TEMPO DI ANALISI: i partiti studiano e commentano i risultati delle ultime votazioni

Le aperture

Il Corriere della Sera. “Berlusconi: il governo non è a rischio. Incontro con il premier, autocritica della Moratti: sbagliati i toni della campagna. Clima teso nella maggioranza. Verdini minimizza: c’è stato un sostanziale pareggio. Bersani: via l’esecutivo se non ce la fa”. A centro pagina un articolo di Renato Mannheimer si sofferma sui flussi elettorali: “L’astensione nelle file del Pdl ha deciso il risultato a Milano”. A fondo pagina il caso di Dominique Strauss-Kahn che fa discutere i ministri finanziari riuniti a Bruxelles: “Ira delle ministre europee. Strauss-Kahn via subito”.

La Repubblica: “Milano, l’ultimatum di Bossi”. “Appoggio fino al ballottagggio. Berlusconi: ci metto la faccia solo se serve, ma il governo è saldo”. E poi: “Bufera nel centrodestra: il secondo turno deciderà la sorte dell’esecutivo. Il premier dimezza le sue preferenze. Verdini: è un pareggio. Bersani: mi fanno ridere”. A centro pagina: “Moratti attacca il Pdl e cambia lo staff. Il sindaco: sbagliati i toni della campagna elettorale. Pisapia: dimostriamo di essere affidabili”. Di spalla: “Le ministre Ue: Strauss-Kahn si dimetta subito”.

La Stampa: “Berlusconi: il governo resta saldo. La Moratti: abbiamo sbagliato i toni. Il Carroccio potrebbe chiedere una verifica dopo i ballottaggi. Bersani: in caso di crisi si va al voto”. Il premier, secondo un retroscena del quotidiano, avrebbe detto: “Ora sarò più defilato. Non dormo al pensiero che i centri sociali bivacchino a Palazzo Marino”.

Il Giornale promette “La verità sul caso Milano. Nel centrodestra non tutti hanno messo il massimo dell’impegno a favore della Moratti. Il sindaco prepara la rivincita: licenziati i ciellini e nuova strategia. L’obiettivo: non lasciare la città in mano ai comunisti”.

Libero: “Rialzati e cammina. Molti elettori si sono rotti delle beghe interne, dei guai giudiziari e delle vicende di letto di Berlusconi, degli intrallazzi e dei rimpasti. Nulla è perduto ma bisogna cambiare”. L’articolo di Maurizio Belpietro è titolato: “Bossi e il Cav ‘condannati’ a star insieme”.

Il Foglio: “Reggerà il governo fino al 2013? Tra facce tirate si cerca la risposta. Autocritica del Pdl sullo scivolone milanese, il Cav vuole abbandonare la linea incendiaria. Lega enigmatica”. “Moratti: abbiamo sbagliato”.

Il Fatto quotidiano: “Disfatta ad personam. Nella sua città il premier fermo a 27972 preferenze. Ne aveva 52577. E’ il segno che gli stessi elettori del Pdl non ne possono più. E se Bossi lo molla, addio governo”.

“Allo sbando” è il titolo di apertura del Riformista, che a centro pagina offre una conversazione con il professor Luca Ricolfi: “Se il Pd si allea con Bossi”. Ricolfi sostiene che “il vento del nord non soffia ancora per Bersani”.

Elezioni 1 – Interviste

Sul voto di domenica e lunedì Il Fatto quotidiano offre una intervista a Romano Prodi, che ha “accolto i risultati con letizia”. Sottolinea il calo di voti di preferenza per il premier, “un segno che un certo tipo di fascinazione si sta ridimensionando. Certo, l’uomo sa suonare mille strumenti. Non posso dire se siamo già alla saturazione. Di certo il voto degli italiani e dei milanesi dimostra che le esagerazioni anche ai berlusconiani non piacciono”. Prodi non dà invece giudizi sul Pd, “sarebbe come rientrare nella vita politica ed ho detto ripetutamente di voler restare fuori”. Mi hanno detto che c’era la necessità di un passaggio di mano ed io ho accolto l’invito. Oggi mantengo il mio proposito”. “Resta la condivisione. Sono molto contento dei risultati del centrosinistra, soprattutto nella mia Bologna, io vengo da lì, la mia vicinanza al Pd è ovvia”, dice ancora. Sul movimento cinque stelle: “stanno dando voce al sentimento di stanchezza verso un certo modo di fare politica. E la politica deve saper dare ascolto a chi vota i movimenti, sennò questo fiato andrà perso”.

L’Unità offre una intervista al sindaco di Torino Chiamparino, che spiega innanzitutto che “bisogna prima vincere i ballottaggi e non si deve dare nulla per scontato, né a Milano, dove sembra più facile vincere, né a Napoli, dove sembra tutto più difficile. Poi si valuterà cosa fare. Vede, io non sono alla ricerca di un posto, sono più interessato a dare una mano al partito se ci sono le condizioni per farlo”. Nel corso dell’intervista, squilla il telefonino di Chiamparino, ed è Bersani: gli annuncia che farà parte del coordinamento nazionale del partito. Dell’esperienza a Torino dice: “Siamo riusciti a dimostrare che si può governare il nord senza essere subalterni ai massimalismi e senza metterli del tutto fuori dalla porta, anche se poi, quando si diventa ‘no tav senza se e senza ma’, non si può stare in coalizione. La nostra è stata una esperienza di governo i cui esponenti si sono sempre pronunciati con nettezza, anche su temi complessi, come la Fiat, e in questa esperienza, come ha confermato il voto, ci si riconosce la più ampia base elettorale, dai ceti operai alla borghesia imprenditoriale. Il candidato del centrodestra qui si è fermato poco sopra il 26 per cento, dimostrando che in cinque anni non sono riusciti a spostare nulla.

Il governatore della Lombardia Roberto Formigoni ammette che il caso Milano esiste, mentre nega che ci sia una sconfitta sul piano nazionale. E su Milano dice: “Non è stata una loro vittoria. Anzi. Pisapia, rispetto al prefetto Ferrante, il candidato che la sinistra scelse cinque anni fa, ha perso 4 mila voti. Il problema  è che noi ne abbiamo lasciati sul campo 80 mila”. Di cui una parte è andata al terzo polo, mentre un’altra non si è recata alle urne o ha disperso il voto. “Hanno però voluto lanciare un messaggio. Abbiamo ricevuto un segnale di delusione dalla nostra gente”.

Elezioni 2 – Analisi

Sul Sole 24 Ore una analisi di Roberto D’Alimonte: “L’astensionismo punisce Pdl e Lega. Ma il Pd non cresce”. “Nelle province l’ex Fi-An perde 180 mila voti, il Carroccio 130 mila, i democratici 30 mila”. D’Alimonte sottolinea che in realtà la spiegazione più attendibile del successo del centrosinistra e della sconfitta del centrodestra si chiama astensionismo: una parte degli elettori del centrodestra ha deciso di non recarsi alle urne, mentre tra gli elettori del centrosinistra non ci sono state – o sono state poche – defezioni. Il dato viene letto aggregando otto province, di cui sette nel centronord e una nel sud. Nel 2010 avevano votato per i partiti del centrodestra 918867 elettori, nel 2011 sono stati 655796. La differenza è di oltre 250 mila elettori. Dove sono andati? Non a sinistra, visto che questo schieramento, pur guadagnando in percentuale, ha perso circa 13 mila voti. La risposta più plausibile è che una parte sia andata verso l’astensione. E’ più difficile analizzare i consensi al terzo polo perché le singole liste che ne fanno parte solo in pochi casi corrono da sole, mentre nella maggior parte dei comuni si sono presentate insieme o con liste civiche. Berlusconi non è riuscito a mobilitare tutti i suoi elettori e, in più, nel suo schieramento i delusi questa volta non hanno scelto la Lega, che arretra pesantemente, perdendo sistematicamente in tutti i comuni capoluogo del centronord, anche a livello di province. 

Avvenire intervista il politologo dell’università di Bologna Roberto Cartocci, secondo il quale il successo di Milano “si spiega con le primarie aperte. Pisapia ha vinto ed è diventato il candidato anche del Pd”. Moratti “può ancora farcela, la partita è aperta”, “ha margini di recupero con i moderati che non sono andati a votare”, e può “sperare che la sinistra estrema, sentendosi la vittoria in tasca, inizi a lanciare proclami bellicosi spaventando gli elettori più moderati che hanno votato centrosinistra”. Infine, il movimento cinque stelle: “Per Beppe Grillo i due poli pari sono”, il movimento “è molto variegato”, a Bologna “è organizzato e pesca nella sinistra alternativa, ma ci sono al suo interno anche pulsioni qualunquiste. E restano un’incognita. Posso anche farle perdere, le elezioni”.

Secondo Renato Mannheimer, che firma una analisi sul Corriere della Sera, la scelta degli elettori milanesi è stata dovuta soprattutto alla comunicazione e all’immagine del candidato: più del 35 per cento degli elettori ha dichiarato di aver effettuato la sua scelta su questa base. Il 13 per cento ha scelto cosa votare solo nell’ultima settimana. E un altro 4 per cento nell’ultimo mese. Si tratta dei famosi indecisi, corrispondenti a quasi il 20 per cento dell’elettorato. Nel caso della Moratti le valutazioni negative sulla campagna di comunicazione da lei condotta superano le valutazioni positive. Il Pdl ha perso circa 14 mila elettori, e lo stesso ha perso la Lega. Una parte di questi elettori leghisti si è spostata addirittura verso il movimento di Grillo. Il Pd ha invece conquistato i voti degli (ex) astenuti, ma anche di elettori di altri partiti.

Su Europa una analisi sul voto verso il Movimento 5 Stelle spiega che “c’è un filo rosso che lega i due partiti che oggi sono capaci di raccogliere il voto dell’antipolitica”, ovvero Idv e Movimento 5 stelle. “Dove il secondo conquista voti, il primo praticamente non esiste”., Dal 2010 al 2011 il partito di Di Pietro “Ha visto dimezzare i propri consensi”, a Torino a Bologna, a Milano. Invece, dove l’Idv si rafforza, il “grillismo” si eclissa, come a Napoli.
Anche su La Stampa si parla del “flop di Di Pietro”, partendo dai dati elaborati dall’Istituto Cattaneo, che ha segnalato come il risultato dell’Idv sia buono rispetto alle ultime elezioni comunali ma deludente rispetto all’anno scorso, quando si votò per le Regionali. Il partito “in un anno ha perso il 40 per cento dei voti”. “Se siamo di estrema sinistra e movimentisti, gli elettori preferiscono Vendola e Grillo”, dice un parlamentare dell’Idv, Cambursano. E su Libero: “Tonino fa festa, ma in un anno si è dimezzato”.
Il Giornale sottolinea con ironia come per il “lungimirante Beppe Grillo” la vera alternativa fosse Letizia Moratti: solo dieci giorni fa il comico genovese aveva urlato dal palco in piazza Duomo che la Moratti aveva già vinto (“Chiunque con 20 milioni di euro come lei diventa sindaco”). Tanto più che la sinistra – diceva Grillo – gli aveva messo contro “un signore di sessant’anni che non gliela fa”, ovvero Pisapia. Ieri, all’indomani dell’exploit di Pisapia, la profezia grillesca veniva rievocata in casa Pd, dove ci si chiedeva: “E noi dovremmo andare ad inseguire uno così? Per farci che?”, come diceva irritato un dirigente.

Strauss Kahn

La Repubblica riproduce una intervista della segretaria del Partito socialista francese Martine Aubry a France 24: “In una vicenda di questo tipo, in ogni caso ci sarà una vittima. Dominique, se sarà scagionato, come spero, oppure quella giovane donna, che dobbiamo rispettare. Sono profondamente addolorata. Vorrei che si rispettassero questa donna e la presunzione di innocenza”, dice. E’ sdegnata per la diffusione delle immagini in Francia di Strauss Kahn ammanettato perché – ricorda – dal 2000 la legge Guigou (Guardasigilli di Jospen) in Francia è vietato. Sottolinea che allo stato attuale dei fatti noi non sappiamo qual è la versione di Strauss Kahn. “E per questo le immagini, non soltanto sono insopportabili e degradanti, ma arrivano a un momento della procedura in cui non dovrebbero arrivare”.
Il Foglio offre ai lettori una conversazone con il giurista Luca Marafioti sul caso Strauss Kahn e la “violenza del diritto americano”. Marafioti ha a lungo insegnato nelle università americane. Vengono discusse sul quotidiano, con ampi articoli, anche le parole del filosofo Bernard-Henry Levy a difesa del direttore del Fondo Monetario Internazionale.
Sulla vicenda Strauss Kahn torna anche Europa, per descrivere lo stato d’animo in casa socialista: al momento il partito non intende cambiare calendario, non è previsto nessun cambiamento delle date utili alla presentazione delle candidature delle primarie dell’8 e 9 ottobre. Una parte dei dirigenti suggerisce, senza dirlo apertamente, di sospenderle e di scegliere proprio la Aubry per competere alle presidenziali.

Parmalat

Il Sole 24 Ore dedica il titolo più grande a Parmalat: “Parmalat sfida Lactalis. Il contrattacco di Bondi: la fusione indebolirebbe il gruppo, con rischi per cedole e investimenti. Entro l’assemblea la decisione sull’ostilità della offerta”. Il cda dell’azienda ha deciso insomma di “sfidare” i francesi di Lactalis. I 2,6 euro offerti nella Opa non sono considerati sufficienti. Entro domenica il cda darà una nuova comunicazione, anche se Lactalis ha comunque fatto sapere che non offrirà più di quella cifra. Un “retroscena” spiega che per Lactalis “meno titoli arrivano e meglio è”, visto che “sotto il 55 per cento” i francesi potrebbe rifiutarsi di ritirare altri titoli. Del resto il piano A era quello di fermarsi al 30 per cento di Parmalat. L’Opa è onerosa, e Lactalis, prima di decidersi a lanciarla, aveva ribadito che le bastava rimanere sotto il 30 per cento per portare avanti il suo piano industriale. Ha deciso di lanciare l’Opa perché costretta dalle autorità italiane (Tesoro in testa). Dunque Lactalis prevedibilmente non alzerà l’offerta.

(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini) 

redazione grey-panthers:
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