Il primo turno delle elezioni amministrative italiane delude Renzi («Non siamo contenti») e fa sognare i cinquestelle ( «Noi, il primo partito a Roma e a Torino»). Ma sarebbe troppo superficiale e sbrigativo dire che il premier ha perso e i grillini hanno trionfato. La realtà è un po’ più complessa, come in tutte le fotografie elettorali della Penisola. Domenica erano chiamati alle urne 13 milioni di elettori per rinnovare 1342 comuni. L’affluenza è scesa, meno del previsto, al 62,1 per cento. Ma la partecipazione al voto è stata singolarmente bassa a Torino (57 per cento) e a Milano (54). Certo, si votava in un giorno solo e alla fine di un lungo ponte dopo la festa del 2 giugno. Ma il calo è considerevole. A Milano di 13 punti sul 2011.
Il Partito democratico è lontano dai risultati ottenuti nelle europee del 2014 (quando arrivò al 40,8 per cento). La lunga luna di miele del premier con gli italiani – ma è al governo da due anni e mezzo – è finita. Il PD sconta un certo affaticamento da gestione del potere e paga il prezzo del protagonismo muscolare del suo segretario. Renzi ha anticipato, e fortemente personalizzato, la campagna referendaria per il voto sulle riforme costituzionali, che si terrà in ottobre. «Se perdo, me ne vado». Non è escluso che il voto di domenica ne sia stato condizionato. Ma soltanto il 19 giugno sera, con i ballottaggi, si potrà dire se la battuta d’arresto si sarà trasformata in una sconfitta preoccupante. Se il centrosinistra dovesse conservare Milano, Torino, Bologna e Trieste – dopo essersi aggiudicato al primo turno, Salerno, Cagliari e la maggior parte dei comuni al voto («quasi mille» dice Renzi) – potrebbe ritenersi parzialmente soddisfatto. Roma era già data per perduta, dopo la fallimentare gestione di Ignazio Marino (sfiduciato dal suo stesso partito) e la velenosa coda delle inchieste della magistratura. E non era nemmeno previsto che il candidato pd a Roma, Roberto Giachetti (24,8 per cento) arrivasse al ballottaggio contro la lanciatissima grillina Virginia Raggi (al 35,3). Nonostante il suo impegno personale, Renzi però non è riuscito a portare al secondo turno la candidata pd a Napoli, Valeria Valente (21,2), schiacciata dal ciclone del sindaco uscente Luigi de Magistris (42,6), che affronterà al secondo turno l’esponente del centrodestra Giovanni Lettieri (24,1). De Magistris, ex magistrato, antirenziano, fa storia a sé. Cattura i voti di protesta anti-sistema, con un singolare impasto, tutto partenopeo, di movimentismo e populismo.
I cinquestelle confermano di essere agguerriti e competitivi, nonostante la vaghezza e irrealizzabilità di diverse parti dei loro programmi. È probabile che Roma avrà con Virginia Raggi, trentasettenne avvocato, il primo sindaco donna della sua storia. Che cosa abbia in mente di fare veramente, una volta salita al Campidoglio, è quesito per il momento assai oscuro. Piace, ha una faccia pulita, è insieme speranza di rinnovamento e schiaffo liberatorio nei confronti di chi ha governato (male) finora la capitale. La trentunenne bocconiana Chiara Appendino (30,9 per cento dei consensi) andrà al ballottaggio a Torino contro il sindaco uscente Piero Fassino (a quota 41,8). Un ottimo risultato. È apparsa più libera di ragionare con la propria testa; meno dipendente, a differenza della sua collega romana, dal gruppo dirigente grillino. Ma, nonostante i casi positivi di Roma e Torino, i cinquestelle hanno ottenuto, in altre città, percentuali modeste. E in 251 comuni non si sono nemmeno presentati. A Milano, con il carneade Gianluca Corrado, non sono andati oltre il 10 per cento. Giuseppe Sala, l’artefice di Expo, deludendo un po’, ha prevalso al primo turno sul suo concorrente Stefano Parisi con un distacco di appena quattromila voti: 41,7 contro 40,8 per cento. Renzi e il PD si aspettavano di più. I sondaggi erano più favorevoli a Sala. La sfida è apertissima. Non così a Bologna dove l’uscente Virginio Merola, centrosinistra, pur costretto al secondo turno, è in largo vantaggio con il 39,5 per cento sulla leghista Lucia Borgonzoni (22,3).
A Milano, a Trieste, a Varese – a differenza di quello che è accaduto a Roma, a Torino e Napoli – il centrodestra si è presentato unito. E i risultati non sono mancati, a dimostrazione che l’elettorato non si è dissolto. E, di fronte a una proposta unitaria come quella di Parisi, è disposto a perdonare liti e tradimenti. Roma è stato teatro di divisioni e ripensamenti con l’accavallarsi di quattro diversi candidati. Berlusconi ha inizialmente appoggiato l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, poi ha scelto Alfio Marchini che ha preso l’11 per cento. Da solo forse l’imprenditore romano, con la sua lista civica, sarebbe andato meglio. Un tempo bastava un’immagine scattata a fianco di Berlusconi per avere qualche voto in più. Ora si perdono consensi. E a destra, accompagnato da suggestioni lepeniste, avanza la figura del capo leghista Matteo Salvini, che, dopo aver rottamato senza complimenti Bossi, attende con impazienza l’uscita di scena dell’ex Cavaliere.
Il parere di di FERRUCCIO DE BORTOLI sul “Corriere del Ticino”-