Il National Institute on Aging Statunitense è attualmente impegnato nel finanziamento di nuovi studi sulla terapia dei malati di Alzheimer finalizzati a “rendere la vita di questi malati e dei loro caregiver meno gravosa”, come specifica lo stesso Sidney M. Stahl, capo del dipartimento Individual Behavioral Processes dell’istituto, che aggiunge che “almeno per il momento, queste nuove ricerche sembrano essere prettamente concentrate su tecniche non-farmacologiche.” Le nuove tecniche menzionate da Stahl includono la somministrazione di cibi particolari, la particolare programmazione delle giornate con arte, musica ed esercizio fisico, e si basano sulla teoria, ampliamente dimostrata, secondo cui creare emozioni positive sui pazienti affetti da Alzheimer diminuisce in loro il senso di angoscia e i loro problemi comportamentali, e che tali emozioni p ersistano anche nella fase successiva al decadimento cognitivo.
Da questo complesso di studi si sviluppano dunque esperienze come quella di Beatitudes, la casa di cura di Phoenix che permette ai pazienti affetti da demenza qualsiasi “vezzo” che porti loro conforto, dal consumo di cioccolata, al “bicchierino della staffa” prima di andare a dormire, dando loro la possibilità di dormire, fare il bagno o cenare quando vogliono, fosse anche alle due del mattino. Lo stesso centro, per impedire ai propri pazienti di prendere l’ascensore e perdersi per l’edificio, o ancor peggio al di fuori di esso, ha sistemato dei tappeti neri davanti alle entrate dell’ascensore, che i malati interpretano come buchi o comunque ostacoli. Il personale ha poi il compito, quando vede i malati aggirarsi nei pressi dei tappeti, di salutarli con espressioni molto cordiali ed enfatiche per far passare loro il messaggio che non vale la pena rischiare di oltrepassare ostacoli quando si è circondati da personale così gentili, e pare che il metodo funzioni e sia meno traumatico di quello di altre case di cura che fanno indossare ai malati braccialetti che emettono un allarme quando questi si allontanano.
(The New York Times, 31 dicembre 2010)- (Fonte Centro Maderna)
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Articolo molto interessante, chissa' se in Italia arriveremo mai a tanto....
Non oso immaginare i costi di un istituto simile, negli usa poi l'assistenza medica e' a pagamento