Le aperture
Il Corriere della Sera: “Il Quirinale dice no a Berlusconi. Napolitano blocca l’ipotesi di un decreto per limitare le intercettazioni. Nelle nuove carte il Cavaliere rassicura Lavitola: ‘Vi scagiono tutti’. Inchiesta di Napoli: il capo del Governo non intende incontrare i pm: escludo di legittimare le indagini”. A centro pagina: “La manovra è passata, ma sul lavoro flessibile si cambierà di nuovo”.
La Repubblica: “Legge bavaglio, veto di Napolitano. Il Colle a Berlusconi: no al decreto intercettazioni. Il premier: l’Italia lo vuole”. “Scontro nel vertice al Quirinale. Dietrofront del capo del governo: non vedrò i pm senza il mio avvocato. La giunta salva Milanese”. A centro pagina, con foto degli scontri di ieri a Roma: “Manovra approvata, tafferugli in piazza. Confindustria attacca: sono solo tasse”.
La Stampa: “Intercettazioni, sfuma il blitz. Il governo tenta di riproporre il decreto per bloccarle: stop del Colle, no anche da Palma. Ghedini media sull’incontro tra premier e pm. Il testo della telefonata di Berlusconi con Lavitola: “Vi scagionerò tutti'”.
Il Giornale :”La sfida di Berlusconi. ‘Con questi pm non parlo’. Il premier: i magistrati hanno commesso illegalità. E da Napoli pronti nuovi siluri per poterlo indagare”.
Libero: “Berlusconi nelle mani dei Pm”. “Trappola partenopea”. Secondo il quotidiano di Belpietro “Il Cav si farà interrogare. Ecco l’intercettazione con Lavitola: aria fritta”. A centro pagina articolo sulle manifestazioni di ieri: “Assalto al Parlamento. Finti precari, violenti di professione”.
Il Fatto quotidiano apre con le parole del premier nella telefonata a Lavitola, diffuse ieri da L’Espresso: “Io vi scagiono tutti”. “Due complici al telefono: Lavitola: ‘Non abbandonare Tarantini’. Berlusconi: ‘Certo, e tu rimani all’estero?’. Il premier cercò di farsi ridare i 500 mila Euro del ricatto, ma invano”.
Il Foglio: “Sulle intercettazioni Napolitano dà ascolto al Cav (ma il decreto no). Incontro al Quirinale alla vigilia di nuove pubblicazioni, per il premier, i pm di Napoli possono attendere”. “Altro giro, altro fango”, scrive il quotidiano di Ferrara. Di spalla: “Le Borse ondeggiano proprio come il dibattito sull’Europa unita. Oltre il rating c’è di più. I listini salgono quando Barroso sposa gli Eurobond, poi scendono se Berlino e Vienna frenano. Moody’s vs. Parigi”.
Il Riformista dedica il titolo ai numeri del debito pubblico italiano, diffusi ieri da Bankitalia: “1911,8 miliardi. L’indebitamento dello Stato italiano raggiunge il suo picco. Gli industriali sono infuriati con il governo. Il Presidente della Repubblica chiede più compattezz all’Europa”. Di spalla una lettera al quotidiano della segretaria della Cgil Susanna Camusso: “Le ragioni della Cgil”.
Intercettazioni
Sul Corriere della Sera è Marzio Breda a firmare l’articolo che dà conto del “colloquio teso” tra Berlusconi e Napolitano. “Il Cavaliere ha trovato attenzione e ascolto, questo sì. Come sempre incassando da Napolitano parole di equilibrio e l’invito a cercare qualche soluzione di buonsenso per superare l’impasse sulla inchiesta Tarantini”. Ma quando Berlusconi “é passato a ventilare – o forse addirittura a minacciare? – l’idea di un decreto legge per bloccare subito le intercettazioni su di lui, beh, allora le cose sono cambiate. A quel punto infatti il presidente della Repubblica ha chiuso il discorso, ricordandogli che cosa pensa di una simile eventualità. Impraticabnile, con un secco no”. L’incontro è durato circa venti minuti. Nel pomeriggio il premier ci ha pensato, ed ha deciso alla fine di “fermarsi e cancellare l’ipotesi dall’ordine del gionro del Consiglio dei ministri, convocato per l’ora di cena”. In serata Palazzo Chigi smentiva qualsiasi frizione con il Quirinale, mentre lo stesso Quirinale “si difendeva con un enigmatico silenzio”. Il Corriere spiega anche che oggi Napolitano parte per la Romania. E che alla sua partenza avrà già firmato la manovra licenziata ieri dalla Camera. Non poteva non firmare, nonostante le perplessità sull’articolo 8, per “tre motivi”: “Non esiste la possibilità di un rinvio parziale per una legge; quell’articolo non è stato considerato ‘palesemente incostituzionale’ dai suoi giuristi”; “se la manovra fosse congelata ne deriverebbero drammatiche conseguenze su borse e mercati”.
Nel “retroscena” de La Stampa si racconta che Napolitano, “che per tutta la filippica anti-pm” del premier “era rimasto ad ascoltare paziente e silenzioso, pare abbia domandato al premier: ‘Ma quella legge che stavate facendo sulle intercettazioni per affrontare alla radice il problema, che fine ha fatto?”. “Giace abbandonata da oltre un anno”, annota il cronista.
Sul Corriere della Sera, che riproduce la famosa intercettazione Berlusconi-Lavitola (quando quest’ultimo era in Bulgaria e Berlusconi gli consigliava di restare lì), si riferisce anche della testimonianza di Marinella Brambilla, segretaria del premier. Che ricostruisce come più volte Lavitola chiamasse Berlusconi, presentandosi anche a Palazzo Grazioli. In più occasioni Lavitola faceva riferimento a “foto” da chiedere al presidente Berlusconi. Marinella capisce che si tratta di soldi da dargli. Un altro capitolo sviluppato dal Corriere riguarda le tangenti che Finmeccanica avrebbe elargito all’estero per ottenere contratti.
Scrive La Repubblica che la Procura di Napoli indaga in questo caso su una ipotesi di corruzione internazionale. Anche in questo caso la pista seguita parte dal caso Lavitola. E coinvolgerebbe anche Debbie Castaneda, ex modella colombiana diventa consulente di Finmeccanica. Ed operava del resto per Finmeccanica anche lo stesso Lavitola. Sul Fatto le parole di Paolo Pozzessere, direttore commerciale della stessa Finmeccanica, sugli effetti disastrosi che la storia delle escort aveva avuto all’estero (persino il premier turco Erdogan non voleva più incontrare Berlusconi). Sullo stesso quotidiano un ritratto della stessa Debbie Castaneda (“la donna da sei milioni di Euro”) che al telefono lamentava lo “scippo” di un affare da parte di Alejandro Agag.
Libero, in un articolo dal titolo “La bomba anti-Cav è innescata”, ricorda che la Procura di Bari si appresta a depositare gli atti della inchiesta sulle escort. “Ci sono molte telefonate tra il premier e l’imprenditore: parlano di sesso a pagamento. Coinvolte anche signore insospettabili”. Il quotidiano scrive anche che “circola insistente l’indiscrezione rispetto a un commento pesante che il Cavaliere si sarebbe lasciato sfuggire su Angela Merkel (‘è una culona inchiavabile’) e che nei giorni scorsi rimbalzava in Transatlatico. La notizia è arrivata, ovviamente, anche in Germania. E i tedeschi non hanno gradito”.
Economia
Su Europa l’editoriale è firmato da Pietro Ichino e Nicola Rossi che ieri hanno presentato una denuncia alla Commissione europea riguardante il mercato del lavoro italiano, diviso in lavoratori protetti e non: è incompatibile con l’ordinamento comunitario poiché “in realtà milioni di rappporti di lavoro – a progetto, collaborazioni autonome continuative, anche in regime di ‘partita Iva’ – sono sostanzialmente rapporti di lavoro dipendente”. Ichino e Rossi ricordano che la stessa Commissione, nel documento del 7 giugno e poi in una lettera del 7 agosto firmata da Trichet e Draghi, offrono l’appiglio per un incardinamento giuridico della denuncia: è stata chiesta all’Italia infatti una flessibilizzazione delle strutture produttive, compensata da una maggiore protezione economica e professionale del lavoratore nel passaggio dal vecchio al nuovo posto di lavoro.
Esteri
“Schiaffo ad Obama nel collegio più ebraico e dem di New York”, titola L’Unità. “Uno schiaffo a Obama da Brooklyn. Vittoria repubblicana nel distretto di New York, democratico da 91 anni”, titola Il Corriere della Sera. Si trattava di sostituire in un distretto che include zone di Brooklyn e del Queens Anthony Weiner, costretto a dimettersi – racconta il quotidiano – dopo esser stato sorpreso a corteggiare donne online usando un linguaggio esplicito e mettendo in rete foto dei suoi attributi. Il candidato democratico era David Weprin, descritto da La Repubblica come “rampollo di un clan di notabili del partito”. Doveva essere una passeggiata per i democratici, invece ha vinto, e con ampio scarto, il repubblicano Bob Turner, anonimo manager in pensione, 70 anni, senza esperienza politica. Determinante è stata la perdita di consensi nell’elettorato ebraico, anche perché in Queens c’è un’alta concentrazione di ebrei ortodossi. Titola La Repubblica: “Gli ebrei di New York tradiscono Obama”. Il vincitore, Turner, come riferisce in quotidiano, ha dichiarato, senza mezzi termini: “E’ stato un referendum sul presidente Obama”. Secondo il quotidiano gli ebrei ortodossi di Queens rimproverano a Obama l’apertura ai palestinesi, e l’invito a Israele a considerare un ritorno ai confini del 1967.
Anche su La Stampa il peso del voto di contestazione degli ebrei nei confronti della politica di Obama viene messo in evidenza. Secondo un sondaggio PPI soltanto il 22 per cento dell’elettorato ebraico sostiene el scelte su Israele della Casa Bianca, e il candidato repubblicano aveva utilizzato anche questo tema durante la campagna elettorale. Il voto ebraico sarà determinante alle presidenziali del 2012 in Stati come la Florida, la Pensylvania e l’Ohio.
Europa parla anche di un ko per i democratici nel Nevada, dove il candidato Dem è stato sconfitto, in un distretto in cui Obama aveva pareggiato con McCain nel 2008. Ma il quotidiano ridimensiona il peso delle critiche alla politica estera del Presidente, riconducendo invece la sconfitta, ancora una volta, all’economia, indicata come la issue principale in tutti i sondaggi precedenti al voto.
Se ne occupa anche Il Foglio, ricordando che Weprin è un ebreo ortodosso, ma ha sostenuto pubblicamente il diritto della comunità musulmana di New York a costruire la famosa moschea a pochi passi dal World Trade Center, e si è battuto come un leone a sostegno della legge sul matrimonio gay.
Sul fronte delle notizie dalla Libia, segnaliamo il titolo de La Repubblica: “Sarkozy e Cameron a Tripoli, bruciato sul tempo il governo italiano”. Arrivano questa mattina per rivendicare il ruolo di principali sostenitori della rivolta, e insieme a loro dovrebbe anche esserci il filosofo Henry-Levy, che ha avuto un ruolo determinante nel convincere Sarkozy a prendere la guida della coalizione anti-Gheddafi”. A Bengasi parleranno a piazza della Libertà. E maliziosamente il corrispondente de La Repubblica sottolinea che Sarkozy vuol far dimenticare le rivelazioni sui rapporti tra i servizi segreti e il regime di Gheddafi; ma soprattutto “intende occupare lo spazio mediatico in una giornata particolare”, poiché stasera i sei candidati alle primarie socialiste terranno il loro primo dibattito televisivo.
In Libia sta per arrivare il premier turco Erdogan, che continua il suo tour della primavera araba. Il suo viaggio prevedeva anche una tappa in Tunisia, Paese di cui si occupa oggi Europa, ricordando che il leader del movimento islamista locale Ennhada, Rachid Gannuchi, ha arringato la folla dal palazzo dei congressi presentando il programma con uno slogan che richiama da vicino l’Akp di Erdogan: “Per una Tunisia della libertà, della giustizia, dello sviluppo”. Mancano solo 40 giorni alle elezioni del 23 ottobre, che daranno nascita alla nuova assemblea costituente tunisina, e il discorso al Cairo del primo ministro di Ankara anima il dibattito nella capitale. Al discorso ufficiale nella sede della Lega Araba, tenuto da Erdogan, è dedicato anche un articolo in prima pagina su Il Foglio, poiché il premier turco è stato – secondo il quotidiano – netto nella condanna di ogni processo di islamizzazione dello Stato, quando ha detto: “Io sono islamico, non laico, ma sono primo ministro di uno Stato laico, e dico: ‘Spero che ci sia uno stato secolare in Egitto, non bisogna diffidare della laicità, l’Egitto crescerà nella democrazia, e chi sarà chiamato ad elaborare la Costituzione deve capire che deve rispettare tutte le religioni e tenersi alla stessa distanza dagli adepti di tutte le religioni, perché tutta la società possa vivere in sicurezza”.
Nota il quotidiano che immediata e sferzante è stata la replica dei Fratelli Musulmani, dissociatisi dalle entusiastiche accoglienze ricevute da Erdogan al Cairo: il portavoce Ghuzlan e il vicepresidente del partito legato alla Fratellanza, Issam Aryane, hanno polemizzato con il primo ministro turco: “Non ha alcun diritto di interferire con gli affari interni dell’Egitto”. Insomma, secondo Il Foglio, il piano di Erdogan è complesso: l’Erdogan che oggi si propone come capo del fronte di contrasto con Israele sulla questione palestinese (ma senza mai metterne in discussione la legittimità come Stato) è lo stesso che nell’aprile del 2003 inviò la flotta turca a difendere le coste di Israele dal possibile lancio di missili di Saddam. Lo stesso che nel 2005 pronunciò un vibrante discorso contro l’antisemitismo e ricevette il premio della lobby ebraica americana Anti Diffamation League. E nel 2006 firmò un contratto per fornire a Israele 50 milioni di tonnellate di acqua e contratti – oggi sospesi – in forniture militari a Gerusalemme. Erdogan punta – anche sulla questione palestinese – ad un sviluppo “nazionalista” e non “islamista” della leadership palestinese, sino ad arrivare al punto di trattare con Hamas.
L’inserto R2 de La Repubblica è dedicato in parte alla questione dello Stato palestinese: “La Palestina sfida l’Onu sullo Stato promesso”. Un articolo di Bernardo Valli (“Onu, l’ora della Palestina”) e un commento del giurista Antonio Cassese (“Solo una tappa, ma fondamentale”).
Su Il Giornale, Fiamma Nirenstein che “il miglior amico che ha Israele in questo momento è Hamas. Il gruppo terrorista è contro la dichiarazione unilaterale di uno Stato palestinese all’Onu. Dice chiaramente che è una perdita di tempo, dato che lo scopo autentico è la distruzione dello Stato di Israele”. Intanto Abu Mazen procede; Erdogan “si inventa la sua primavera araba”, utilizzando anche l’odio contro Israele, anche se i Fratelli Musulmani sono scontenti che le folle egiziane siano entusiaste di lui.
Del conto alla rovescia in vista dell’apertura dell’Assemblea generale Onu si occupa anche L’Unità, raccontando come Abu Mazen si senta forte della “benedizione” del nuovo “sultano” turco Erdogan. “La nostra non è una mossa unilaterale”, ha detto Abu Mazen, né significa “la fine del negoziato”: se l’Anp si rivolge all’Onu è proprio “perché non ci sono negoziati”. E ancora: “Non stiamo cercando di isolare Israele e non vogliamo essere trascinati in un confronto con gli Stati Uniti, dalle cui casse – ha riconosciuto – l’Anp riceve pure sempre finanziamenti annui per 470 milioni di dollari che la robusta lobby filo-israeliana al Congresso minaccia di mettere in discussione. Il concetto resta chiaro: un passaggio al Palazzo di Vetro ci sarà.
(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)