso, tanto più accuratamente si potrà adeguare la terapia.
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redazione grey-panthers in Salute
Cinque algoritmi per identificare altrettante tipologie di diabetici
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