Buongiorno, Robot! «Hello, Robot», benvenuti, Robot. È questo il titolo di una grande mostra in corso fino al 14 maggio al Vitra Design Museum di Weil am Rhein, non lontano da Basilea. Vi si trovano esempi di automi e androidi, sia nuovi sia storici, in arrivo da tutti i continenti e pensati per le applicazioni più diverse: dall’industria pesante ai lavori domestici, dai trasporti al cinema, dalla logistica all’assistenza ai malati. Ma che cosa c’entrano tutti questi robot con un museo di design — e in fin dei conti con uno dei maggiori produttori di arredi al mondo come Vitra?
Per rispondere a questa domanda è necessario partire da una considerazione generale. Negli ultimi anni abbiamo assistito al graduale ingresso del digitale nello spazio fisico. Questo fenomeno prende talvolta il nome di «Internet of Things» — Internet delle Cose. E rappresenta potenzialmente una rivoluzione senza precedenti nella storia della tecnologia. Le «Cose» contaminate dalla rete possono essere molteplici — qualsiasi oggetto che abita la nostra quotidianità: dagli elettrodomestici agli arredi ai vestiti alle automobili.
Proprio per questo la mostra al Vitra Design Museum assume grande rilievo per il mondo contemporaneo. Oltre a prendere in esame quei robot che hanno popolato l’immaginario collettivo del Novecento, come gli umanoidi Robocop o Terminator, la rassegna cerca di mettere in luce e sistematizzare un fenomeno più ampio. In questo senso potremmo definire come robot qualunque unità dotata di tre elementi di base: «sensori» che consentono di percepire e misurare la realtà circostante; «attuatori» che permettono di produrre una qualche forma di reazione intelligente e possibilmente utile all’uomo; e infine una certa forma di «intelligenza artificiale» per mettere insieme e dar senso a quanto sopra.
In base a questa definizione, sempre più oggetti della nostra vita quotidiana possono essere classificati come robot. Un aspirapolvere Roomba, che spazzola le nostre moquette mentre siamo appisolati sul divano. Un termostato Nest, che ci permette di regolare a distanza la temperatura di casa e di prevedere in modo intelligente quando accendere e spegnere il condizionatore. Oppure un’automobile, che già oggi incorpora migliaia di sensori e attuatori e che presto sarà in grado di gestire livelli di complessità tali da non aver più (per forza) bisogno di una persona al volante.
Proprio il caso della mobilità è particolarmente interessante, e potrebbe aprire scenari inesplorati. Ad esempio la nostra automobile senza guidatore, dopo averci portato al lavoro la mattina, invece di restare parcheggiata da qualche parte potrebbe rimettersi di nuovo sulla strada per raggiungere un passaggio a scuola a nostro figlio o a chiunque altro si trovi nei paraggi. Tramite queste dinamiche di condivisione possiamo immaginare un sistema di mobilità con standard nuovi, a cavallo tra trasporto pubblico e privato. Sulla base di alcune ricerche che abbiamo fatto al MIT, con un sistema di veicoli di questo tipo basterebbe il 20% delle vetture oggi in circolazione per coprire le esigenze di mobilità dei cittadini di una grande città.
Naturalmente si tratta di numeri teorici. Si potrebbero verificare anche scenari di segno opposto: pensiamo al caso in cui le macchine senza guidatore, proprio grazie al loro più intenso utilizzo durante la giornata, vadano a ridurre in modo netto il costo degli spostamenti su gomma — secondo alcune stime fino al 75%. In quel caso, saltare a bordo di un’automobile sarebbe più economico rispetto alla metro o al tram. In queste condizioni i mezzi di trasporto pubblico rischierebbero un’emorragia di passeggeri, mentre un ingorgo permanente inghiottirebbe le nostre città.
Ecco quindi come una stessa tecnologia ci può portare verso scenari molto diversi — a seconda delle nostre scelte collettive. Molto dipenderà da noi, e dalla nostra capacità di adattamento. In funzione di essa capiremo se potremo davvero dire, senza alcuna paura: «Hello, robot», Benvenuti, robot .
Fonte: Corriere della sera, 5/4/2017, pag.42