La nostra produzione di Gennaio

Bravi ragazzi,

di Amelia Colombo  Chiara Franzini  Germana Lodigiani   Adriana Sica  Wanda Roda- Corso di Scrittura Creativa © a cura di Lidia Acerboni

Il messaggio sul cellulare diceva: – Torna presto, ci manchi tanto.

Cristina era in piedi davanti al vetro della nursery, nel beato isolamento acustico riservato ai visitatori. All’interno, un inferno di bocche spalancate e braccini agitati. Il figlio di sua sorella era il terzo da destra, il faccino una prugnetta paonazza; vicino a lei sua madre mormorava quant’è bello, nella tipica negazione della realtà dei nonni.

Sì, era ora di tornare, sogghignò Cristina fra sé .

Dieci giorni prima.

Una tipica famiglia borghese, benestante senza ostentazione.

Eugenio era sulla porta, sul viso una espressione incredula. Guardava Cristina salutare i due figli

– E fate i bravi che ormai siete grandi – e pensava che era la prima volta che li lasciava soli.

Se n’era parlato brevemente la settimana prima: sua sorella a Berlino stava per partorire e aveva espresso il desiderio che fossero presenti i familiari. Era stato giusto un accenno.

Poi una sera, finito di caricare la lavastoviglie, Cristina aveva detto – Quando io e la mamma saremo a Berlino, papà sarebbe meglio che venisse a stare qui. Sai com’è distratto. Alice e Davide potranno godersi un po’ il nonno, e mamma sarà più tranquilla –

– Stai parlando sul serio? –

Cristina gli cinse affettuosamente le spalle – Pensa che bello, caro. Dici sempre che ho la fortuna di potermi rilassare dopo il lavoro dedicandomi a casa e famiglia. Adesso potrai trarne giovamento anche tu: lo sai, pensi troppo al lavoro e così sei sotto stress –

Ed eccola qui, bagaglio leggero e cappotto pesante, e un taxi per l’aeroporto in attesa al portone.

La porta si era chiusa alle sue spalle con gran fragore come per una folata di vento, i muri ne sembrarono scossi e tremarono un po’. Il tornado ora si allontanava con un suono di tacchi giù per le scale e svanì dopo un ultimo tonfo del pesante portone.

Colti di sorpresa dall’improvviso silenzio Eugenio e i suoi figli rimasero immobili e muti in un fermo immagine di qualche frazione di secondo. Nell’aria c’era un non so che di sospeso, sembrava che ognuno di loro avesse bisogno di risintonizzarsi su una nuova frequenza. Si guardavano incerti aspettando che fosse l’altro a prendere l’iniziativa per riavviare la scena, per continuare a fare e a dire ciò che normalmente avrebbero fatto e detto.

Il primo a riscuotersi fu Davide – Va be’…io ho già fame, che si mangia stasera?

Era un po’ presto, ma la domanda era pertinente e di sicuro, pensò Eugenio, era rivolta a lui. Una nuvola nera passò minacciosa sul suo viso. Andò in cucina e il suo sguardo si illuminò: il forno era già acceso e il timer segnalava un fine cottura per le 20, ora in cui di solito erano abituati a cenare e già un profumino di carne aleggiava per il locale. Si abbassò a sbirciare dall’oblò di vetro – Magnifico, coniglio arrosto e teglia di patate! –

Poi la sua attenzione fu attratta dai numerosi post it rosa attaccati ovunque, sulla cappa, sui pensili e sul tavolo..sembravano petali svolazzanti. Sorrise a tutte quelle istruzioni, promemoria e raccomandazioni . Cristina si fidava così poco di lui?

Aprì il frigorifero e rimase estasiato: era stipato zeppo, c’era da mangiare per un reggimento!

– Cristina, ti amo!-

Eugenio era soddisfatto, mentre apparecchiava con cura la tavola pensava  a Cristina, così dolce e piena di premure, sì se n’era  andata, ma aveva pensato alla sua famiglia. Si affacciò alla porta della sala e chiamò i ragazzi. – Oh eccovi: che bello dimostreremo alla mamma che siamo in gamba, siamo una squadra, ce la faremo! Davide a che ora fate colazione? A che ora dovete uscire per raggiungere la scuola? Chi dà la pappa a Nike? A proposito dove tiene le scatolette la mamma? E la sabbia quante volte la cambiate nella lettiera? Sapete quando arriverà il nonno? Bisogna andare a prenderlo o viene da solo? – ….Silenzio….- Beh mi raccomando non rispondetemi tutti insieme!-

Dopo cena  Eugenio propose ai ragazzi di andare a dormire.

– E’ presto! – risposero in coro. Gli piaceva pensare a se stesso come un padre comprensivo e liberale, per cui decise di aspettare un’altra ora.

Quando si affacciò alle loro porte, dicendo che ormai era tardi, Alice – Sono in chat con la mia amica – ribattè, e Davide pareva che fosse troppo impegnato a giocare a Star Wars on line per dargli retta. Niente discussioni proprio stasera, si disse Eugenio, e rimandò. Un’ora dopo la scena si ripetè identica. Ma a che ora andavano a letto, di solito? Non ricordava bene. Si sdraiò sul divano, e dieci minuti dopo dormiva sodo di fronte alla tivù. Nelle altre stanze, computer lampeggiavano, risatine venivano lanciate nel web e dardi micidiali uccidevano nemici.

Al mattino la sveglia suonò come sempre alle 7.30

Sotto la doccia Eugenio si riappacificava pian piano col mondo. Aveva un risveglio difficile e l’acqua calda era l’unica cosa che riuscisse a lavar via la sua incazzatura mattutina. Veniva da un altro pianeta e gli costava fatica riacquistare l’uso delle comuni relazioni umane: di prima mattina odiava parlare ma ancor più odiava che gli venissero fatte delle domande e questo Cristina lo faceva puntualmente cinguettando felice come una allodola.

Ottimista, facendosi la barba, pensava a godersi questi piccoli piaceri e magari, fantasticava,  poteva togliersi qualche altra soddisfazione in questa breve vacanza…ma, strano a dirsi, tutto quel silenzio lo distolse dai suoi pensieri: gli mancava il quotidiano rumore di fondo prodotto dai suoi figli. Gli venne un terribile sospetto: stavano forse ancora dormendo?

Aveva indovinato. I ragazzi non volevano saperne di alzarsi nè di andare a scuola: erano andati a letto troppo tardi, dicevano e morivano di sonno. Alice poi, con voce melodrammatica accusava un tremendo mal di testa mentre Davide, nascondendo la testa sotto il cuscino, asseriva che tanto ormai era troppo tardi e non ce l’avrebbero mai fatta ad arrivare prima che chiudesse il portone.

Pazienza, si disse Eugenio, per oggi andrà così.

Mentre usciva per andare al lavoro si presentò con la valigia nonno Piero, borbottando controvoglia che non era un bambino e non aveva bisogno della balia. Quando si accorse che i ragazzi non erano a scuola gli lanciò uno sguardo di riprovazione che costrinse Eugenio a correre via ancora più in fretta.

La giornata volò via veloce, Eugenio tornò a casa sereno. Aveva riflettuto: non doveva farsi prendere dal panico, urgeva una strategia e, diamine, aveva la responsabilità di un intero reparto in ufficio cosa sarà mai gestire per un periodo la sua famiglia? In fondo Cristina era sempre riuscita a far funzionare lavoro e casa, se ci era  riuscita lei ce l’avrebbe fatta anche lui, pensava tra sé e sé,  le donne sono melodrammatiche e in fondo a sua moglie piaceva avere il ruolo della regina della casa.

– Ho bisogno di un question time – disse seria seria Alice, mentre Eugenio scrutava nel frigo per decidere la cena.

– Di cosa?

– Io e la mamma lo chiamiamo così. Quando ho qualche domanda da fare riguardo alla vita eccetera, noi ci sediamo qui in cucina e facciamo il question time, come il presidente degli Stati Uniti.

– Beh, sentiamo la grande domanda

– Papà, perché ai maschi piacciono tanto le tette? Tu sei un uomo, dovresti saperlo. Non è che si ricordano di quando ciucciavano dalla mamma?

Eugenio vide se stesso come un grosso lattante fasciato in un pannolone che fissava le tette delle sue colleghe.

– Ma….non me lo sono mai chiesto. Presumo che sia normale!

– Tutta qui la risposta?

– Sì, fine del question time

Alice si allontanò delusa, mormorando qualcosa come – tempo sprecato – e Eugenio si asciugò il sudore dalla fronte

Suonò la sveglia,  come sempre alle 7.30

I ragazzi erano davanti alla porta del bagno, discutevano su chi dovesse andare per primo.

Alice raggiunse Eugenio in cucina – papà, devo assolutamente mettere i pantaloni verdi. Dammi un consiglio: cosa ci sta bene?

– Ma che ne so….la felpa grigia sta bene

-Ma l’ho messa ieri! No, non se ne parla

– Oh Dio! non hai un golfino bianco?

– Quello mi fa sembrare grassa

– Allora….qualcosa di nero

– Sì, così mi dicono che faccio la dark . La mamma è più brava – e corse via quasi in lacrime

Quando fu ora di uscire, Alice indossava jeans e la felpa grigia, proprio come il giorno prima, e quello prima ancora. Eugenio non commentò.

Al suo rientro, la sera, trovò Nonno Piero in soggiorno che guardava dalla finestra, le mani incrociate dietro la schiena.

– Una volta – disse senza staccare lo sguardo dalla strada – sapevi subito quando uno era matto. Parlava da solo per strada, gesticolava, rideva. Adesso sei tu quello matto perché cerchi delle persone vere con cui parlare, e se ci provi schizzano via come se avessi la lebbra.

Davide entrò di furia e si buttò sul divano – Oggi mi sono perso il nonno al centro commerciale –

Sospirò – Si è messo a seguire un altro ragazzo, e menomale che non era una ragazza!-

-Era vestito come te…anzi, sono tutti vestiti come te..

– Ma nonno, quello aveva le scarpe bianche con le righe blu e il cappuccio bordato! Come hai fatto a scambiarlo per me?

–  Le scarpe? E chi guarda le scarpe?

– Tutti! ..e l’ho beccato alla fine che parlottava con una sciura su una panchina. Che forza, fossi capace io di attaccare bottone con le tipe che mi interessano!

Nonostante la scappatella di Nonno Piero, era stata una giornata positiva. Eugenio era fiero di come stava organizzando la famiglia, e si ripeteva che il modo migliore di gestire i propri figli era quello di comportarsi da amico, non da padre. Dopo tutto, non era ancora così vecchio da non poter essere un loro compagno. A volte non capiva come Cristina potesse dire che quei due angioletti fossero furbi come volpacchiotti. Era solo che lei non ci sapeva fare.
–         Può venire la Franci a dormire una sera?
–         Direi di sì
–         E anche Luisella?
–         Beh, però un’altra sera. Sì, direi di sì
–         Allora se Alice può, io faccio venire Tommaso
Eugenio sospirò – E va bene per Tommaso
–         E ricordati che  venerdì c’è la festa di Sergio!
–         Anche! Bene, ne parleremo
Tutto, basta che non si debba discutere: solo l’idea di cominciare un tiremolla fra richieste e permessi lo rendeva esausto. Così erano contenti tutti, e non ci sarebbero stati problemi.
– Adesso però subito a letto, prima che succeda di nuovo quello che è successo l’atro ieri

La sveglia, come sempre alle 7.30

I ragazzi erano davanti alla porta del bagno, litigavano su chi dovesse entrare per primo.

Subito dopo suonò il campanello di casa.

Nonna Franca non ce la faceva più a non vedere i suoi nipoti e quella mattina, aveva deciso di andare a casa di suo figlio. Era molto presto voleva presenziare alla colazione e rendersi conto se i ragazzi uscivano per tempo per recarsi a scuola. Eh be’ era anche lei una nonna non era affatto giusto che il nonno si fosse trasferito a casa del figlio, troppo comodo per sua nuora e la madre di lei andarsene a Berlino lasciando tutto sulle spalle di quel suo povero figlio. Non  era stato facile per lei crescere da sola Eugenio, suo marito era mancato troppo presto e lei aveva fatto di tutto per non fargli sentire la mancanza del padre. L’aveva viziato sì glielo facevano notare le sue amiche, i parenti le dicevano sei proprio la madre del maschio figlio unico! Era stata felice quando era arrivata nella loro casa Cristina, ma un pizzico di gelosia in fondo al cuore c‘era. Non poteva dire nulla di sua nuora era una madre premurosa e una moglie attenta, sì anche con lei era gentile e affettuosa ma ecco che questa sua partenza improvvisa gliela faceva vedere sotto una luce diversa. Le aprì la porta un’Alice piangente che aveva in mano le pantofole sporche di cacca del gatto

– Ciao nonna, guarda che casino Nike l’ha fatta un’altra volta davanti alla mia camera, sta facendo un sacco di dispetti perché papà ha messo una nuova regola: non vuole che dorma sul mio letto e la sera mi chiude la porta. Sono in ritardo, non ho finito di ripassare matematica, dovrei lavare le pantofole, ma no le butto sono di lana cotta e puzzerebbero per sempre, ma entra, entra nonna non fare quella faccia sono cose che capitano la nostra è una casa viva!

Franca andò verso la cucina e lì vide suo figlio che stava preparando la macchinetta dell’aerosol per il suocero che tutto congestionato stava tossendo spargendo microbi dappertutto. – Ciao mamma, sei già qui? disse Eugenio – Scusa ma sto aiutando Piero –

– Oh povero Eugenio, sono qui per darti una mano, ci penso io, tu vai a prepararti con calma, così non andrai in ufficio già stressato. Oggi mi fermo qui tutto il giorno. Lo sentivo che non mi dovevo fidare fino in fondo di mia nuora, con quella sua aria dolce e pacata è una gran furbacchiona lo gira e lo volta come vuole a quel povero figlio mio! Eh! ma io non mollo, guai se lo farà star male, dovrà vedersela con me.     

La sera Eugenio tornò un po’ prima del solito perché voleva preparare una buona cena  per i figli e per il nonno.  Se l’era proposto la mattina mentre andava al lavoro, gli era sembrata una bella idea che avrebbe entusiasmato i ragazzi

Dopo essersi lavato, mise la tuta e un colorato grembiule da cucina di Cristina. – E ora mettiamoci all’opera prima che tornino gli affamati.

Aprì il frigo pensando a cosa prendere, ma rimase sbalordito davanti al vuoto che si presentava ai suoi occhi. Niente, non c’era più niente, solo un panetto di burro, una crosta di formaggio e 2 uova. Il suo entusiasmo si afflosciò come neve al sole. Inebetito e mortificato per essere stato così ingenuo da non pensare che col passare dei giorni le scorte diminuiscono sino a finire, quasi inconsciamente balbettava – Cristina, dove sei, perché non torni?

Davide interruppe i suoi foschi pensieri:  – Papà, ti ricordi che domani devi andare a parlare alla prof di latino?  La mamma te lo ha detto prima di partire, e tu le hai assicurato che saresti andato.

– Ah, sí, hai fatto bene a dirmelo, ma me ne sarei ricordato di sicuro.  Che cosa hai combinato, c’é qualche cosa che dovrei sapere, problemi di qualche tipo con la scuola?

– No, no, é tutto ok.  Ma siamo all’inizio del triennio e i professori sono nuovi, vogliono conoscere la famiglia, comunicare, sai, normale amministrazione, lo fanno con tutti, in classe.

Era giusto che a scuola vedessero anche il padre, sì, e sapessero che lui teneva d’occhio professori e programmi. Non era mica uno di quelli che si possono infinocchiare con quattro parole, anche lui aveva una laurea!

Suonò la sveglia, come sempre alle 7.30

I ragazzi erano davanti alla porta del bagno, si azzuffavano per la precedenza. Alice strillava e Davide le teneva i capelli ben saldi in mano e tirava.

Eugenio decise che era finito il tempo del papà liberale. Con un basta! urlato con ferocia li mise a tacere e ciabattò verso la cucina – E scordatevi la Franci e Tommaso e quell’altra comesichiama, qui sta diventando un manicomio!

Poi, si sentì vagamente in colpa, ma avrebbe perso la faccia a rimangiarsi il castigo.  Per farsi perdonare sarebbe andato al mercato e avrebbe fatto una bella spesa.

Durante l’intervallo del lavoro mangiò un panino di corsa e  in un attimo era in mezzo a bancarelle di ogni genere.

Vide dei bellissimi cavoli bianchi che ricordava di non aver più mangiato dopo sposato. Ne sentì quasi il profumo di quando glieli cucinava sua madre, burrosi, rosei, gratinati al forno. Comprò ogni tipo di verdura e frutta. Al banco del pesce una bella orata e a quello del pollame un fumante pollo allo spiedo, pronto per la sera, e dal formaggiaio pecorino e gorgonzola.

Carico come un somaro portò tutto sulla macchina.

– I miei rampolli saranno orgogliosi del loro genitore – pensava soddisfatto.

La sera mise mano all’amato cavolfiore e solo allora si accorse che andava pulito, lavato e tagliato e di quanto tempo richiede cucinare. Ma non voleva scoraggiarsi. Ce la mise tutta e finalmente il cavolo era pronto per il forno.

– Meno male che il pollo è pronto e c’è anche il formaggio – pensava – Tra poco torneranno i ragazzi dalla piscina e troveranno la grande sorpresa.

Eccoli infatti.

Entrò prima Alice – Papà, cosa è successo, c’è una grande puzza in casa, si sente anche sulle scale. ..

– Come … puzza? E’ il cavolo al gratin, a me sembra un profumo!

– Il cavolo? La mamma sa che a me e a mio fratello non piace, perciò non lo fa mai …

Anche il formaggio non era nei loro gusti, peggio di così…….

E, in più….Davide:  – Cosa ti hanno detto di me stamani, papá?

– Come?  Ah, é vero, dovevo andare a parlare con i tuoi insegnanti.  Volevo proprio farlo, ma ho avuto imprevisti sul lavoro, succede, sai.  Mi spiace, ma comunque non é nulla di importante, normale amministrazione, hai detto.

– Beh, papá, non é esattamente cosí.  Ci sono nuove materie, la nuova prof di latino pretende che sappiamo cose che non abbiamo studiato prima, qualche volta ho rifiutato di essere interrogato in matematica.  É tutto normale, ma il consiglio di classe vuole comunicare con la famiglia.  Io te lo avevo detto, ma tu non ci sei andato!  La mamma va sempre ai colloqui con i prof, adesso penseranno che sono stato io a non dirlo, e saranno guai per me!

Suonò la sveglia, come sempre alle 7.30.

I ragazzi sembravano tranquilli, la piazzata della mattina precedente aveva dato i suoi effetti

– Papà, perché la nonna Franca mi segue quando torno da scuola, e quando cerco di salutarla si nasconde? Le hai chiesto di controllarmi?

– No piccola. La nonna si è offesa perché le ho detto che ce la facevamo da soli e credo che sia anche gelosa perché nonno Piero sta con noi e lei no. Allora ha detto che non si faceva più vedere finché la mamma non torna.

– Uh, figata. Ci mancherebbe anche lei fra i piedi!

– Davide! Tua nonna si è offerta di aiutarci ed è stato molto generoso da parte sua.

– Per ficcare il naso meglio! Quando c’è la mamma non osa, ma adesso…si metterebbe a criticare tutto quello che facciamo!

Eugenio si guardò attorno. Altro che criticare! Se vedesse adesso com’è ridotta la casa ringiovanirebbe di vent’anni. Potrebbe dire te l’avevo detto io che finiva male e anche come avete educato male questi due animaletti, e avrebbe magari ragione!

– Però, se venisse solo a portarci le sue lasagne non è che la manderei via – Davide prese un’aria nostalgica – con la besciamella che cola giù dalla forchetta a ogni boccone…

– Basta o mi metto a piangere, fratellaccio cattivo.

Tornando dal lavoro, Eugenio vide sullo zerbino della signora Ferri, dirimpettaia, un chiaro esempio di escremento di gatto. Di nuovo Nike! Doveva essere riuscita a scappare. Ma perché, non l’aveva mai fatto. Si inginocchiò per raccogliere la prova del misfatto, ad ecco la porta aprirsi dietro di lui e la voce della signora Ferri, cerimoniosa ma inquisitoria, che domandava al suo posteriore – Ingegnere, che ci fa così per terra?

Eugenio balzò in piedi, fece per tenderle la mano poi si ricordò cosa aveva raccolto e la nascose dietro alla schiena.

– Signora carissima, mi scusi. Il mio gatto deve essere andato un po’ a spasso oggi pomeriggio. Io…

– Oh pover’uomo! Sì, lo so che la Signora se ne è andata.

– No ma è solo per…

– Mi spiace tanto per i ragazzi. Sa, è il mondo come va oggi. Crescono con genitori separati e diventano sbandati..

– Ma che separati, Cristina…..

– Eh sì, che vuole farci. Sembrava tanto carina, per bene. E poi ti tirano coltellate alla schiena. C’è un altro?

– Signora Ferri, mia moglie sarà di ritorno in meno di una settimana

– Sì, sì, dicono tutti così. E poi…

Eugenio chiuse la porta di casa un tantino troppo violentemente. Nike, sulla mensola dell’anticamera, lo fissava inespressiva.

– Tu, palla di pelo – con l’indice accusatorio sotto al muso – sei ufficialmente autorizzata a cagare sullo zerbino della signora Ferri ogni volta che vuoi.

Contento di sé, Eugenio corse in bagno a lavarsi le mani.

Erano ancora seduti a tavola, il nonno stava raccontando di quando in guerra…Davide si alzò e di fretta salutò tutti – Beh…io vado che è tardi!-

– Ma dove vai  così di fretta? – chiese Piero un pò offeso perché era stato interrotto sul più bello

– Alla festa! – e corse via.

Eugenio camminava avanti e indietro per il corridoio presidiando come una sentinella la porta di casa. Quando torna mi sente..!  Erano le 2 di notte Davide non era ancora tornato e l’indomani c’era anche scuola! Maledizione perché si era lasciato fregare così? Aveva ceduto per sfinimento all’insistenza di suo figlio che asseriva che non poteva assolutamente mancare alla festa di Sergio: c’erano tutti e poi ci andava tutti gli anni la mamma gli dava anche i soldi per comperargli un regalo! Alla fine aveva acconsentito – Sì ma devi tornare entro le 11.30 che domani la sveglia suona…- dopo un lungo tira e molla si era giunti a un compromesso – Mezzanotte…non un minuto di più!

Dalle scale si sentì uno scalpiccio di passi…poi un tonfo seguito da un’imprecazione e…risate soffocate. Eugenio, pallido di rabbia, spalancò la porta: arrancavano sorreggendosi a vicenda . L’amico, un biondino, visto lo sguardo inferocito dell’uomo inquadrato all’improvviso nel vano della porta, parve rinsavire di colpo e intuendo la situazione con un timido – buona notte – si dileguò veloce. Davide rideva ignaro e contento brandiva in alto, come fosse un trofeo, una bottiglia di birra. Entrò in casa con un rutto sonoro inciampò in una sedia e rovinò a terra con un fracasso terribile. Svegliati dal gran chiasso erano accorsi Alice e nonno Piero.

– Cosa ho fatto di male…dove ho sbagliato?- mormorava tra sé Eugenio

Nonno scuoteva in silenzio la testa e Alice sentenziò – La mamma non lo lascia tornare da solo, va sempre a prenderlo…

Suonò la sveglia, come sempre alle 7.30.

Davide apparve in cucina pallido come uno straccio. Seduto al tavolo si guardava intorno senza parole come straniero. Spinse  lontano da sé, schifato, la tazza colma di latte fumante no, non voleva neanche il tè coi biscotti…Eugenio serviva la colazione imperturbabile facendo finta di non accorgersi del suo malessere: si era imposto di non cedere a scuola doveva andare…gli sarebbe servito di lezione! Ma per contrasto a quei duri pensieri gli venne una grande tenerezza per quell’esile ragazzino di quindici anni alla sua prima sbornia e sorridendo gli versò una doppia razione di caffè
– Questo ti rimetterà in sesto-  e complice, da uomo a uomo,
– Alla sera leoni, alla mattina…-
– Coglioni!- risposero tutti in coro ridendo.

Era sabato. La ragazza che faceva i mestieri veniva il martedì. Bisognava assolutamente fare un bucato oggi, così avrebbe potuto stirare le camicie e il resto.

Eugenio riempì la lavatrice, ma tutto non ci stava. Avrebbe fatto due macchinate, così per un po’ sarebbero stati a posto.

– Niente da lavare?- chiese a Davide affacciandosi alla porta della sua stanza.

– Oh Dio, sì! Le cose della palestra! – e indicò un borsone rosso accanto alla porta

– Faccio io – aprì la cerniera e un odore nauseabondo lo fece quasi barcollare – che cavolo c’è qua dentro? –

– Sono i calzini e la maglia che ci ho sudato dentro –

– Non ridacchiare come un cretino. Non ti è venuto in mente di levarli subito? E’ roba tua, sei tu che devi esserne responsabile –

– Sì, lo faccio di solito. Ma la mamma me lo ricorda –

Eugenio prese il tutto con due dita, e tenendolo ben discosto dal naso lo gettò nel cestone del bagno.

– Alice, hai niente da lavare? –

– Oh Dio, sì! Le cose della piscina! E mi servono per lunedì!-

La sacca della piscina conteneva un asciugamano, umido, e un costume, umidissimo.

– Ragazza mia, che schifo. Non sai che devi tirarli fuori subito? E’ roba tua, sei tu che devi esserne responsabile –

– Sì, lo faccio sempre. Ma la mamma me lo ricorda –

Eugenio voleva chiedere anche a nonno Piero, ma se gli avesse risposto che la mamma gli ricordava sempre qualcosa avrebbe urlato.

Il programma di lavaggio era già selezionato. Questo era facile, bastava mettere il detersivo e premere il pulsante. Un’ora e mezza dopo (ma così tanto ci voleva? Avrebbe fatto notte di questo passo!) estrasse il bucato. Che soddisfazione, tutto profumato. Ce l’aveva fatta. Però perché c’era solo un calzino bianco? E com’è che ce n’erano due grigi che prima non esistevano?

Diede un calcio alla lavatrice – Anche tu contro di me, eh? E’ un complotto allora! –

Niente sveglia, domenica!

Finita la colazione, Eugenio si guardò attorno soddisfatto – Domenica, ragazzi! Finalmente! Che si fa oggi? Qualcuno ha una idea?

Un attimo di silenzio, poi cominciarono tutti assieme. Alice aveva preso accordi con la sua amica Luisella, sai quella del negozio di merceria, che c’era la partita dei loro compagni contro quegli spocchiosi del ginnasio e tu taci Davide che sto parlando io ma cosa ci vieni anche tu no non ti vogliamo. Davide non ci pensava neanche ad andare con loro perché il Fabio aveva proposto di aspettare al parchetto due ragazze della terza C scusa Alice saranno anche stupide ma sono bonazze e a noi tanto ci basta. Nonno Piero era da un po’ che aspettava che al cineforum della parrocchia facessero quel film con Eastwood, sì lo so che è un repubblicano e allora? A me piace come lavora e non mi interesso di politica quando guardo un film.

Tutto il relax di Eugenio si sgonfiò in un momento. Sarebbe rimasto da solo. Ma cosa facevano di solito lui e Cristina la domenica? Non ci aveva mai fatto caso.

– Beh, leggerò finalmente quel libro che mi avete regalato a Natale.

In un attimo tutti furono pronti per uscire.

La giornata fu lenta e noiosa, perfino la cena si svolse in un silenzio insolito. Andarono a letto presto, un po’ immusoniti.

Eugenio dormiva già da  parecchie ore quando fu svegliato bruscamente.

– Papà…papà dai svegliati!- lo scuoteva tirandolo per un braccio – il nonno non c’è più sono andata a fare pipì…le luci erano tutte accese…forse è scappato o è stato rapito…

– Ma cosa dici…che ore sono? Alice calmati hai fatto un brutto sogno?-

– Papà, ma sei rincoglionito? ti sto dicendo che il nonno è sparito ..volatizzato.. puff…-

Eugenio si tirò su completamente sveglio e lucido riconosceva quegli acuti nella voce di sua figlia e sapeva che ben presto si sarebbero trasformati in pianti disperati se non faceva qualcosa, un vero contropelo per la sua sensibilità sopratutto alle 4 di notte.

– Vediamo dove si è nascosto – Non era preoccupato era sicuro di vederselo comparire davanti si sa i ragazzi non trovano mai niente!

– Papà è inutile che lo cerchi in tutte le stanze, l’ho gia fatto io, se ne è andato… forse si è arrabbiato perché gli abbiamo negato dopo cena la seconda fetta di torta …il cappotto…il suo cappotto è appeso all’attaccapanni non l’ha preso!

Ora anche Eugenio si stava facendo prendere dal panico. Cercava nonno Piero nei posti più assurdi, dietro i tendoni in salotto, controllava dentro gli armadi, guardò perfino sotto il letto come se avesse perso un mazzo di chiavi…quando finalmente realizzò che stava girando in tondo decise di vestirsi e scendere a cercarlo in strada.

La via era deserta. Si incamminò a destra fino all’incrocio: nessuno, non si vedeva anima viva. Provò nell’altra direzione: sul vialone passava qualche rara macchina. L’aria notturna e il silenzio lo fecero sentire un po’ meglio ma vagare a piedi per la città non aveva senso, doveva fermarsi e riflettere sul da farsi. Decise di rientrare a casa ma invece di salire le scale si diresse verso il cortile: voleva farsi una sigaretta e riordinare le idee senza l’assillo di sua figlia.

– Eugenio, ciao, anche tu non riesci a dormire eh? Che splendida notte! L’aria sembra rarefatta….c’è un profumo…come un vento di tramontana. Sono rare le notti come queste a Milano, sì,  in questo momento posso dire di essere felice. Guarda come pulsano le stelle…ecco lì Cassiopea…è solo un quadrato di cielo eppure mi sento come un navigatore…- tranquillo con voce pacata nonno parlava e fantasticava ispirato guardando verso il cielo o forse anche oltre nel buio universo della sua  vita.

Dal cortile Eugenio lo guardava su, al secondo piano, appoggiato alla ringhiera del terrazzino di casa…sì anche lui in quel momento poteva dire di sentirsi felice!

La sveglia suonò eccezionalmente alle 7.

Eugenio aveva deciso, così non si poteva andare avanti: la casa era un disastro e tra qualche giorno sarebbe tornata Cristina. Riunione straordinaria in cucina, penna e foglio tutto scritto: nuove regole e per ciascuno, nero su bianco, compiti da eseguire, orari e scadenze.

I ragazzi protestarono svegliarli mezz’ora prima per una simile notizia! Davide poi si sentiva preso di mira a lui il padre aveva assegnato più cose da fare che ad Alice

– Non è giusto!-

– Tu sei più grande e anche più casinista di tua sorella, guarda, vai a vedere come è conciata la tua stanza! Deve essere tutto in perfetto ordine entro questa sera se no…non ti do la “settimana”.

Un ricatto e Davide si ribellò

– Tu dici tanto a me ma camera tua fa più schifo della mia, sei il più disordinato della famiglia, anche mamma se ne lamenta sempre: dice che ti lasci la coda dietro…- e se ne uscì sbattendo la porta. Eugenio prima interdetto, poi preso dalla collera, stava per inseguirlo quando la voce serena di Alice lo immobilizzò

– Papà Davide ha ragione quando mamma lo sgrida perché non mette a posto le sue cose gli urla…non vorrai diventare come tuo padre…

Eugenio tornò a casa dal lavoro abbastanza allegro. Già pregustava una cenetta a tre davanti al televisore, con la pizza mangiata nel cartone, come quando da studente guardava la partita con gli amici. Niente piatti da lavare, niente discussioni su come era andata la giornata, niente domande.

Davide e Alice erano in cucina, che si lanciavano insulti moderati con affetto.

– Pizza stasera? –

– Papà, ma ancora pizza?-

– A me sta bene – Davide lo soccorse

– Beh, a me no. Poi ingrasso e mi viene l’acne. La mamma dice che ci vuole una dieta bilanciata-

– Ragazzi, il frigo è vuoto e non abbiamo molta scelta –

– Una telefonata, e andavo in rosticceria a prendere un pollo. Ho dodici anni, mica tre –

– Ormai è così. Vado a telefonare al pizzaiolo –

Mentre cercava il cordless per tutta casa gli giunsero le voci dei ragazzi che discutevano ancora

– Non ci vuole mica tanto a mettere una pentola con l’acqua a bollire, almeno una pasta poteva arrangiarla –

– Dai, lo sai che è stanco dal lavoro –

– No, è che pensa che è roba da femmine. E tu pure. Così ci toccherà di nuovo stare scomodi sul divano, con quegli stupidi programmi da guardare e guai chi parla che disturba –

Eugenio vide il film della sua seratina dissolversi nell’aria. Aveva pensato che quello che faceva contento lui facesse contenti anche loro. Ma lui li conosceva davvero i suoi figli?

Suonò la sveglia, come sempre alle 7.30.

Eugenio uscì prima dei ragazzi, era un giorno importante per la sua carriera e non voleva che qualche discussione casalinga lo mettesse di malumore. Fu agitato fin dopo pranzo, quando si recò nella sala del Consiglio per l’incontro clou della giornata

La riunione con i clienti di Roma sembrava andare a gonfie vele. Avevano scelto di avere un atteggiamento da amiconi per conquistarli, così avevano scherzato, fatto battute, e si erano presi un po’ in giro sotto lo sguardo severo e seccato del presidente, che sedeva all’estremità del tavolo e se ne stava zitto. Si stava per giungere al dunque quando l’interfono ronzò – Ingegnere – disse la sua segretaria, guardinga – So che non vuole essere disturbato, ma c’è sua figlia al telefono che dice che è importantissimo –

– La figlia! Si dice sempre così: mia sorella, mia nipote…- il cliente più gioviale gli strizzò l’occhio

– Sì, la moglie non c’è e lui ne approfitta!- si accodò l’altro. Il presidente lo guardava con riprovazione

– Va bene, allora. Metto il viva voce così vedrete che è proprio mia figlia –

– Papà – la voce allarmata di Alice riempì la sala riunioni – Scusa ma sono così euforica! Mi sono venute le mestruazioni per la prima volta! Ganzo, eh? Sai dove la mamma tiene gli assorbenti? Li ho cercati, ma…

Eugenio  sentì il rossore salirgli piano piano dal collo fino alle sopracciglia. I clienti sghignazzavano guardando il soffitto, il presidente aveva la bocca aperta e la mascella gli toccava quasi la spalla.

– Piccola, che bella notizia – mormorò – Ma vedi, sono in riunione e non mi sembra che..

Adesso Alice singhiozzava – Ecco, non te ne importa niente. E non posso chiamare la mamma perché in ospedale fanno spegnere i telefoni. Sei…sei…

Il clic della comunicazione interrotta suonò come uno sparo. Eugenio tossicchiò. – Bene, dove eravamo? –

– In bagno a cercare gli assorbenti – chiosò il giovialone.

Mentre tornava verso casa, la sera, pensò alla settimana appena trascorsa e cominciò a farsi delle domande. Cercava di ricordare i giorni della sua fanciullezza, quando, figlio unico, la madre lo ricopriva di premure. Gli preparava le cose che lui preferiva, lo serviva come un piccolo principe, non gli faceva mancare nulla.

E lui non si era mai domandato se questo fosse costato fatica a lei, sua madre. No, riteneva che tutto gli fosse dovuto.

Cominciava a capire di essere stato un egoista con sua madre e ancor di più con Cristina, che pur lavorando fuori trovava il tempo di mandare avanti una casa, due figli e un marito che pensavano solo a se stessi.

Ma lui aveva mai dato una mano a sua moglie? No, da bravo figlio unico aveva continuato ad esserlo anche ora che aveva più di 40 anni.

Un tetro senso di colpa lo invase: si sentiva inadeguato nei confronti dei suoi figli e di sua moglie. Non si piaceva per niente: come era riuscito a non vedere e a non sentire per tutto quel tempo qual era l’importanza del suo ruolo di padre e marito? Pensava di essere il terzo figlio? Si parla tanto di uguaglianza, alternanza dei ruoli e poi alla prova dei fatti i maschi restano maschi. Anche Davide pretendeva che certe cose dovessero spettare solo ad Alice in quanto femmina. eh ma ora ci sarebbero stati dei cambiamenti, ora che aveva capito avrebbe sensibilizzato suo figlio.

Gli montò un’improvvisa paura…forse aveva ragione la signora Ferri, la dirimpettaia, Cristina si era stancata di lui e se ne era andata…e Berlino era solo un pretesto…poi sorrise tra sé e sé beh… andarsene lasciandogli in cambio il nonno forse era un po’ troppo…

Rise di gusto a quell’idea e ottimista per un nuovo futuro prese di tasca il cellulare e scrisse: – Torna presto, ci manchi tanto –

diario gennaio 2015

 

redazione grey-panthers:
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