Le aperture
La Repubblica: “Tasse, la mossa di Tremonti”. “Tre aliquote Irpef ma solo con i tagli. Bossi: basta con le promesse”
“Divisioni nella Lega dopo la vittoria del sì. Casini: mai più nel centrodestra, alternativa con il Pd. E spunta il referendum elettorale”. A centro pagina: “Boccassini su Ruby: prostituzione a Arcore. Il Pm: quella sera in Questura un attacco militare”. In evidenza anche le novità sul decreto sviluppo, in discussione alla Camera: “Dietrofront sulle spiagge ai privati, salta la concessione di vent’anni”.
Il Corriere della Sera: “Fisco, i paletti di Tremonti. Sfida della Lega: scelte coraggiose. Maggioranza in difficoltà su corruzione e sviluppo. ‘Il piano: solo cinque imposte e tre aliquote”. A centro pagina una analisi sul voto referendario: “Metà degli elettori leghisti ha scelto di votare per i 4 referendum”. “Tra i sostenitori del Pdl crescono gli indecisi”. L’editoriale, firmato da Angelo Panebianco.
Il Sole 24 Ore: “Cinque imposte e tre aliquote. Legge delega insieme alla manovra. Riordino per le 476 esenzioni. Tremonti annuncia le linee guida del nuovo Fisco: si parte dallo scaglione Irpef più basso. Entrate boom: + 5,7 per cento”. In prima pagina, con foto, anche l’intervento di Draghi ieri al Parlamento Europeo: “No al default di Atene”. L’editoriale del quotidiano di Confindustria è firmato da Carlo Bastasin, e titolato “Finito il tempo dei populismi nazionali”.
Il Giornale: “Via la tirannia fiscale. Appello a Berlusconi. L’Italia è prigioniera delle tasse. E’ ora di liberarla. Ma per riuscirci dobbiamo tagliare con le stesse forbici aliquote e spesa pubblica. Non possiamo più permetterci lo Stato-Mamma che dice di sì a tutti”. L’articolo di prima pagina è firmato da Vittorio Feltri. Il quotidiano si sofferma anche sul direttore Sallusti: “La persecuzione continua: Sallusti sospeso dall’Ordine. Assalto al ‘Giornale'”.
Libero: “Dimettersi o resistere? Berlusconi al bivio”, con caricatura del Cavaliere nelle vesti di Amleto. “Pdl e Carroccio non si fidano più l’uno dell’altro. Alemanno evoca un asse romano anti-Senatur, Micciché vuole allearsi con il Pd. Nuovo sgambetto dai responsabili. Il 22 c’è la verifica in Parlamento, ma si può andare avanti così?”.
Il Foglio si occupa dei Repubblicani americani: “Il Gop si lascia tentare dalle colombe e pensa al ritiro da Kabul. Nel primo vero dibattito tra candidati alle primarie della destra americana vanno forte austerità e isolazionismo. La sorpresa è donna”. Si parla di Michelle Bachman, “eroina” dei Tea Party. Di spalla “il progetto di Tremonti per un fisco leggero, semplice ma rigoroso”.
Il Riformista apre con l’immagine di Roberto Maroni, “l’outsider”. “Centrodestra nel pallone, il ministro dell’interno gioca la sua partita”.
Europa: “E’ cominciata la secessione leghista. Dal governo, però”. Il quotidiano si riferisce al fatto che ieri il Consiglio dei ministri è stato “paralizzato” dal ministro Calderoli, per uno scontro sulla questione rifiuti. “E Tremonti resiste contro ‘lo scasso'”.
La Stampa punta sulle proposte del ministro Tremonti: “‘Tre aliquote per il fisco’, Tremonti accelera sulla riforma: tasse più basse contro l’evasione”.
Il Fatto apre con il caso Ruby ed ha in prima una foto della pm Ilda Boccassini: “Papi paga ancora”, “Altri 45 mila euro versati fino a un mese fa da Silvio Berlusconi ad Alessandra Sorcinelli, testimone del processo Ruby. In aula Ilda Boccassini: ‘Quella notte un assalto militare alla questura’”.
Tremonti, governo.
Ieri il ministro Tremonti, nel suo intervento all’assemblea di Confartigianato, ha illustrato la propria proposta di riforma fiscale: “una vera rivoluzione”, secondo La Repubblica.
Spiega il Corriere della Sera che il ministro ha disegnato un sistema con sole cinque imposte e tre aliquote, ma ponendo condizioni ferree e lanciando avvertimenti chiari alla sua maggioranza: “La riforma fiscale non si può fare in deficit. Il giorno dopo salgono i tassi di interesse e devi aumentare le tasse, ma questo lo fa il governo che viene dopo, perché chi commette errori di quel genere li paga cari”. Tremonti ha sostenuto che i margini per abbassare le aliquote sono enormi e sono “il miglior investimento per ridurre l’evasione fiscale”. Ma per far questo – insiste il ministro – bisognerà fare delle scelte: separare l’assistenza dal fisco, ridurre drasticamente l’enorme area delle esenzioni, detrazioni, deduzioni e sconti fiscali, spingendo ancor di più sull’evasione. Ci sarà da separare l’assistenza dal fisco, e riordinare, “togliere gli assegni a quelli con i gipponi”. Rinunciando ad una parte delle 471 agevolazioni, detrazioni, deduzioni e sconti fiscali che si mangiano 160 miliardi di euro all’anno. Per il Corriere è un Tremonti “più vicino a Cameron che a Silvio Berlusconi”. Massimo Giannini su La Repubblica descrive la “discesa in campo” di Tremonti come “non populista né ideologica”. Sembra “un altro predellino”, “ma stavolta è quello di Giulio”. Secondo Giannini alla demagogia berlusconiana del “meno tasse per tutti”, Tremonti avrebbe opposto lo “spirito del referendum”, poiché ha chiamato a raccolta la società civile che con la “sberla” di due giorni fa ha dimostrato di voler contare, ha fatto appello e fa blocco con i corpi intermedi, con le categorie dell’impresa e del lavoro. E’ – secondo Giannini – un “vero e proprio manifesto politico”.
Un “dossier” de La Repubblica tenta di spiegare come il Paese si trovi ad avere a che fare con una giungla nel settore delle detrazioni e dell’ordinaria assistenza alla famiglia: “Il fisco non può sostituire l’assistenza sociale”, ha detto Tremonti.
Anche sul Sole 24 Ore si tenta di districarsi nel “magazzino” in cui sono stipate 476 agevolazioni, riduzioni di imposta, detrazioni eccetera. Qui il ministro Tremonti conta di trovare una buona parte della dote necessaria per finanziare il fisco del futuro. Ma il ministro ha parlato anche di “molti costi della politica da ridurre”, sottolineando che tutti gli incarichi politici e pubblici dovrebbero essere remunerati “nella media europea”. “Meno aerei blu e più Alitalia”, ha detto Tremonti.
“Giulio tesse la tela tra imprese e lavoro” è il titolo di un commento del Corriere. Per La Repubblica l’idea di Tremonti è quella di un ‘patto con i ceti produttivi’ ed è uno “schema per la discesa in campo” dello stesso Tremonti: un “manifesto per ‘la maggioranza che verrà'”.
Il presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini viene intervistato da Il Giornale, e considera “seria” la riforma delineata da Tremonti: è “giusto reperire risorse colpendo spesa pubblica non necessaria e da privilegi radicati”. E’ giusto puntare sull’Irpef? “Sì, se invece si puntasse solo sull’Irap si premierebbero i soliti noti. Grandi aziende, quasi sempre statali, banche e assicurazioni. Poi sull’Iva bisogna stare attenti, in tempi di consumi che si riducono non è la ricetta giusta. Tremonti non he ha parlato, e mi pare che l’ipotesi di aumenti dell’Iva, cara a Confindustria, sia definitivamente tramontata”. Guerrini invita la politica a superare contrapposizioni sterili, ma lancia anche un forte messaggio sulla riforma elettorale. Se continuiamo con una classe politica di nominati, che non risponde agli elettori, ma solo ai leader di partito, sarà un danno per il Paese” e “uno dei messaggi arrivati dal referendum”, secondo Guerrini, è che “se 28 milioni di persone vanno a votare, non possono essere solo comunisti e giovani dei centri sociali”.
Su Il Giornale si descrive “l’incubo della Lega”, ovvero che Bossi e i ministri vengano fischiati a Pontida. La base sarebbe in fermento, e sarebbe cresciuto il timore di contestazioni, tanto che Padania.org, forum in rete, avrebbe rotto il tabù, ipotizzando una uscita di scena di Bossi.
Il Fatto quotidiano intervista Giancarlo Pagliarini che dice: “Bossi? Non vorrei essere nei suoi panni domenica a Pontida”.
Per La Stampa il senatur sarebbe nel mirino dei leghisti veneti (sindaci, ex sindaci, capigruppo e frondisti vari) che ora lo inviterebbero a passare la mano: “Cresce la fronda dopo lo smarcamento di Zaia sui referendum”.
Parlando ancora del referendum, da segnalare una inchiesta de La Repubblica, secondo cui “Pontida ha già tradito” ed il popolo leghista starebbe ammonendo Bossi (“Umberto svegliati o ci farai affondare”). Nel luogo sacro padano, il 51,3 per cento degli abitanti non ha dato retta a Bossi e il sì ha vinto. L’analisi di Renato Mannheimer sul Corriere della Sera è dello stesso segno: “Referendum, alle urne un leghista su due”. I delusi del Pdl portano gli indecisi al 50 per cento.
Su La Stampa intervista al direttore di Avvenire Marco Tarquinio, che sottolinea come i cattolici siano stati decisivi per raggiungere il quorum. Su La Repubblica una analisi evidenzia come i quesiti su acqua e nucleare abbiano risvegliato la generazione web. Ma le mille cellule del movimento sono costituite da Greenpeace, scout, Arci e scout.
Anche su Europa, due analisi sul voto dei cattolici, il vento della Chiesa e i sì ai referendum (“Lo swing vote dei cattolici”, di Massimo Faggioli, e l’analisi di Guelfo Fiore dedicata alla quarantaseiesima settimana sociale, che si è svolta la scorsa settimana in Calabria).
Destra americana
Su tutti i quotidiani ampi resoconti sul dibattito in tv tra i sette candidati repubblicani americani. A destra è nata una stella, secondo il Corriere. Si tratta di Michele Bachman, paladina dei tea party. “Non avrò pace fino a che Obamacare, la sua riforma sanitaria, non verrà cancellata”, ha detto, mettendo in ombra gli altri candidati, compresa Sarah Palin che, a questo punto, se vuole candidarsi, deve stringere i tempi per l’arrivo della sua ex amica: otto mesi fa, infatti, la Palin era in Minnesota per sostenere Michele nella battaglia per la rielezione al Congresso.
Il dibattito tra i sette si è tenuto nel New Hampshire e – secondo Il Sole – ha rivelato chiaramente un altro spostamento a destra del Partito Repubblicano. Sette aspiranti alla nomination repubblicana hanno fatto a gara nell’auspicare il drastico ridimensionamento del governo, leitmotiv dei Tea Party. La Bachman ha proposto l’abolizione della Environmental protection agency, Newt Gingrich vorrebbe tagliare tutti i fondi al National Labour Relations Board, organo federale di protezione dei diritti dei lavoratori. Romney ha suggerito l’abolizione del Federal Emergency Management Board, agenzia che coordina i soccorsi in caso di catastrofi naturali; Herman Caine ha auspicato la privatizzazione delle pensioni; Ron Paul ha chiesto l’abolizione della Federal Reserve. E tutti comunque vorrebbero l’abolizione dell’Obamacare.
Il Foglio sottolinea che i sette candidati si sono divisi anche sulla politica estera, “il monolite su cui il Gop ha costruito la sua dimora nell’era Bush”. Ron Paul dice che bisogna ritirarsi al più presto dall’Afghanistan e dall’Iraq (“Che però non confinano, come lui invece sostiene”, chiosa Il Foglio) e smettere di bombardare il Pakistan e lo Yemen. Gingrich ha detto che bisogna tenere conto dei costi. Per Ron Paul non è solo questione di soldi, ma di orgoglio isolazionista.
(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)