Quando il downgrade non spaventa la Borsa

Le aperture

Corriere della Sera: “Linea dura sulle intercettazioni”, “Carcere per i giornalisti e divieto di pubblicare anche riassunti”, “Votati gli emendamenti in commissione. La Bongiorno si dimette: così non si saprà più nulla”.
Ci si riferisce alle dimissioni della finiana Giulia Bongiorno da relatrice del provvedimento.
L’apertura è dedicata alla situazione del governo: “IL Pdl va all’attacco. Tremonti assediato”.
A centro pagina una grande foto di Steve Jobs, “mago della Apple”: è morto ieri, “sconfitto dal cancro a 56 anni”.
In rilievo a centro pagina anche la situazione economica nel nostro Paese, dopo il declassamento di Moody’s: “La Ue difende l’Italia, ma la Merkel avverte: rispettare gli impegni”.

Il Sole 24 Ore: “Berlino pronta a salvare le banche”, “Borse euforiche: Milano guadagna il 3,49%, spread BTp-Bund a 368”.
Di spalla: “Stretta su intercettazioni, primo sì in commissione. Carcere per i giornalisti”, “Stop a pubblicazione fino all’udienza filtro”.
In taglio basso: “Fmi: in Italia crescita deludente”, “Per la Merkel ‘Roma credibile se rispetta gli impegni’. Napolitano: servono rigore e coesione”, “Marcegaglia: decreto insufficiente, in forse i fondi per le infrastrutture”.

La Repubblica: “Pdl, ultimo assedio a Tremonti”, “Oggi la resa dei conti sul decreto sviluppo. Un altro attacco di Ferrara al ministro: ‘Imbroglione’. Crosetto: se ne vada”, “Blitz sulla legge bavaglio, la Bongiorno si dimette e accusa Berlusconi”.
In taglio basso: “Addio Steve Jobs, fondò l’impero Apple”.

Il Giornale ha in prima una foto dell’attuale sindaco di Napoli Luigi De Magistris ed un riferimento alle inchieste che sfociarono in una guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro ai tempi delle indagini su Why Not: “I messaggini proibiti di De Magistris”, “tra il sindaco di Napoli e la Pm che lo indagava 517 telefonate e 129 sms. Tutto normale?”. E poi: “via libera alla stretta del Pdl sulle intercettazioni”. Il Giornale, tornando poi sul declassamento del debito italiano di Moody’s, titola: “Moody’s e Tremonti non riescono ad affossare l’Italia”, “golpe fallito, la Borsa vola”.

Tremonti-Berlusconi

Secondo La Repubblica nella notte tra martedì e mercoledì a Palazzo Grazioli sarebbe andato in onda, alla presenza del sottosegretario Gianni Letta, l’ennesimo litigio tra Berlusconi e Tremonti, un’ora dopo che le agenzie avevano diffuso la notizia del declassamento Moody’s. Berlusconi avrebbe chiesto conto a Tremonti della sua battuta sulle elezioni anticipate come medicina per curare la febbre dello spread, e il ministro, che già aveva corretto il tiro, si sarebbe difeso alzando il tono della voce. Queste sarebbero state le sue parole: io stavo parlando solo del caso spagnolo, eppure i tuoi mi sono subito saltati alla gola senza nemmeno curarsi della smentita. Secondo La Repubblica nel Pdl è ripartita la caccia all’uomo contro Tremonti.
Su Il Giornale: “Silvio e Giulio alla resa dei conti su Bankitalia e decreto sviluppo”. Il braccio di ferro viene spiegato così: Berlusconi chiede misure che non siano a costo zero, mentre il titolare dell’Economia pretende che prima sia ratificata la nomina di Grilli, il successore di Draghi a Bankitalia sponsorizzato da Tremonti.
Anche l’analisi del Foglio si sofferma sul braccio di ferro sul decreto sviluppo, sulla pressione esercitata dal Pdl e dal leghista Maroni sullo stesso Tremonti, cui si tenta di imporre “collegialità”, tanto da descrivere lo stesso Tremonti impegnato in dichiarazioni ironiche rivolte ai deputati Pdl: ‘Allora, con chi devo farlo questo decreto sviluppo?’, ‘mi devo coordinare con Brunetta o forse devo mettermi d’accordo con Romani?’.

Alla convivenza che sta diventando “impossibile” tra Silvio Berlusconi e il suo ministro dell’Economia, è dedicato il commento in prima pagina del Corriere di Pierluigi Battista, sotto il titolo “il limite della decenza”. Non possiamo permetterci di apparire un Paese senza timone, con un governo così spaccato, dice Battista. E il “gorgo rissoso” in cui sta sprofondando la lite tra i due è il simbolo di una paralisi. Il comportamento “autolesionistico” del governo scatena inevitabilmente “la guerra di tutti contro tutti”, con il risultato che “quando la politica appare vuota e impotente, troppe corporazioni si affollano vocianti per rubarle il mestiere”: “senza una guida politica oggi le ‘parti’ aspirano abusivamente al ‘intero'” ovvero, non più parti sociali ma “surrogati di partiti politici”.

Moody’s 

Il Sole 24 Ore dedica ampio spazio alle buone performance delle Borse, anche quella italiana, malgrado il downrating, ovvero il declassamento del nostro debito da parte della agenzia Moody’s: e lo attribuisce soprattutto al piano salva banche e al deciso supporto mostrato dalla Cancelliera Merkel. Una intera pagina analizza, con domande e risposte, la reazione dei mercati, le previsioni, il ruolo della Bce, la situazione delle banche italiane: “Quanto il downgrade non spaventa la Borsa”. Il declassamento deciso da Moody’s non ha avuto un effetto immediato. Sui listini un impatto maggiore dalle rassicurazioni tedesche sulle banche”.

Ed in prima pagina una analisi di Carlo Bastasin descrive “la svolta tedesca”: “Se la Germania parla europeo”. Dove si spiega come la decisione della Cancelliera di ricapitalizzare le banche tedesche rappresenti una doppia svolta, poiché da un lato riconosce che la crisi si alimenta dalla continua interazione tra debiti sovrani e bilanci bancari, e non è solo un problema di Paesi indisciplinati. Dall’altro ammette che la politica dell’incertezza propugnata da Berlino è stata controproducente, soprattutto sul fronte degli aiuti. “La retorica pubblica tedesca sul futuro dell’Europa sta infatti cambiando. Il tema della Unione politica europea sta diventando un orizzonte condiviso”, scrive Bastasin, sottolineando come la Merkel lo abbia posto come punto di arrivo della crisi.

Su Il Giornale si descrive invece la delusione degli “avvoltoi”: i “ragazzotti delle agenzie di rating” (come li definiva l’ex governatore Bankitalia Fazio) “hanno ancora una volta fatto cilecca”. Vi è stato unanime riconoscimento dei progressi compiuti dall’Italia sulla strada del risanamento, la Merkel, “spesso poco tenera”, ha affermato che “l’Italia ha tutte le possibilità di riconquistare la fiducia dei mercati se manterrà fede ai suoi impegni”, e il Fondo Monetario Internazionale ha ricordato che i conti pubblici italiani non sono mai stati buoni come in questo momento. Il Giornale chiosa: “Qualcuno potrebbe obiettare che l’exploit delle Borse deriva dall’ipotesi, confermata dalla Merkel nel corso di un incontro a Bruxelles con il Presidente della Commissione Ue Barroso, di un piano di ricapitalizzazione delle banche europee: “‘è certamente così”, dice il quotidiano, ma il dato che colpisce è il restringersi dello spread, e pertanto il declassamento Moody’s non ha avuto alcun effetto negativo e il termometro della fiducia è tornato su livelli meno caldi.

E poi

L’inserto R2 de La Repubblica viene richiamato in prima con una analisi di Gilles Kepel dedicata a “La nuova Europa nelle periferie dell’Islam”. Kepel, che nel 1985 firmò la prima grande inchiesta su l’Islam delle banlieues francesi, torna ad attualizzare l’indagine, sottolineando come molte cose siano cambiate. Ricorda che nel 1985 i protagonisti erano lavoratori immigrati, che in grande maggioranza non erano francesi, e di confessione musulmana. Oggi, in gran parte dei casi, essi hanno lasciato il posto a una giovane generazione, nata qui, di nazionalità francese. Non è più l’islam in Francia, ma l’islam della Francia. Tra le cose cambiate: la scoperta che quando lo Stato è inadempiente e manca il lavoro, la dimensione religiosa tende a sostituirsi alle istituzioni.  La situazione è molto diversa nei Paesi che avevano una forte dimensione comunitaria, come la Gran Bretagna, l’Olanda e la Germania, dove si pensava che gli individui potessero vivere ripiegati su se stessi, e dove non c’è una cultura di integrazione o assimilazione come in Francia. Le logiche multiculturali presenti in quei Paesi sono state minate profondamente dai movimenti terroristici islamici e dagli attentati. Quei Paesi multiculturali sono forse oggi più chiusi alla diversità sociale: la Francia non è mai stata multiculturale e – scrive Kepel – mi sembra meglio attrezzata per affrontare una questione essenziale, rinnovare e rifondare una politica all’integrazione sociale e culturale basata sul postulato che chiunque arriva in Francia, si integra socialmente e culturalmente, è francese come chi è nato da sempre in questo Paese.

Sul Corriere della Sera due pagine dedicate all’appuntamento che si terrà oggi a Taormina dedicato all’Africa. Ne parla il fondatore della Comunità di Sant’egidio Andrea Riccardi. “Africa. Al di là delle rivoluzioni. Il doppio volto di una terra in cammino. Le speranze accese dalla primavera araba a confronto con il dramma subsahariano”. Oggi al forum verrà sottoscritta la “Carta di Taormina” per la creazione di un osservatorio permanente sull’Africa. La cittadina siciliana viene considerata ormai, su questo fronte, la Cernobbio del sud. Quel continente ci riguarda, e non solo per gli sbarchi, si legge nei titoli che danno conto di questo dibattito incentrato anche sul ruolo dell’Italia come sponda culturale, con intervista al demografo francese Dumont (“Clandestini, falso incubo. L’Europa deve gestire l’immigrazione legale”)

In prima su Il Foglio: “La Turchia sposta truppe sul confine con la Siria e annuncia altre sanzioni”, scrive, descrivendo un “Erdogan duro su tutti i fronti”. Il premier turco è stato durissimo con Israele, “‘un tempo il nostro migliore amico’, che però oggi ‘si considera al di sopra della legge'”. Pur facendo attenzione ad evitare sfumature di antisemitismo: “In Turchia vivono 40 mila cittadini ebrei, non abbiamo mai permesso che accadesse loro nulla di male, e non lo permetteremo mai. Gli ebrei trovarono rifugio qui quando furono cacciati dalla Spagna”. Allo stesso tempo Ankara è andata all’attacco del nemico mortale di Israele, ovvero l’asse tra Siria e Iran. Ieri è cominciata l’esercitazione militare turca a sud, nell’ex provincia siriana di Hatay, a ridosso del confine, il cui scopo dichiarato è preparare le forze armate a spostare ed ammassare truppe in quell’area. Si tratta peraltro di una vecchia ferita, perché Damasco considera ancora sua quella zona e non ha mai aggiornato le mappe. L’esercitazione durerà dieci giorni, tra gli stessi campi che ospitano 7000 profughi siriani in fuga dalla repressione. Erdogan ha anche fatto sapere che arriverà sul posto anche lui, per pronunciare un discorso sulla Siria. Ha parlato anche il ministro degli esteri Davutoglu, facendo riferimento agli sforzi di mediazione della Turchia: malgrado questo, la Siria, ha detto, ha scelto ancora più repressione. Avrebbe potuto essere un modello per tutte le nazioni arabe se avesse fatto le riforme. “Non possiamo restare indifferenti”, “stiamo dalla parte delle giuste richieste del popolo”. L’agenzia iraniana Fars, per risposta, ha diffuso un presunto colloquio tra il presidente Assad e lo stesso Davutoglu del 9 agosto scorso, dove il siriano avrebbe detto al ministro turco di consegnare un suo messaggio agli americani così concepito: se la Nato interviene contro di noi, in sei ore porto i miei missili a distanza di tiro da Tel Aviv, e faccio aprire il fuoco a Hezbollah, e nelle ore successive l’Iran colpirà le navi americane e gli interessi europei nel Golfo.

La Repubblica riassume una storia che ha origine dalle dichiarazioni della Ministra degli Interni Teresa May nel corso del Congresso dei Tory, in corso a Manchester. Ha detto: “Ne abbiamo sentite tante sulla convenzione europea dei diritti umani. Sentitene un’altra: gli immigrati illegali non possono essere espulsi da un Paese della Ue perché – non esagero – magari hanno un gattino”. Le sue parole non sono piaciute all’attuale ministro della giustizia, Kenneth Clarke. Senonché il primo ministro Cameron – secondo La Repubblica – si è schierato con la May, riaffermando l’esigenza di uscire dall’accordo Ue sui diritti umani. Il partito liberal democratico, partner dei Tories nel governo, difende invece la Convenzione.

Sul Corriere della Sera, un approfondimento sui Bric, “la sigla del mondo di domani”. Dieci anni fa l’invenzione dell’acronimo, che sta per Brasile, Russia, India e Cina. Ora è diventato una realtà geopolitica: sono un soggetto politico, votano in modo simile all’Onu, tengono summit, decidono di metter piede nel continente africano, e quindi aprono le porte al Sudafrica trasformandosi in Brics.  Ormai i 4 Paesi hanno il 17 per cento del Pil mondiale.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini


 

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