La Repubblica: “La truffa mondiale dell’auto”, “La Volkswagen chiede scusa: ‘Truccate 11 milioni di vetture’. Accuse alla Merkel: ‘Sapeva’. Controlli in tutta Europa, a rischio anche i veicoli in Italia. Giù le Borse, Milano perde il 3,3%”.
A centro pagina, foto di un bacio tra un migrante e una bimba attraverso un filo spinato: “Ue, intesa a maggioranza sui migranti ma l’Est non ci sta: non li prendiamo”.
Poi, sulla politica italiana: “Intercettazioni, via libera alla nuova legge-bavaglio”, di Liana Milella.
Sulla colonna a destra, il viaggio del Papa negli Usa con foto della stretta di mano con Obama: “E il Papa disse: ‘Io non sono cattolico? Se volete recito il Credo’”, “Accolto da Obama in usa, primo leader mai arrivato direttamente da Cuba”. Di Marco Ansaldo.
A fondo pagina: “Sì al ricorso di Fede e Minetti. Tutto da rifare per il Ruby-bis”.
La Stampa ha in prima un’intervista al Segretario di Stato Usa John Kerry di Paolo Mastrolilli: “Kerry: Putin smetta di sostenere Assad. Aiuta gli estremisti”, “Vogliamo distruggere l’Isis”,“Oggi il Pontefice alla Casa Bianca: su povertà, clima e immigrazione la pensiamo come lui”.
E la foto dell’incontro con Obama di Papa Bergoglio: “Francesco: non sono comunista”. Il quotidiano offre ai lettori un colloquio con Andrea Tornielli sul volo per Washington.
A centro pagina: “Migranti, sì ai ricollocamenti. Ma i Paesi dell’Est votano no”, “Il piano per 120mila profughi votato dai ministri degli Interni”.
E l’affaire Volkswagen: “Volkswagen, il governo ‘sapeva’. Adesso risarcimenti miliardari”, “Il titolo perde il 35% in due giorni, 11 milioni le auto coinvolte”.
Anche il Corriere offre una intervista a Kerry, firmata da Massimo Franco: “Kerry: il Papa un argine contro le forze del caos. E l’America è con lui”. E poi le parole di ieri di Bergoglio, sul volo per Washington, nella corrispondenza di Gian Guido Vecchi: “‘Io comunista? Seguo la Chiesa’”.
Il titolo più grande: “‘Volkswagen, Berlino sapeva’. Un documento accusa il governo sui test truccati. Coivolte 11 milioni di auto”. “Il titolo perde un altro 20 per cento e trascina al ribasso le Borse europee. Merkel: faremo chiarezza”. E poi: “Trema la Grosse Koalition tra industria e politici”.
In evidenza anche un “colloquio” con Fedele Confalonieri: “Confalonieri visita Dell’Utri in carcere. ‘Dategli giustizia’”.
Il Manifesto, con foto di un campo di meloni: “Fucilato sul campo”, “Un giovane bracciante del Burkina Faso colpito a morte alle spalle da un proprietario di un campo di frutta nel foggiano. Un altro migrante ferito gravemente. Secondo una prima ricostruzione avrebbero ‘rubato alcuni meloni’. La comunità africana: ‘Non è vero, cercavano lavoro’. Due fermi per omicidio volontario”.
A centro pagina: “Profughi, l’Ue vota ma si spacca. L’Ocse: unica via è l’integrazione”.
Il Foglio, prima colonna a sinistra: “Il piano americano di sgretola in Siria. Quello russo è sempre più chiaro”, “Si dimette John Allen, l’inviato speciale di Obama contro lo Stato islamico. Gli addestramenti-farsa”, “Le tre opzioni di Putin”.
E più in basso: “Pechino si avvicina alla super Russia. Insieme giocano a mettere il Giappone nell’angolo”.
Sul viaggio del Papa negli Usa: “Pastorale americana di Francesco”, “Scontro aperto. Il Papa che finora ha eluso i ‘valori non negoziabili’ parla oggi alla battagliera chiesa statunitense. Le critiche dei prelati a Bergoglio e quei fedeli cattolici più ‘francescani’ dei loro pastori”.
Ultima colonna a destra: “Visti dalla Germania”, “La bagarre dinastica, politica e geoeconomia attorno a Volkswagen” (di Giovanni Boggero). Mentre Marco Valerio Lo Prete evidenzia il “paradosso free-trade”: “Le autorità regolatorie Usa, bestie nere degli europei anti libero scambio, tutelano i consumatori Ue”.
Il Giornale: “I furbetti tedeschi. La Merkel ha fuso”. “Si allarga lo scandalo delle auto truccate. Coivolti 11 milioni di veicoli, l’Italia pensa di bloccare la vendita di Volkswagen e Audi. Il marchio perde il 20 per cento, crollano le Borse. E Berlino sapeva tutto”. E poi: “E l’Europa politica si sgretola sugli immigrati”.
A centro pagina: “Salvate anche Bossi dal carcere per le idee. Il Senatur rischia 18 mesi per offese a Napolitano. La Cassazione su Ruby: da rifare il processo a Fede e Minetti”.
Il Sole 24 ore: “Volkswagen crolla ancora. Truccate 11 milioni di auto”. “In bilico il Ceo Winterkorn. Merkel: fare subito chiarezza. Die Welt: il governo sapeva”. “Il titolo perde un altro 19,8 per cento e trascina al ribasso i listini europei”.
Di spalla: “Migranti, accordo Ue sul ricollocamento senza i Paesi dell’est. Voto a maggioranza per distribuire 120 mila profughi”
A centro pagina: “Inchiesta sulla Popolare di Vicenza. Indagati Zonin, Sorato e altri 4 manager per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza. Perquisizioni della Gdf”. “Il nodo del valore delle azioni e dei prestiti. L’istituto: collaboriamo con gli inquirenti”.
Un richiamo a fondo pagina: “Papa Francesco negli Usa, oggi cerimonia alla Casa Bianca”.
Papa
Su La Stampa il colloquio con il Papa sull’aereo in volo da Cuba verso Washington, di Andrea Tornielli: “’Non sono un comunista, se volete vi recito il Credo”, “Il Papa nel volo per Washington: a Cuba volevo salutare tutti, anche i dissidenti”, “Tutto ciò che ho detto in tema economico è nella dottrina della Chiesa”. Che cosa pensa dell’embargo a Cuba? Ne parlerà al Congresso Usa? Papa Bergoglio risponde: “La fine dell’embargo è parte del negoziato tra Stati Uniti e Cuba. I due presidenti ne hanno parlato, spero si arrivi ad un accordo che soddisfi le due parti”. Si parla di più di 50 dissidenti cubani arrestati, li voleva incontrare? “Non ho avuto notizie di arresti. A me piace incontrare tutti, tutti sono figli di Dio, ogni incontro arricchisce. Era chiaro che io non avrei dato alcuna udienza privata, ma anche ad altri, compresi alcuni capi di Stato che lo avevano chiesto. So che dalla Nunziatura sono state fatte delle telefonate ad alcuni dissidenti per dire loro che arrivando alla cattedrale dell’Avana, con piacere li avrei salutati. Ho salutato tutti, ma nessuno si è identificato come dissidente”.
La Repubblica: “’Se serve recito il Credo’, il Papa arriva negli Usa, l’abbraccio di Obama”, “In aereo scherza sulle accuse di essere comunista, poi parla di Fidel: ‘Abbiamo parlato di ecologia’”.
E sulla stessa pagina un’analisi di Laurie Goodstein con copyright New York Times: “Divisa e invecchiata, ecco la Chiesa che aspetta Francesco”. Dove si legge che “la Chiesa cattolica che Papa Francesco incontrerà nella sua prima visita negli usa sta attarversando un cambiamento profondo, segnato da conflitti inerenti alla destinazione degli immobili e delle risorse, al reclutamento dei sacerdoti e alla conservazione dei fedeli. E mentre la religione cattolica rimane la più diffusa negli Stati Uniti, la composizione etnica dei fedeli si sta modificando”. Sulla costa orientale e nel Midwest i vescovi “chiudono parrocchie e scuole religiose che furono costruite con i risparmi e la fatica di generazioni di immigrati europei”; ad Ovest e Sud del Paese e in alcune sacche sparse in diverse zone del Paese, invece, le chiese “sono strapiene di immigrati provenienti soprattutto dal Messico e dall’America latina, ma anche dall’Asia e dall’Africa. I genitori ispanici iscrivono i figli alle scuole cattoliche” e “frequentano luoghi di culto improvvisati tenendosi lontani dalle parrocchie frequentate prevalentemente dai bianchi di origine europea, dove spesso non si sentono ben accetti”.
Su Il Manifesto: “Obama incontra il pontefice, architetto del disgelo caraibico”. Scrive Luca Celada che “i fedeli di madre lingua spagnola sono chiaramente la componente chiave del cattolicesimo Usa. Oggi costituiscono il 38% dei 68 milioni di cattolici americani e sono in continuo aumento, una dinamica che ha spostato il baricentro della Chiesa americana dalle tradizionali radici della East Coast e del Mid west verso il sud ovest. Mentre le diocesi storiche come Boston, New York e Chicago sono in crisi, negli ultimi anni quella di Houston ha registrato la maggiore crescita nel Paese. La diocesi più grande, quella di Los Angeles, è composta per il 70% da fedeli di origini centro americane”. Esistono due Americhe: quella “tradizionale anglo, fortemente conservatrice legata al partito repubblicano e quella ‘latina’, ferventemente devota ma anche caratterizzata da forti maggioranze democratiche. Con questi ultimi Francesco gioca ‘in casa’, non solo per le comuni radici geografiche, ma per la sua enfasi sui temi di giustizia sociale”.
Su Il Foglio: oggi nella cattedrale di San Matteo a Washington il Papa incontrerà i vescovi statunitensi, si troverà davanti alla grande e ricca conferenza episcopale “che più di ogni altra ha fatto capire di seguire obtorto collo le priorità indicate, fin dall’atto della sua ascesa al soglio petrino, da Francesco. Due mondi agli antipodi: da una parte la chiese militante, delle marce pro life e della battaglia per la conquista dello spazio pubblico; dall’altra il Papa che dice di non ‘capire bene’ cosa si intenda dire quando si parla di ‘valori non negoziabili’. Da una parte le diocesi con investimenti nel settore petrolifero, dall’altra il Pontefice che mediante enciclica chiede di salvaguardare il creato”.
“Il Papa a casa del ‘nemico capitalista’” è il titolo di un’analisi di Mario Deaglio che compare in prima su La Stampa: gli Usa sono “il perno del sistema capitalistico globale contro il quale Francesco ha usato termini durissimi: sono passati appena tre mesi dalla pubblicazione dell’enciclica ‘Laudato sì’, che è stata definita un ‘manifesto anticapitalista’” e fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha ripetuto, senza mezzi termini, che ‘questa economia uccide’”. Ma questa economia “sta uccidendo davvero”? , si chiede Deaglio. Una prima analisi direbbe proprio di no, visto che la mortalità infantile è stata dimezzata in 25 anni, l’analfabetismo si è fortemente ridotto, ma “il reddito medio è cresciuto quasi ovunque ma le diseguaglianze sono aumentate di pari passo”. Nel corso del suo viaggio Francesco sarà all’Onu, “ma non a Wall Street, il che rappresenta un’occasione mancata”, visto che, come tutte le altre Borse mondiali, è scossa dal caso Volkswagen, storia di un’autentica frode commerciale e “l’intero orizzonte del ‘grande capitalismo’ è percorso da frodi di proporzioni gigantesche”, “nella finanza di oggi i discorsi sulla moralità del mercato, da lungo tempo abbandonati, dovrebbero essere ripresi e c’è sicuramente bisogno di maggiore trasparenza delle imprese”, “se non farà di ogni erba un fascio, se prenderà atto di questa situazione differenziata, Francesco in questo può aiutare il mondo”.
Su La Stampa e sul Corriere una intervista al Segretario di Stato Usa. Sul quotidiano torinese, alle pagine 2 e 3, l’intervista è firmata da Paolo Mastrolilli: “Vogliamo distruggere l’Isis. La Russia non può continuare a sostenere il regime di Assad”. E sull’incontro tra il Papa e Obama: “Su clima, povertà e immigrazione le nostre agende coincidono”. Parlando della crisi dei migranti del Mediterraneo: “Siamo profondamente addolorati per la tragica perdita di vite umane in mare. Le migrazioni sono al centro delle nostre priorità”, “Gli Usa hanno deciso di aumentare il numero dei siriani da accogliere, ci aspettiamo di averne diecimila nel 2016”, “Sono grato per il ruolo di Sua santità nel ristabilimento delle relazioni con Cuba”.
Sul Corriere l’intervista è firmata da Massimo Franco: “Credo che papa Francesco si trovi in una posizione davvero unica per richiamare le parti in conflitto alla pace e alla riconciliazione. E facendolo, dimostra una delle mie convinzioni più profonde: che gli attori religiosi possono giocare un ruolo fondamentale nel contenere le forze del caos e stabilire un ordine mondiale più giusto”. Quanto agli Usa e alla religione, “gli Stati Uniti rimangono una delle società più religiose del mondo, e il suo paesaggio religioso continua ad essere in movimento. Gli Stati Uniti stanno diventando più pluralisti da questo punto di vista, così come appaiono più compositi sul piano delle razze e delle etnie. Gli studiosi hanno anche notato un cambiamento nel numero di americani che non si riconoscono in maniera formale con una particolare comunità religiosa, o che si identificano con fedi non cristiane”.
Migranti
Il Manifesto, pagina 2: “Accordo fatto ma l’Ue è divisa”, “Via alla ricollocazione di 120 mila profughi. Repubblica ceca, Ungheria e Romania votano contro come la Slovacchia che annuncia disobbedienza”. La proposta della Commissione Ue sulle cosiddette “quote” è passata nel corso del Consiglio dei ministri dell’Interno Ue con un voto a maggioranza La Polonia, fino a qualche giorno fa contraria anche lei alle quote, ha invece ceduto e votato a favore, scrive Carlo Lania. Astenuta la Finlandia. Il premier slovacco Robert Fico ha fatto sapere subito di non avere alcuna intenzione di rispettare il voto e di voler intentare una causa contro Bruxelles. L’accordo prevede che, a partire da ottobre, tutti i Paesi, anche quelli che hanno votato contro o che si sono astenuti, dovranno dividersi la quota di 120mila profughi fissata dalla Commissione. A nulla sono valsi i tentativi di mediazione della presidenza lussemburghese per superare le ostilità dei contrari. Tanto che ieri il presidente della Commissione Juncker, stanco dell’indecisione dei ministri, ha perso la pazienza: “120 mila rifugiati? Siamo ridicoli data la grandezza del problema, mi chiedo se i libanesi o i giordani capiscono quello di cui stiamo parlando”, ha detto, riferendosi a questi due Paesi che da soli ospitano milioni di profughi. La parola passa ora al consiglio dei capi di stato e di governo che si riunisce oggi.
Alla pagina seguente il quotidiano riferisce del punto di vista dell’Ocse sulla crisi dei rifugiati. Il segretario generale Angel Gurria ha presentato ieri l’outlook 2105 dell’organizzazione: “’Integrazione unica via’”. Per l’Ocse “l’attuale crisi umanitaria è senza precedenti” dalla seconda guerra mondiale, “è necessaria una strategia politica globale”. E, certo, questa crisi arriva “in un periodo relativamente delicato per l’economia e il mercato del lavoro in Europa, oltre che in un contesto di lotta mondiale contro il terrorismo”, ma l’Europa “ha la capacità e l’esperienza” per farvi fronte e il numero dei rifugiati “è gestibile”, “questi migranti si stabiliranno da qualche parte e la questione sarà quindi l’integrazione, l’integrazione e ancora l’integrazione”. E il capo della divisione Migrazioni dell’Ocse, Dumont, ha sottolineato che i rifugiati che arrivano ora sono più istruiti del passato: l’80 per cento di coloro che sono arrivati in Svezia ha un diploma di scuola superiore.
La Stampa, pagina 6: “L’Europa approva le quote ma il blocco dell’est vota no”, “Passa a maggioranza il piano per la redistribuzione dei richiedenti asilo. Roma rischia una procedura di infrazione per i migranti non identificati”. A scriverne è Marco Zatterin da Bruxelles, che riferisce anche delle indiscrezioni della Bcc, secondo cui il premier ungherese Orban oggi, al vertice dei capi di Stato e di governo, potrebbe presentare un piano alternativo rispetto a quello approvato ieri.
Sulla stessa pagina, attenzione per le parole del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni al Prix Italia: “’Da quei Paesi uno schiaffo a chi si è battuto per aiutarli’”, ha detto, facendo riferimento all’allargamento Ue.
La Repubblica: “Migranti, l’Ue impone le quote, l’ira dei Paesi dell’Est: ‘Ci rifiuteremo’”. Andrea Bonanni sottolinea come la decisione di votare a maggioranza non abbia precedenti nella storia europea: è la prima volta che Bruxelles impone la propria volontà collettiva a governi dissidenti in una materia che tocca così direttamente l’essenza stessa della potestà di uno Stato sovrano.
Alla pagina seguente, un’intervista al ministro degli Esteri britannico Philip Hammond: “Non si può accogliere tutti quelli che arrivano”, “Questo tema pè tra le questioni che Londra affronterà quando rinegozierà il rapporto con Bruxelles”.
Su La Stampa un’analisi di Roberto Toscano: “il nazionalismo esiste ovunque, ma nella parte centro-orientale dell’Europa esso rappresenta una dimensione politicamente molto più esplicita e significativa, nella misura in cui questi Paesi, pur di antiche origini, hanno riaffermato solo di recente una propria identità e sono pertanto molto più intransigenti nel difenderla contro tutto ciò che viene percepito come una minaccia o un ‘inquinamento”, ma “se l’Europa dovesse limitarsi ad accettare queste chiusure, soprattutto quando si colorano di tonalità razziste, si tratterebbe di una sconfitta epocale”, “il rischio è che l’Unione-disunita possa tornare gradualmente, a colpi di ‘opting out’, e passi indietro, a un semplice mercato comune, rinnegando il disegno originario in cui l’economia era mezzo, e non fine del processo di integrazione”.
Su Il Foglio si sottolinea che “il preaccordo europeo sulla redistribuzione dei migranti è solo un pannicello omeopatico per malati gravi”, e tuttavia nel vertice di ieri “si è operata una svolta, si è battuta la sindrome dell’indifferenza e si è scelto di confrontarsi anche aspramente, di dividersi in maggioranza e minoranza pur di arrivare a un esito operativo”.
Volkswagen
La Repubblica, pagina 2: “Volkswagen, confessione shock: 11 milioni di motori truccati. Borse ko”, “Titolo giù del 31% il 2 giorni. Ue: ‘Andremo fino in fondo’. E la stampa tedesca rivela: ‘Merkel sapeva di eco-truffe’”.
Il reportage da Wolfsburg è firmato da Andrea Tarquini: “Rabbia degli operai e faida tra i manager, addio alla fabbrica-felix”, “L’ad di Porsche Matthias Mueller sempre più vicino a sostituire Wniterkorn. Il sindacato: ‘responsabili paghino’”.
A pagina 4 un articolo di Paolo Griseri: “e’ l’Europa più degli Usa il centro della frode, addio al diesel pulito”, “Dieci milioni e mezzo di veicoli truccati circolano fuori dall’America: lo scandalo è mondiale. D’ora in poi potrebbero essere incentivate le produzioni ibride ed elettriche”. E il quotidiano intervista Thomas Schmid, ex direttore della “Welt”, che dice: “il nostro governo deve sentirsi corresponsabile, con la sua golden share”, “è un colpo durissimo a un simbolo della Germania”.
Alle pagine 6 e 7: “Inchiesta anche in Italia, 1,5 milioni di auto rischiano il richiamo”, “Altroconsumo ha già avviato una class action. I nuovi modelli euro 6 non sono ‘taroccati’”. E in un’intervista, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, dice: “Siamo pronti a bloccare le vendite”.
La Stampa: “L’ad Winterkorn sempre più in bilico. Ma adesso trema anche il governo”, “Merkel chiede trasparenza. Un documento la accusa: ‘Sapeva tutto’”. Ne scrive Tonia Mastrobuoni.
Sul Corriere si parla delle “accuse al governo” che – secondo il Die Welt – sapeva della manipolazione dei controlli dei gas di scarico di Volkswagen negli Usa. Sicuramente c’è una interrogazione parlamentare presentata dai Verdi, con relativa risposta del governo in cui si diceva che era in corso un “lavoro sull’ulteriore sviluppo del quadro normativo” in materia di emissioni con l’obiettivo di “ridurre il livello reale” delle stesse. Il Corriere scrive che l’amministratore delegato Winterkorn, intenzionato a non dimettersi, sarebbe a rischio.
Il Sole scrive che “non tutti se lo ricordano” ma proprio il titolo Volkswagen “massacrato in questi giorni dalle vendite per il ‘dieselgate’, appena sette anni fa era stato protagonista del più clamoroso balzo di Borsa della storia (se consideriamo le blue chips). Era lunedì 27 ottobre 2008 e i mercati da settimane stavano colando a picco nel bel mezzo della tempesta finanziaria seguita al fallimento di Lehman. Ma alla Deutsche Börse di Francoforte, quel giorno, a lampeggiare selvaggiamente sul titolo Volkswagen furono solo le luci verdi degli acquisti, non quelle rosse delle vendite”. Alla fine di quella seduta arrivò a un +146 per cento, una “capitalizzazione di 283 miliardi di euro, pari al doppio di tutte le società automobilistiche del mondo”. Il giorno dopo arrivò a +229. %”. La casa tedesca non aveva annunciato nulla di sconvolgente per quanto riguarda auto e motori, ma il giorno pima Porsche aveva annunciato che controllava ormai di fatto quasi il 75 per cento di VW. A questo e non a innovazioni strutturali fu dovuto il balzo.
“Che al gruppo serva un cambiamento radicale, è ormai evidente” scrive Andrea Malan sul Sole 24 ore che scrive che oggi si riunisce il “presidium” dell’azienda, organo direttivo che “comprende tre sindacalisti su cinque membri. Una celebrazione di quel sistema della codecisione tipico della Germania e di cui Vw è uno dei pilastri; ma anche un rischio, visto il ruolo del sindacato nel tenere in piedi un sistema – soprattutto a Wolfsburg e all’interno della marca Volkswagen – meno efficiente di quello dei concorrenti”. I problemi per l’azienda tedesca c’erano da tempo e “i successi in Cina, quelli dei marchi premium Porsche e Audi e la crescita delle vendite hanno finora mascherato i costi elevati e la bassa redditività della marca Vw (che in Europa, pur dominando le classifiche di vendita, ha margini di poco superiori a quelli delle concorrenti generaliste); senza contare le difficoltà sul mercato nordamericano, ben anteriori rispetto al diesel-gate”.
Danilo Taino sul Corriere (“La Germania delle regole colpita al cuore”) scrive che la maximulta annunciata negli Usa, il crollo del titolo in Borsa, le conseguenze sul vertice e forse sugli assetti azionari non sono il peggio. C’è “anche la perdita di prestigio per il gruppo Volkswagen. E, a dire il vero, non solo per la casa automobilistica: più in generale per la “Deutschland AG” che della correttezza, dell’affidabilità, del rispetto delle regole ha fatto negli anni non solo una bandiera ma anche uno scudo anticrisi”. Non è solo un “generico danno d’immagine”, e “l’accusa di essere rigidi con gli altri e furbi quando si viene ai propri comportamenti già sta circolando”. Per questo per il governo questa “è un’occasione per mettere più distanza tra la politica e il Big Business: quando la vicinanza è troppa, come sicuramente lo è da sempre tra Volkswagen e tutti i governi di Berlino, le aziende si sentono inattaccabili perché protette: onnipotenti e sopra le regole”.
Alle “falle del sistema europeo” del controllo delle emissioni è dedicato un articolo del Sole 24 ore. Sul Giornale un articolo di Franco Battaglia è titolato “Basta con l’eco-balla dei controlli sulle emissioni”, dove si legge tra l’altro che “il Clean Air Act (Caa) americano impone, tra le varie bizzarrie, anche la conquista di un certificato-di-conformità per qualunque auto si volesse immettere nel mercato americano. Insomma, qui sono gli americani a fare i tedeschi”. Si legge ancora che “il Caa, più specificamente, ‘intende proteggere la salute umana e l’ambiente vigilando sulle emissioni dell’ossido d’azoto’. Che il trabiccolo montato sulle auto tedesche faceva apparire ‘fino a 40 volte minore del reale’. Sicuramente sapete che l’aria contiene azoto (80%) e ossigeno (20%). I quali alle temperature ordinarie non reagiscono producendo l’ossido, ma lo fanno se la temperatura aumenta localmente, come avviene nei pressi di una fonte di calore. Insomma l’ossido d’azoto è quella fastidiosa molecola che si forma sotto il naso delle massaie quando lavorano ai fornelli”. “Much ado about nothing , alla fine. La stessa Agenzia per l’ambiente americana che ha sollevato questo polverone, alla domanda se le auto in commercio fossero pericolose per l’ambiente o per la salute, ha risposto come diversamente non poteva: decisamente no. A meno che non vi siano notizie non rivelate (e non rivelabili), direi che questa guerra tra fessi finirà a tarallucci e vino. Come sarebbe giusto che finisse”.
Politica, riforme
Sul Corriere una intervista a Luciano Violante sulle riforme e in particolare sulla questione della elettività dei senatori. “Il listino è la soluzione più semplice. I punti deboli del testo sono altri”. La riforma va approvata, dice Violante, anche per “superare la crisi costituzionale” e “arginare le tossine del populismo”, ma i punti deboli ci sono. Non tanto sulla elettività, questione “minimale”, ma – ad esempio – “sono previsti dieci diversi procedimenti legislativi” che potranno “aprire le porte ad una sorta di ‘piccolo bicameralismo’ confuso”. Inoltre “c’è il rischio di avere un presidente della Repubblica indebolito”, perché dopo la settima votazione bastano i tre quinti dei votanti e quindi si eleggerebbe un presidente con “pochi voti e dopo sfibranti attese”.
Ancora sul Corriere Angelo Panebianco firma l’editoriale dedicato ai sondaggi che danno il Movimento 5 Stelle “percentuali da capogiro”: il 27 per cento contro il 33 per il Pd. “Tenuto conto dell’altissimo numero di indecisi rilevati, però, è difficile credere al momento che in elezioni politiche ‘vere’ i Cinque Stelle possano conquistare una così elevata percentuale di votanti”. Il merito dei sondaggi è che tengono “sotto pressione la classe politica. E dovrebbero anche ricordare a Matteo Renzi quanto grande sia il debito di gratitudine che egli ha contratto con Beppe Grillo”, senza il cui successo nel 2013 “non avrebbe potuto vincere le successive primarie, non sarebbe diventato segretario del Pd, non sarebbe al governo”. Inoltre fino a che le percentuali saranno alte “Renzi potrà rivendicare la propria indispensabilità: una variante aggiornata della ‘diga’ incarnata dalla Democrazia Cristiana” in altri tempi. “Se Renzi supererà lo scoglio della riforma del Senato e se non sarà costretto a fare concessioni alle minoranze sulla legge elettorale, le sue probabilità di vittoria alle prossime elezioni politiche saranno assai alte. Per l’assenza di alternative plausibili”
Secondo Il Sole “Grasso non arretra: aspetto gli emendamenti”. Nonostante l’accordo nel Pd sembra sia stato raggiunto e nonostante “il pressing di Matteo Renzi” il presidente del Senato non muta atteggiamento e conferma che ogni decisione sulla accoglibilità o meno di emendamenti arriverà dopo gli stessi saranno esaminati “uno per uno”. Stamane alle 9 scade il termine per la presentazione degli emendamenti.
Il Giornale: “Grasso fa la voce grossa ma sul Senato intesa vicina”. “La trattativa continua”.
Giustizia
Sul Corriere Fedele Confalonieri, in un “colloquio” con Francesco Verderami, racconta della sua visita in carcere a Marcello Dell’Utri. “‘Marcello, che finora si sentiva un carcerato, adesso si sente un sequestrato’. La ‘nuova condizione mentale’ di Dell’Utri, secondo Confalonieri, è figlia della ‘nuova situazione giudiziaria’: ‘Sono un sequestrato – mi ha detto – perché lo Stato non avrebbe più diritto a tenermi qui'”. Nel senso che lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo sul caso Contrada, ritenendo ingiusta la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa perché gli addebiti erano riferiti a fatti antecedenti il 1994, anno in cui la Cassazione “elaborò per la prima volta in modo compiuto la fattispecie di reato”. “‘Anche per Marcello è così, anche lui ha subito una condanna per fatti antecedenti all’introduzione della norma’, dice l’uomo del Biscione: ‘Perciò va fatta giustizia. E mi auguro che il suo caso venga affrontato senza guardare a Dell’Utri come all’amico di Silvio Berlusconi, come al politico. Qui non c’entrano le toghe rosse, non c’entra la politica. Anzi, la polemica politica deve restare fuori da questa storia: questo è un caso di giustizia che va risolto il prima possibile'”. Il quotidiano ricorda che Confalonieri è stato condannato in via definitiva perché “dal 1974 al 1992 è stato il garante ‘decisivo’ dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra. Confalonieri “da cittadino rispetta la giustizia ma da ‘amico’ continua a considerare ‘Marcello un innocente, vittima di molti pregiudizi: per il suo ruolo a fianco di Berlusconi, per la sua sicilianità'”. “‘Marcello ha appena compiuto 74 anni, è rinchiuso da 18 mesi, ha perso 15 chili… No, non si abbatte, si fa le sue due ore d’aria, si è occupato della biblioteca interna… Per lui i libri sono come per me il pianoforte… Si è iscritto anche all’università: il mese prossimo darà l’esame di storia medievale… Insomma, si fa forza. Ma adesso, con questa sentenza, è cambiato tutto e ho capito che ha bisogno di sostegno'”. Sulle sue visite in carcere: “‘Quando lo vedo non faccio il compassionevole. Gli dico che abbiamo avuto una vita piena, che siamo avanti negli anni e che se ci lamentassimo rischieremmo magari di far arrabbiare il Padreterno. Però lui in effetti il purgatorio lo sta già scontando. Il caso giudiziario c’è e se c’è giustizia va risolto'”.
Sul Sole Donatella Stasio parla dell’approvazione “dopo tre giorni di votazioni” del disegno di legge sul processo penale della parte sulle intercettazioni. No da 5Stelle, Sel, FI e Lega. “Nessun colpo di scena rispetto al testo originario, modificato dalla maggioranza soltanto sull’’udienza filtro’, alla quale non sarà più ancorata la selezione degli ascolti ‘rilevanti’ (e perciò pubblicabili) per evitare di compromettere ‘atti a sorpresa’ come i provvedimenti cautelari (arresti, sequestri, perquisizioni) ma che (salvo essere collocata in una fase più avanzata) sarà sostituita da un meccanismo di selezione diverso ‘nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine’. Una precisazione, quella del contraddittorio, pretesa da Ncd e che dovrebbe mettere quieti gli avvocati penalisti, contrari all’abolizione dell’udienza. L’Ncd rivendica anche la paternità del nuovo reato di diffusione di ‘registrazioni fraudolente’, punito ‘fino a 4 anni’, salvo quando siano utilizzate come prova di un reato o di un diritto o per l’esercizio del diritto di cronaca”. Il voto finale sul disegno di legge ci sarà stamattina. “Il ministro della giustizia Andrea Orlando si è rammaricato dell’attenzione data alle intercettazioni in un provvedimento che tocca la durata del processo e garantisce l’effettività dell’esecuzione della pena”. Dopo il voto sarà nominata una commissione ministeriale di magistrati, avvocati e giornalisti per scrivere l’articolato. Orlando ha “già in tasca” i nomi e “assicura che ‘faranno giustizia di molte illazioni circolate in questi giorni'”.
Al tema (“L’informazione che può battere il far west dei segreti. Trasparenza unico rimedio ai guasti delle intercettazioni”) è dedicato un commento di Luigi Ferrarella sul Corriere della sera. “Decidere cosa è notizia spetta non alla legge ma ai giornalisti, segnala la Corte di Strasburgo. Se la delega in bianco al governo promette male, peggio ancora è l’assenza di un diritto di accesso diretto agli atti”
E poi
Sul Corriere: “Lascia il generale che coordina la guerra all’Isis”. Il generale John Allen lascerà tra qualche mese l’incarico di inviato del presidente Obama affidatogli un anno fa. L’incarico doveva durare sei mesi, poi prorogati a dodici, e il generale era stato richiamato dalla pensione. Ci sono ragioni personali (la moglie di Allen è malata) ma non solo. “Le fonti che hanno fatto trapelare la notizia” parlano anche di “frustrazione di Allen per la gestione troppo burocratica della iniziativa militare contro l’Isis e per i limiti imposti dalla stessa Casa Bianca alla offensiva condotta solo dal cielo con i droni”.
Sul Sole si parla di un’altra visita negli Usa, quella del presiente cinese Xi, arrivato a Seattle. Xi ha “portato un messaggio favorevole al mercato” proprio mentre arrivava sul suolo americano il Papa che giovedì farà quasi sicuramente un discorso più critico su mercato e capitalismo, scrive il quotidiano di Confindustria. In una intervista al Wall Street Journal ieri Xi ha detto che “la mano invisibile e quella visibile” devono spesso lavorare insieme.
Sul Giornale si dà conto della visita del premier israeiano Netanyahu a Mosca. L’articolo firmato da Livio Caputo è titolato “Netanyahu da Putin per una intesa contro il terrore”. “Israele vuole arginare Hezbollah e Hamas, Mosca punta ad annientare l’Isis. Riavvicinamento dopo anni di fratture”.
(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)