Le aperture
“Il capo dello Stato: a messa e poi da Napolitano a piedi”. “Caos Ncd. Alfano: non fermo nessuno”.
L’editoriale, di Ernesto Galli della Loggia, è titolato: “Centrodestra al bivio. Lo sgarbo e il futuro del Patto”.
In prima anche un commento di Michele Ainis: “Una serie di paradossi ridà ruolo alla politica”.
Di spalla: “Charlie Hebdo non va in edicola. Lo choc globale è già finito?”.
A centro pagina: “Sotto attacco e indifesi. L’Isis scuote il Giappone”. “L’ostaggio ucciso, il premier vuole una risposta militare”.
La Repubblica: “Mattarella: ‘Ricucirò gli strappi del Paese’. Dietrofront di Berlusconi, il Nazareno vive”, “La domenica del nuovo Presidente, messa e passeggiata, poi chiama Ciampi e fa visita a Napolitano”.
Al presidente del Consiglio è dedicata l’analisi del lunedì di Ilvo Diamanti: “Un premier liquido per tempi liquidi”.
Sulla situazione del centrodestra: “Se Alfano si scopre cespuglio di governo”, di Stefano Folli.
In prima anche “il caso” raccontato da Ettore Livini e Federico Rampini: “Euro, la Grecia resta, sì ai piani per ripresa. Obama tassa i big sui profitti all’estero”.
E un’intervista a Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia: “bene Draghi, ma la Bce non sia dura”.
Nella colonna a destra si ricorda che oggi inizia a Lille il processo all’ex direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, con l’accusa di sfruttamento aggravato della prostituzione: “Ecco ‘le serate libertine’ che incastrano Strauss-Kahn”, “Le orge nelle carte dell’accusa contro l’uomo che voleva l’Eliseo. Oggi al via il processo a Lille”.
In taglio basso, Salvo Palazzolo dà conto di una vicenda verificatasi a Palermo: “Picchia moglie e figli, ‘Velo e niente calcetto, convertitevi all’Islam o vi ammazzo’”.
La Stampa: “La resa dei conti nel centrodestra”, “Fi e Ncd, molti tentati dal Salvini. Il governo rilancia: ripresentiamo il decreto fiscale”, “Il primo giorno del neopresidente Mattarella: messa, foto con le suore, telefonata con Ciampi e visita a Napolitano”.
Sulla crisi greca: “Renzi media e telefona alla Merkel”, “Il ministro delle Finanze Varoufakis a Parigi: alla fine troveremo un’intesa con la troika”.
A centro pagina: “Statali, cambia l’aria. Si ammalano meno: assenze giù del 7%”, “Barabagallo (segretario generale della Uil, ndr.): niente alibi ai fannulloni”.
Di spalla a destra, un commento di Domenico Quirico sull’Isis e l’uccisione del giornalista giapponese Kenji Goto: “Quei giapponesi vittime ignare della follia Isis”.
Il Fatto: “Silviostaisereno, la Boschi: ‘Il 3% per tutti gli italiani’”, “Favori fiscali”, “Post-Quirinale: mentre Renzi prova a smentire il Patto del Nazareno, la sua ministra confessa”, “’Non si può fare o non fare una norma che riguarda tutti i cittadini perché riguarda anche B.’. Mattarella e le prime firme da presidente: dal decreto sul fisco all’Italiaum. Pasquino: ‘Le schede segnate? Vanno vietate’”.
In prima il richiamo ad un’intervista a Claudio Martelli: “’Sergio? Mi disse miserabile e ribaltò Prodi, aspettiamo a santificarlo’”.
A centro pagina: “Nonno Facebook”, “Il social più popolare festeggia 1,5 miliardi di utenti. Ma sulla rete spopola un blog che annuncia: ormai è defunto, ‘è come stare a un pranzo di famiglia dove ti senti un po’ a disagio’. Chi ha ragione? Quali app sostituiranno la creatura di Mark Zuckerberg? Genitori e figli raccontano come ci si controlla e ci si evita su Internet”.
A fondo pagina, un commento di Ferruccio Sansa: “Arrivo al Colle: una Panda grigia non fa primavera”.
E un articolo di Francesco Chiamulera: “Grande Guerra: nelle trincee tornano i soldati”, “Dolomiti”, “Ricordare il ’15-’18 vivendo giorno e notte al fronte”.
Infine, un reportage da Israele di Serena Fiorletta: “Contro il muro con i colori della pace”, “Israele, dipinti e parole sulla nuova barriera”.
Il Giornale: “Il day after dell’elezione. Mattarella, chi paga il conto?”. “Renzi costretto a saldare i debiti con la sinistra Pd. Ma intanto deve governare con Ncd e fare le riforme con Forza Italia”.
A centro pagina: “Doppiopesismo a cinque Stelle”. “Di Maio predica la trasparenza ma dimentica la società di famiglia”.
Il Sole 24 Ore: “Mattarella riparte dalle riforme”. “Domani il giuramento del nuovo capo dello Stato: l’Europa, il lavoro e i temi sociali in primo piano”.
“Renzi rassicura Merkel su Tsipras: rispetto dei patti, no ad assi mediterranei”.
L’editoriale, firmato da Fabrizio Forquet: “Adesso Renzi si gioca tutto sull’economia, no retromarce”.
Di spalla: “Parigi: aiuteremo Atene a superare la crisi e a restare nell’euro”. “Incontro Sapin-Varoufakis”. “Banca Lazard consulente della Grecia”. “Tsipras domani a Roma e a Bruxelles”.
A centro pagina: “Pmi, garanzie per otto miliardi”. “Il bilancio 2014 del Fondo centrale: dall’inizio della crisi aiutate più di 400 mila imprese”. “Il governo vuole estendere lo strumento ai titoli Abs cartolarizzati”.
In prima anche: “Morte di Goto, Giappone sotto choc. Accuse alla politica estera di Abe”.
E poi la notizia della prossima visita del Papa a Sarajevo.
“Un premier liquido per tempi liquidi”: è questo il titolo di un’analisi di Ilvo Diamanti, che compare su La Repubblica. “Mattarella è stato e resta -scrive Diamanti- un democristiano di sinistra”, “Renzi invece è post-democristiano. Interpreta un modello di (post) democrazia personalizzata e mediatizzata. Dove i partiti contano meno perché, infondo, si sono liquefatti. Per questo l’elezione di Mattarella permette di precisare il tipo di leadership e di democrazia interpretata da Renzi. Leader dei tempi liquidi, al tempo della democrazia liquida. Secondo la nota formula di Zygmunt Bauman. Cioè: senza appigli stabili e sena riferimenti coerenti”.Esemplare è, secondo Diamanti, il paragone con quanto avvenne con l’elezione del capo dello Stato nel 2013: in Parlamento erano emerse dalle elezioni “tre grandi minoranze politiche”, “in-comunicanti e divise anche al loro interno” (Pd, Pdl e M5S). Ma la vicenda dei franchi tiratori mise fine alla “finzione”: due anni dopo, in occasione dell’elezione di Mattarella, “le tre grandi minoranze non esistono più”, i partiti sono “liquidi”.
Su Reset, il direttore Giancarlo Bosetti spiega la “vittoria” di Renzi: “perché ha spinto tutti quanti gli attori decisivi (Lega e M5S non lo sono) a votare un presidente voluto soprattutto da lui e accettato giocoforza dai soggetti in gioco, perché ha costretto tutto il campo a riorientarsi intorno alla sua regia, a riconoscere la sua centralità, come il parametro della politica italiana di questa fase. Non per una sua arroganza o prepotenza, ma per la abilità nel far valere i propri punti di forza e nell’individuare le debolezze degli altri. Una conseguenza, non secondaria, della vittoria è la pacificazione delle relazioni con il Pd, che nelle ultime settimane erano giunte molto vicino al punto di rottura”.
Sul Corriere viene intervistato Francesco Rutelli: “La ‘mia’ Margherita, dal premier al Presidente come il vivaio del Barcellona”. Secondo Rutelli un limite di Renzi è non aver voluto rendere la squadra di governo “abbastanza ricca e polifonica”, “non si può governare con gruppi di riferimento ristretti”. Renzi, che “non ricerca il compromesso”, ha saputo “accantonare” la sua “determinazione” nel caso di Mattarella, “che non è un uomo suo” e “non gli risponderà da subalterno”.
Marzio Breda sul Corriere parla dell’incontro di ieri tra Napolitano e Mattarella. SI legge che Napolitano ha voluto esplicitare la “‘preoccupazione – che alcuni avevano espresso in pubblico e che ovviamente sentivo anche io – che la mia decisione di dimettermi potesse aprire una fase molto turbolenta per le elezioni del nuovo capo dello Stato. E gli ho sottolineato che in realtà le mie dimissioni, motivate da concrete ragioni personali, erano state un atto di fiducia nella maturità e nella responsabilità del Parlamento e delle forze politiche…'”. Poi Breda parla della “scaletta del discorso d’insediamento previsto per domani che il nuovo presidente della Repubblica sta scrivendo”, dove si parlerà di “Italia”, dei “bisogno della gente comune” e “squarci di vita reale”, e con un “capitolo importante” dedicato alle riforme “in campo economico” ma anche “riforme costituzionali”, visto che “il percorso per un engeneering della Carta è ormai aperto e abbandonarlo a metà dell’opera sarebbe una dissipazione di energie e di coraggio”. Mattarella dirà che occorre “‘innovare per non tradire'”.
Su Il Giornale si parla del “segnale di Mattarella” a Berlusconi, perché ieri il Presidente ha chiamato Berlusconi per “invitarlo alla cerimonia di insediamento. Il capo dello Stato, che sarebbe dunque ‘molto felice’ di avere il Cavaliere tra i suoi ospiti domani al Quirinale, compie così il primo gesto politico del suo mandato. I rapporti tra i due sono buoni”, si legge sul quotidiano, e “nell’intervento alle Camere, dove ci sarà un appello all’unità”, è previsto un “altro” passo verso il leader di FI.
L’editoriale del Corriere è dedicato al “futuro” del Patto del Nazareno. Scrive Ernesto Galli della Loggia che “un Berlusconi troppo debole non servirebbe nemmeno a Renzi, perché non avrebbe più la capacità di trascinarsi dietro un numero di parlamentari sufficiente per sostenerne la politica”, e se oggi ha “usato Berlusconi come un machete per colpire i suoi nemici interni di partito e per aprirsi un varco nella boscaglia (parlamentare) attraverso cui far passare le riforme”, rischia di perdere questa possibilità a causa di un “eccessivo indebolimento” di Berlusconi. Il centrodestra d’altra parte “difficilmente potrà bloccare il processo che lo spinge verso la frammentazione, il caos, e l’insignificanza politica”, e non solo per problemi di leadership ma anche per lo “spostamento di rilevanti segmenti societari che in passato avevano guardato a Berlusconi”, e che insomma fino a quando Renzi avrà “spinta propulsiva” non ci “sarà spazio per una rinascita del centrodestra.”.
Lo stesso quotidiano intervista il politologo Giuliano Urbani, tra i fondatori di Forza Italia: “Silvio in declino. Ha puntato tutto su uomini senza cultura politica”. “Uno con un minino di cultura politica l’avrebbe capito subito che Renzi, di fronte al Quirinale, sarebbe partito dall’unità del suo partito”, mentre Berlusconi si è “affacciato” a quella trattativa insieme a uomini che “non solo non capiscono nulla di strategia, il che sarebbe già grave, ma nemmeno di tattica”.
Su Il Giornale: “Il Cavaliere: sì alle riforme ma stavolta voglio trattare io”. Secondo il quotidiano “chi lo ha sentito lo descrive ‘molto più calmo e non così abbattuto’ anche se, inutile nasconderlo, la spregiudicatezza di Renzi lo ha ferito. Eppure il Cavaliere non considera stracciato il patto del Nazareno perché sulle riforme ‘se sono funzionali a quello che diciamo da vent’anni non possiamo tirarci indietro'”. Secondo il quotidiano inoltre “nonostante da Alfano sabato scorso abbia ricevuto uno schiaffo, il Cavaliere è orientato a ricucire pure con lui”.
A proposito di Ncd, il Corriere intervista Maurizio Sacconi, che si è dimesso dalla carica di presidente dei senatori del suo partito: “Dobbiamo essere pronti a uscire dal governo”, dice. Non serve tanto una “verifica” di governo. “La verifica la dobbiamo fare tra noi, guardandoci negli occhi e dicendoci che siamo pronti a rompere, ove costretti”, perché Renzi “concepisce i rapporti politici come taxi da prendere per raggiungere obiettivi di proprio consolidamento”.
Altro articolo del quotidiano milanese: “Terremoto Ncd, pressioni su Alfano. Il leader: io non trattengo nessuno”. “Nel partito c’è chi gli chiede di lasciare il Viminale per fare solo il segretario”.
La Stampa, pagina 3: “Nel centrodestra tutti in fila verso la Lega”. E si riferiscono le parole del leghista Roberto Calderoli: “C’è la coda per entrare”. Il quotidiano parla di “smottamenti nel Ncd, ma anche in Forza Italia”. E il segretario del Carroccio che avvisa: “no ai riciclati”.
Sulla stessa pagina, un’intervista alla capogruppo del Nuovo CentroDestra Nunzia De Girolamo: “L’ira di Nunzia De Girolamo: ‘Noi maggiordomi di Renzi’, ‘Dovremmo fare come la Lega con Berlusconi’”. Dice la deputata: “Dobbiamo essere un partito di lotta e di governo, com’era la Lega nel governo Berlusconi del 2008”. Di fianco, un’intervista a Donato Bruno, vicepresidente dei senatori di Forza Italia: “Ma ora per i nostri il patto è tramontato”, dice. E avverte il premier: “Renzi, hai i numeri in Senato? Allora puoi stare sereno, ma se non li hai….”. Poi, parlando del leader di Forza Italia: “Berlusconi vuole mantenere la parola data, ma adesso non so come sarà possibile far votare i nostri parlamentari”.
La Repubblica, pagina 6: “Berlusconi frena i falchi: ‘Il Patto del Nazareno resta, ma non accetto modifiche’. Il leader forzista difende l’accordo con il premier, su Italicum e Senato vale solo quanto concordato”. Carmelo Lopapa racconta quindi che la risposta di Berlusconi al “tradimento” di renzi sarebbe stata la seguente: “Non possiamo fare i bambini capricciosi, tirarci indietro per un dispetto pur grave subito, restiamo responsabili, noi”; ma “non accetteremo ulteriori modifiche sulle riforme, se Renzi cambia una virgola, contro quella virgola faremo le barricate”. Si legge poi che dovranno cambiare gli “interlocutori” come Denis Verdini e Gianni Letta. E che Berlusconi ha ricevuto l’invito per assistere, domani, alla seduta di insediamento del nuovo Presidente, al Parlamento riunito in seduta comune. Ma dovrà farlo dalle tribune e non è detto che accetti.
Anche sul Corriere si legge che Verdini “può saltare” nel senso che “dietro Berlusconi si muove decisa l’area dei dirigenti di prima fila del partito che è pronta a sostituire Verdini e Letta nel rapporto con Renzi”. A prendere il sopravvento potrebbero essere “Brunetta, Toti, la Rossi”, “assieme a Gelmini, Bergamini, Bernini tra gli altri” nei rapporti con il governo . E ci sarebbe già “chi teme un’alleanza Fitto-Verdini per contrastare l’avanzata del cerchio magico”.
Secondo Fabrizio Forquet, sul Sole 24 Ore, dopo l’esito non scontato della elezione del Presidente della Repubblica, “il villaggio ha bisogno di tornare a crescere, ha necessità urgente di grano e farina, di olio, di vino e di legna da ardere, perché è troppo tempo che i suoi abitanti – per dirla con il capo dello Stato – sono in difficoltà ed è tempo di ridare loro speranza”, e “per la prima volta da anni” le previsioni sono favorevoli, anche se non mancano “elementi di preoccupazione”. “Per queste ragioni, positive e negative, Renzi non può fermarsi. Non perda un attimo con i ‘tormenti’ dell’Ncd, lasci perdere la mappa esatta dei contenuti del Patto del Nazareno, di Civati se ne faccia una ragione”. “La telefonata di Draghi a Mattarella subito dopo il voto del Parlamento la dice lunga sull’ordine delle priorità. Economia, economia, economia”. Forquet chiede che il governo non faccia passi indietro sul Jobs Act, e che “il Consiglio dei ministri del 20 febbraio (non è possibile anticipare?)” vari “almeno altri due decreti attuativi della legge 183: quello di riordino dei contratti, dove vanno evitate tentazioni di nuovi irrigidimenti che vanificherebbero quanto di buono è stato fatto finora, e quello della revisione degli incentivi”, oltre al decreto fiscale senza la “norma salva-Berlusconi” introducendo però “una vera certezza del diritto per tutte le imprese che rispettano le leggi, con una soglia ragionevole di tolleranza sui veri errori materiali”. “Rust never sleeps. Le riforme non aspettano”.
Il Corriere intervista il visegretario Pd Lorenzo Guerini: “Era il voto sul Colle, non il congresso Pd. Nessuno avrà contropartite da incassare”. A Guerini viene chiesto un giudizio sulle parole sulla riforma elettorale pronunciate da Bersani (“Con Mattarella certe sciocchezze incostituzionali non passeranno”, ha detto l’ex segretario Pd al quotidiano milanese). Guerini risponde che “non è stata fatta alcuna sciocchezza incostituzionale”, e che “non vogliamo comprimere il dibattito” alla Camera ma “l’impianto su cui abbiamo costruito con tanti sforzi un accordo va salvaguardato”. Il patto del Nazareno “per noi va avanti”, considerando che riguarda la riforma elettorale e quella costituzionale. L’Ncd chiede una verifica ma è “un rito antico”. Sel: “Non c’è niente da ripagare”, “non ci sono contropartite da incassare”. Domanda: “Il tetto del tre per cento per la frode fiscale per Berlusconi?” “Assolutamente no”, risponde Guerini.
Il Giornale intervista Pippo Civati: “‘Il Pd compatto? Macché, resta diviso'”. “‘Il partito si è unito per Mattarella ma adesso Renzi andrà avanti come prima’”. Dice Civati che “‘La legge elettorale la ha voluta lui così, non si farà certo del male da solo accettando di cambiarla come vorremmo noi. Io continuerò a votare contro, e vedremo che farà il resto della minoranza’”. Dice anche che secondo lui “cambierà poco o nulla: la destra continuerà a sostenere le riforme insieme a Renzi, nonostante lo sgarbo del premier verso Berlusconi sul Quirinale. Questa legislatura è tutta fondata su quel patto e liquidarlo sarebbe una sconfitta per Renzi”.
La Repubblica intervista il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio che, si scrive, “respinge la richiesta della sinistra Pd di rimettere mano alle riforme dopo l’esclusione di Berlusconi dalla partita del Quirinale”. “Sarebbe sbagliato -avverte- pensare che il successo dell’elezione di Mattarella serva ad altre cose. Sarebbe improprio trasportare il ‘metodo Quirinale’ su altri piani”. “Non esiste alcun metodo Quirinale, su Italicum e riforme non cambia nulla”, dice Delrio. E precisa: “Non sta in piedi la storia di due forni, non abbiamo proposto un candidato in grado di unire tutti”, “Se adesso ripartissero le politiche di pura interdizione, allora sarebbe un problema”.
Alle pagine seguenti, un’intervista a Guglielmo Epifani: “il premier cerchi l’unità sulla legge elettorale, la sinistra non trama con Fi”.
Quanto all’orientamento di Renzi, La Repubblica scrive: “Renzi avverte gli alleati: ‘Né verifiche né rimpasti’. La Finocchiaro il pole position per un posto nel governo”, “’Non perdiamo tempo e concentriamoci sulle cose da fare’. La senatrice Pd destinata a sostituire la Lanzetta”.
La Stampa intervista la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani: “Basta con le ostilità nel Pd. La legge elettorale non sarà modificata”, “Il decreto fiscale? Il governo valuterà il testo e lo ripresenterà”.
La Repubblica: “Pd, appello della Boschi: ‘Tregua per una settimana’. Bersani: ‘Col dialogo arriviamo anche al 2018’”, “L’ex segretario chiede una intesa sulle preferenze. Bindi: ‘Un leader tessitore ottiene risultati migliori’”.
Sulla stessa pagina, il preannuncio del ministro delle Riforme istituzionali: “Boschi: avanti col decreto fiscale, non è salva-Silvio ma per tutti”, “Il ministro annuncia che il tema verrà riproposto: ‘Riguarda 60 milioni di italiani. I tetti ci sono ovunque. Anche in Francia, anche se lì è il 10 e non il 3”.
Il Fatto, pagina 3: “Boschi consola B.: ‘”La Salva Silvio serve all’Italia’”.
Sul Corriere: “Taglio del debito, Atene trova un alleato a Parigi”. “E Juncker vuole abolire la missione della troika”. Parigi dice che “è giusto, anzi è indispensabile” che la Grecia avvii il dialogo con le istituzioni finanziarie internazionali. Parole del ministro Sapin, che ieri ha incontrato il suo omologo Varoufakis. “‘Nessuno potrà uscire dalle difficoltà senza un ritorno alla crescita. Grecia e Ue hanno bisogno di investimenti”, ha detto Sapin. Varoufakis ha approfittato per ricordare che il risarcimento del debito dipenderà appunto dalla crescita: “Se non ci viene permesso di rilanciare l’economia non avremo mai la possibilità di pagare”. Secondo fonti citate dal quotidiano la Grecia pensa a una “moratoria di due o tre anni nei pagamenti”, investendo il surplus di bilancio in politiche sociali e investimenti che riassobano la disoccupazione e facciano risalire il Pil.
Sul Sole si legge che Tsipras ha parlato al telefono col governatore della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi, e si ricorda che “nonostante una ristrutturazione nel 2012, la Grecia è ancora schiacciata da un debito che supera il 175% del Pil, un record nell’Ue. Questo debito schiaccia l’economia di Atene, che vive una profondissima crisi. Alla Grecia della precedente gestione sono stati promessi altri 7,2 miliardi di euro in fondi da Ue, Fmi e Bce, ma vincolati a una valutazione sulle riforme realizzate entro la fine di febbraio. Varoufakis ha detto che il suo governo non vuole prestiti, ma ci sono preoccupazioni che il paese possa non farcela senza.
Ieri si è votato nella circoscrizione francese di Doubs per assegnare il seggio lasciato vante dal Commissario Ue Moscovici. Ha vinto largamente la candidata del Front National, Sophie Montel. “Il primo test elettorale prima Le Pen”, scrive il Corriere della Sera. Andrà al ballottaggio con il candidato socialista Barbier. L’affermazione del FN “non sorprende”, la candidata ha ottenuto i voti operai della locale industria automobilistica colpiti dalla crisi. Il quotidiano si chiede se vincerà con i voti dell’Ump, il partito di Sarkozy, che deciderà domani chi appoggiare.
Sullo stesso quotidiano Massimo Nava commenta la decisione di Charlie Hebdo di non uscire per le prossime due settimane. Motivazione “ufficiale” è lo “stress della redazione”, una “pausa che non significa rinuncia né tantomeno arrendevolezza”.
La notizia, sullo stesso quotidiano: “‘Siamo addolorati e stanchi. Ci fermiamo, ma non è finita’. Charlie Hebdo, non si sa quando uscirà il secondo numero dopo la strage'”.
Il Fatto intervista la portavoce del settimanale satirico Charlie Hebdo, Anne Hommel, che spiega che la testata “non è pronta” a tornare in edicola “con i consueti ritmi di lavoro”. Il settimanale uscirà, ma “abbiamo bisogno di un momento di pausa, per riorganizzarci e superare lo stress”.
Su Il Giornale Livio Caputo: “Charlie bersaglio perfetto. Così l’Isis ha diviso l’Occidente”. “Pericoloso dire ‘quelle vignette erano troppo’. Se giustifichiamo gli attentati allora battere il terrorismo sarà più difficile'”. “Non facciamoci confondere”.
Su La Stampa: “L’Isis spinge il Giappone al riarmo. Ma è rivolta contro il premier Abe”, “Dopo l’uccisione di Goto, il governo vuole cambiare la Costituzione pacifista. Manifestazioni a Tokio. La madre del reporter morto: porterò avanti il suo lavoro”. Scrive Ilaria Maria Sala che il Giappone intero si ritrova segnato dalla tragedia della decapitazione del giornalista Kenjii Goto. Ma sullo sdegno è diviso: se il primo ministro Abe reputa l’accaduto l’ennesima prova che la Costituzione pacifista nazionale sia obsoleta e vada rivisitata, molti rifiutano questa logica, considerando che parte della responsabilità per la morte di Goto ricada anche sull’inefficacia delle operazioni diplomatiche giapponesi e hanno organizzato proteste contro il governo. Il tentativo di liberare Goto è infatti fallito dopo una trattativa sul pagamento di 200 milioni di dollari di riscatto, poi su uno scambio di prigionieri con la Giordania, che ha nelle sue carceri Sajida al Rishawi, una terrorista irachena di cui l’Isis voleva la liberazione. Ma contro la svolta “militarista” del premier si è cerata una vera mobilitazione, scrive la sala: scopo dell’iniziativa promossa dalle associazioni è stato quello di protestare contro un ruolo più attivo di Tokio nei conflitti internazionali. La protesta è arrivata davanti alla residenza del premier Abe e tra i manifestanti c’era chi esponeva cartelli con su scritto: “Colpa tua Abe”, “Io non sono Shinzo Abe”. Sulla stessa pagina, un’analisi di Domenico Quirico: “Kenji e quei reporter giapponesi uccisi in una guerra che non è loro”, “perfezionisti e coraggiosi in un Califfato lontanissimo dal Sol Levante”.
Sul Corriere: “Il terrore scuote il Giappone. In dubbio il dogma pacifista. Lo sdegno del premier Abe e le modifiche militariste alla Costituzione”. Il Paese è “sotto choc” per l’uccisione del secondo ostaggio giapponese nelle mani dell’Isis, e sull’onda dell’emozione il premier Abe vorrebbe una “reinterpretazione” della Costituzione “pacifista” del Paese che “impedisce azioni militari”. Si chiede di poter aiutare gli alleati sotto attacco e di poter difendere i connazionali all’estero.
Anche sul Sole 24 Ore ci si sofferma sulla “opinione pubblica divisa” del Paese e si spiega che Abe vorrebbe un “pacifismo pro-attivo” abbandonando “riluttanze e restrizioni all’azione politico-militare”, perché il Giappone non può più essere “amico di tutti”. Una parte dell’opinione pubblica però teme “i rischi incalcolabili di andare a cercare guai all’estero”, e il problema non è solo il mondo islamico ma il rapporto con la Cina