In Gran Bretagna una app visita il paziente, e lo fa da sola

La tecnologia servirà a rilanciare (anche) l’assistenza sanitaria di base, in crisi un po’ ovunque? Ne sono convinti i 194 Paesi membri dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che nell’ottobre scorso hanno sottoscritto all’unanimità la Dichiarazione di Astana (Kazakistan). “Attraverso il digitale e altre tecnologie, consentiremo a individui e comunità di identificare i loro bisogni di salute, partecipare alla pianificazione e alla fornitura di servizi e svolgere un ruolo attivo nel mantenere la propria salute e il proprio benessere” recita, tra l’altro, l’impegno assunto dai firmatari. Dopo la Dichiarazione di Alma-Ata del 1978, che per 40 anni è stata la base di una politica globale per le cure primarie, la Conferenza mondiale dell’Oms ha dunque ribadito il ruolo fondamentale di quest’area dell’assistenza, ma ha anche riconosciuto nella tecnologia uno dei pilastri del suo rilancio, assieme alle maggiori risorse economiche e al personale in più da dedicare. In linea di principio, il ragionamento non fa una piega. La realtà però è molto diversa.

La teologia come mezzo

Come la tecnologia possa aiutare i medici di base a svolgere bene (o meglio) la loro funzione è ancora un territorio tutto da scoprire. Se ne è parlato anche all’ultimo congresso della Federazione italiana medici di medicina generale. In Italia, i medici di famiglia hanno investito quasi 80 milioni di euro nel 2017 per tenere il passo rispetto al processo di digitalizzazione del Paese. Ma nella categoria esiste una preoccupazione di fondo: “La percezione è che i processi di digitalizzazione vengano presentati come la panacea per risolvere i problemi della sanità e dell’assistenza mettendo da parte tutte le questioni che riguardano l’essenza del processo di cura che è appunto la relazione medico-paziente” sottolinea Nicola Calabrese, presidente di Netmedica Italia la società della Fimmg che si occupa di servizi di sanità digitale per i suoi iscritti. “Francamente l’estremizzazione dell’algoritmo, seppure basato su dati inconfutabilmente scientifici, ci lascia a dir poco perplessi — rincara Enrico De Pascale, direttore generale della Federazione nazionale Ordini dei medici (Fnomceo) —. Il problema è che al centro del sistema ci deve essere la consapevolezza che l’informatica, la digitalizzazione e i processi devono essere uno strumento e non un fine. E che il bisogno di cura non può essere messo mai in secondo piano”.

Passaggi obbligati

Il ragionamento non trova però d’accordo Francesco Ripa Di Meana, presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) che mette in guardia: “Stiamo attenti che se saltiamo il passaggio dall’informatizzazione al digitale rischiamo di far controllare i nostri pazienti dal mercato, perché a un certo punto la velocità con cui i cittadini stanno avendo l’accesso ai servizi e si stanno attrezzando ci lascerà indietro”. Un rischio tutt’altro che remoto, se rivolgiamo lo sguardo al Regno Unito. Nella patria del sistema sanitario universalistico, il National Health System ha stipulato una convenzione con la compagnia privata Babylon, per l’utilizzo, per ora nella sola area di Londra, del servizio ‘GP at Hand’ (cioè «Medico di Famiglia – General Practitioner – a portata di mano»). Che cosa fa Babylon? “Una visita virtuale, supportata da algoritmi di Intelligenza artificiale — ha spiegato Claudio Dario, direttore sanitario dell’Azienda provinciale per i Servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento che lo ha portato ad esempio di come la sanità si stia evolvendo —. Usando un’applicazione il paziente si collega, comincia a dichiarare i suoi sintomi e attraverso algoritmi predefiniti in un contesto scientifico nazionale, inglese, si vanno a selezionare progressivamente delle possibili diagnosi“. In pratica si tratta di una specie di triage, come quello che si fa quando si arriva in Pronto soccorso. I risultati?

Il 50% dei casi risolti dagli algoritmi

“Nel 2018 sono stati arruolati 50 mila pazienti ed effettuate 300 mila visite virtuali — riferisce Dario — il 50% delle richieste si sono risolte con una risposta ritenuta accettabile, data da sistemi automatici di Intelligenza artificiale; nel 30% dei casi si è passati al livello superiore: una visita virtuale, cioè a distanza; nel 20% è stata invece necessaria una valutazione clinica diretta da parte del medico”. Fra luci e ombre (molti criticano anche le basi scientifiche del progetto), Babylon sta pianificando di estendere ‘GP at hand’ a tutto il territorio nazionale. Potrebbe essere questa una soluzione ai tanti problemi che affliggono anche la medicina di base in Italia? Abbiamo chiesto al quartier generale di Babylon Health se qualcuno abbia preso contatti dall’Italia o se siano interessati al nostro mercato, ma non c’è stata risposta. Nel frattempo i nostri medici di famiglia incassano un dato rassicurante: la maggior parte degli italiani – intervistati in una ricerca condotta da Eumetra per BNP Paribas Cardif – conosce l’Intelligenza artificiale, ma l’84% non rinuncerebbe mai al rapporto umano con un dottore.

 

Fonte Corriere della Sera

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