Più tasse sugli immobili ma sconti sulla prima casa

Le aperture

La Repubblica: “Legge elettorale, pronto l’accordo.Telefonata Renzi-Berlusconi: la soglia per il premio sale al 37 per cento, via libera alla norma salva Lega. Oggi il sì definitivo all’intesa”. E poi: “I 5 Stelle insultano Napolitano: ‘Boia’. E rischiano di far tornare l’Imu”. A centro pagina: “Salario minimo, la svolta di Obama. Nel discorso sullo Stato dell’Unione l’annuncio dell’aumento”.

L’Unità: “5 stelle di vergogna. Violento attacco di un deputato M5S a Napolitano: boia delle opposizioni. Grillo tace. Letta: deriva estremista inaccettabile. Il segretario Pd: stupidità senza uguali”. E poi: “Ostruzionismo sul decreto Imu”. Di spalla: “Berlusconi ci riprova. Renzi: basta bluff”. “L’Italicum appeso a un filo per le resistenze del Cav: trattative senza sosta”. “Ipotesi soglia al 37 per cento. Il leader Pd: chi fa saltare tutto lo spiegherà al Paese”.

Il Corriere della Sera: “Sì sull’Imu oppure si paga. Voto entro stasera per il decreto che evita la seconda rata. Ostruzionismo alla Camera”. E poi: “Legge elettorale, vicini all’inesa sul premio con il 37 per cento”.

Il Giornale: “Renzi ha le palle. L’intesa con Berlusconi tiene, ultimatum ai suoi. E i grillini danno del boia a Napolitano”. “Arriva la ripresa economica (per chi non ha l’euro)”.

Il Sole 24 Ore: “Più tasse suglòi immobili ma sconti sulla prima casa. Accordo governo-sindaci su aliquote e fondi. La dete dei bonus perde 500 milioni”.
Di spalla: “Sulla legge elettorale accordo a un passo. Si tratta su quota 37 per cento. Ultima mediazione di Renzi con Berlusconi: ‘No alla palude’”.

Il Fatto quotidiano: “Electrolux, quello da licenziare è Zanonato”. “A Porcia (Pordenone) la rabbia dei lavoratori contro il gruppo svedese e la sua decisione di dimezzare i salari. Ma lo scandalo politico è soprattutto l’inerzia del ministro dello Sviluppo che non ha mai risolto una sola crisi”.

Electrolux

Ieri nelle fabbriche italiane della multinazionale svedese Electrolux è stata giornata di scioperi. E oggi pomeriggio ci sarà un incontro a Roma, al ministero dello Sviluppo economico: al tavolo ministeriale si presenteranno l’Amministratore delegato di Electrolux italia Ernesto Ferrario, i presidenti delle 4 regioni interessate al futuro degli stabilimenti (Veneto, Friuli, Lombardia, Emilia Romagna) e le organizzazioni sindacali. Riprende le dichiarazioni dell’Ad Ferrario Il Sole 24 Ore: “In sede sindacale abbiamo chiesto una riduzione del costo del lavoro di 3 euro l’ora e il contenimento delle dinamiche inflattive. Non ci interessa quale possa essere lo strumento che permetta di tagliare il costo del lavoro di questa entità, l’importante è che si faccia”. Ed è tornato a spiegare: “Le produzioni di lavatrici polacche di Samsung, Lg e Beko hanno alzato l’asticella della competitività a livelli insostenibili. Producono a 6 euro l’ora”. Ferrario precisa che “i tagli al costo del lavoro del 10 per cento sono relativi alle sei ore di lavoro, più le due di ammortizzatori sociali, alla fine 130 euro al mese”. Secondo l’Ad tra gli strumenti che appesantiscono il costo del lavoro “ci sono gli automatismi contrattuali: una ipotesi è quella di congelare nel triennio gli incrementi del contratto nazionale di lavoro e gli scatti di anzianità”, “a noi serve tagliare in misura strutturale il costo del lavoro: quello medio varia da 20 a 25 euro, e con gli automatismi contrattuali salirà fino a 27 euro, il quadruplo della Polonia”, “negli Usa hanno creato delle zone economiche speciali dove il salario orario è di 15 dollari l’ora. E grazie a questo hanno fatto rientrare dalla Cina intere produzioni. Ma anche in Spagna si è tagliato il costo del lavoro del 15 per cento, e persino nel Regno Unito il costo del lavoro è inferiore all’Italia”.
L’Unità ha un inviato nello stabilimento di Porcia, la fabbrica che è destinata a chiudere e che viene descritta come un impianto efficiente e di alta produttività: la lavatrice che esce da queste linee costa 30 euro di troppo al pezzo, e siccome i ritmi di produzione sono già al massimo, più di 7,5 euro ad elettrodomestico non si riesce a risparmiare, e quindi non rimane altro che mandare a casa le persone. Cesare Damiano, ex ministro del lavoro, Pd: “Il piano proposto da Electrolux è irricevibile. Non garantisce alcuna prospettiva di tenuta occupazionale e industriale. Ma è un caso che potrebbe purtroppo fare scuola”. Maurizio Saconi, Ncd, nuovo centrodestra ed ex ministro del lavoro, considera anche lui “irricevibile” la proposta di Electrolux, perché slegata da un qualsivoglia piano industriale, e fondata sul presupposto della chiusura del più importante stabilimento italiano.

Anche La Repubblica ha un inviato agli stabilimenti Electrolux e tra i lavoratori: “’Noi, operai spremuti come limoni, non cederemo al ricatto Electrolux’”.

Sul Corriere della Sera Dario Di Vico ricorda che tutti i contratti nazionali che si sono chiusi nel 2013 hanno fatto registrare aumenti salariali nell’ordine di 130 euro medi. Alla base di tutto, scrive Di Vico, c’è stata una scelta responsabile della Confindustria dell’era Squinzi, che in una fase di compressione dei consumi e del livello dei salari, ha deciso di procedere ai rinnovi: c’era in campo una ipotesi alternativa, che era quella di chiedere a Cgil, Cisl e Uil di spostare di un anno secco tutti i rinnovi. Ma fu accantonata. E’ lampante come su operai e impiegai si sia abbattuta una montagna di tasse che ha abbattutto il reddito disponibile ed ha alimentato una aspettativa di recupero, a presciendere dalle dinamiche inflattive. Le carie categorie industriali “hanno chiuso i rispettivi negoziati confidando che il governo sarebbe intervenuto sulla riduzione del cuneo”. Nel caso Electrolux “ciò che sembra appesantire il costo del lavoro è la contrattazione di secondo livello, che a Pordenone è stata particolarmente generosa in premi e superminimi, e ha creato una differenza stimata attorno a 4-5 punti in più rispetto alle altre aziende del settore. Da qui il dibattito apertosi con la proposta di tagliare del 20 per cento il costo del lavoro per unità di prodotto avanzata dalla Confindustria di Pordenone. In Italia esistono già singole aziende dove accordi di questo tipo (con successiva riduzione delle paghe) sono stati adottati, ma chi ha fatto questa scelta non ha voluto pubblicizzarla molto”.

L’inviato del Fatto raccoglie lo sfogo di Stefano, 40 anni , riparatore di linea e membro del direttivo provinciale della Fiom: “Gli svedesi vogliono chiudere nonostante qui si produca con una ottima qualità, quella che manca in Polonia”. Solo 10 anni fa Porcia aveva nove linee  e produceva oltre un milione di pezzi l’anno. Oggi sono 4, e ognuna produce quotidianamente 680 lavatrici. Claudio Pedrotti, sindaco di Pordenone ed ex operaio Electrolux, dice che “solo il governo può mettere un freno, come è già successo in Francia, dove gli svedesi sono stati costretti a ricollocare 400 lavoratori”.

Anche L’Unità intervista Pedrotti. Gli vien chiesto un commento al fatto che la presidente del Friuli Serracchiani abbia chiesto le dimissioni del ministro Zanonato. E il sindaco risponde: “E’ una vergogna il modo in cui questa crisi è stata trattata. Capisco l’agenda fitta del governo, ma qui ci sono migliaia di lavoratori che rischiano il posto”. Come si può fare competizione? “E’ indubbio che il costo del lavoro sia molto alto, però proprio in una logica da multinazione si possono valutare altri fattori, come il cost to serve, i costi di trasporto e di magazzino, quelli intermedi tra il produttore e il dettagliante”. Qui diventa fondamentale la logistica.
E ancora: “L’innovazione del prodotto e i costi burocratici, cioè ciò che spende l’azienda per compiti che non danno valore aggiunto”. Polemiche ha suscitato poi la dichiarazione del finanziere Davide Serra, vicino a Matteo Renzi, cui l’Unità dedica un corsivo: “Mister Serra non fa prigionieri”. Il tweet con cui ha espresso il proprio pensiero viene riprodotto da La Repubblica: “Electrolux prova a salvare lavoro e azienda con tagli salari oppure chiude come altre 300 mila aziende e aggiunge disccupazione. Realtà”. La proposta è “razionale”. Anche se qualche ora dopo, di fronte all’esplodere della polemiche, ha precisato che “razionale” non vuol dire “auspicabile”. Per L’Unità Serra è un “improbabile mago della city”, “pratico di fiscalità delle Cayman”, “uno di quei modernizzatori che vorrebbe distruggere i partiti, eliminare i sindacati e tagliare quel privilegio che sarebbero le pensioni”.

Su Il Giornale è Vittorio Feltri a commentare il caso Electrolux: “La sinistra insiste nel dichiarare che la priorità è l’occupazione. Giusto. Ma chi se non le aziende possono aumentarla se non diminuirla? Ci si aspetterebbe da un governo a guida democratica un impegno per agevolarle, per esempio abolendo l’Irap, l’imposta commisurata al numero di dipendenti. Su ogni assunto si paga un tot, ergo più persone assumi più devi sborsare”. Pertanto, secondo Feltri, l’unico modo per evitare altri casi Electrolux è “alleggerire il carico fiscale a chi dà lavoro”. Viceversa, “azzerare i profitti, lasciando che lo stato vorace si mangi gli utili, e non solo quelli, vuol dire uccidere i lavoratori italiani e ingrassare quelli dei Paesi scelti dai padroni per le delocalizzazioni”.

Legge elettorale

Il Corriere riferisce le parole pronunciate ieri sera dal segretario Pd Renzi: “Siamo a un passo dall’accordo con Berlusconi e questo dà il segno di una classe politica che finalmente si tira fuori dalle sabbie mobili”. I suoi contatti telefonici ieri con il Cav avrebbero dato esito positivo: sulla legge elettorale si chiuderebbe con una soglia di accesso per il premio di maggioranza al 37 per cento. Si farebbero digerire a Berlusconi persino le primarie stabilite per legge, e la delega al governo per disegnare i collegi entro tre mesi. Il pacchetto sosddisferebbe quasi in pieno il Pd, minoranza compresa. Ma lascerebbe l’amaro in bocca al leader del Ncd Alfano che, per ora, incassa solo un via libera alle candidature multiple ma non la soglia di sbarramento al 4 per cento invece che al 5. Quanto a Forza Italia, il Corriere riferisce che avrebbe ottenuto un emendamento “salvaLega”, in grado di permettere ai partiti “radicati sul territorio”, se ottengono almeno l’8 per cento dei voti (il 7 secondo il Carroccio) in almeno sei circoscrizioni. Per il quotidiano resta quindi tutta in salita la trattativa sul 5 per cento (soglia di accesso per i partiti coalizzati) e sull’8 per cento (soglia per i partiti non coalizzati). Soprattutto, resta al 12 la soglia sotto la quale una coalizione non è ammessa perché – scrive il Corriere – l’obiettivo di Forza Italia resta quello di rendere difficile la vita ad Alfano e a chiunque pensi ad una coalizione di centro. Renzi sarebbe d’accordo, e la controprova sta nel fatto che negli emendamenti superstiti del Pd non c’è traccia di soglie basse.
Anche La Repubblica sottolinea come Berlusconi abbia ottenuto di tenere alte le soglie di sbarramento contro i partiti più piccoli in modo da “uccidere nella culla ogni ipotesi di federazione di centro”, e scrive che se ne è reso conto subito Pierferdinando Casini, che ha detto: “Con questa legge si blocca il terzo polo e il progetto di rifondazione della Dc”.

Internazionale

Erano le 21 a Washington, le tre di notte in Italia, quando il presidente Obama ha preso la parola di fronte al Congresso per l’annuale discorso sullo Stato dell’Unione. Il quinto, ricorda l’Unità, da quando il primo presidente afro-americano si è insediato alla Casa Bianca. Il primo da quando ha visto erodersi la straordinaria popolarità conquistata agli esordi. I quotidiani riferiscono oggi quindi soprattutto le anticipazioni diffuse nella giornata di ieri sui contenuti del messaggio.

Il Corriere della Sera: “Decreto di Obama: salari minimi su del 40 per cento. Il presidente scavalca il Congresso e pronuncia un discorso centrato sul lavoro”. Il quotidiano elenca i temi affrontati da Obama (“immigrazione”, per via della ricerca di un accordo con i repubblicani per far passare al Congresso la riforma sulla immigrazione sulla base del testo che ha ottenuto il via libera al Senato lo scorso anno, “disoccupazione”, per le inizative per ripristinare i sussidi e agevolare assunzioni e corsi di aggiornamento, “sanità”, per la riforma sanitaria, che ha visto fino ad ora 3 milioni di persone iscriversi al programma Healthcare.gov).
La Stampa scrive che la paga minima al momento è 7,25 dollari l’ora, e che Obama intende portarla a 10,10. Per alzarla a tutti i lavoratori Usa servirebbe una legge approvata dal Parlamento, ma l’opposizione repubblicana ha la maggioranza alla Camera e finora ha bloccato tutte le iniziative del Presidente. Obama ha quindi deciso di aggirare il congresso e usare i suoi poteri esecutivi. Secondo La Stampa il presidente non può ordinare l’aumento del salario minimo di tutti i lavoratori, ma può farlo per i contractors del governo federale. La sua decisione avrà un impatto politico più che pratico, perché il provvedimento riguarderà poche migliaia di persone. Se invece il Congresso agisse a livello nazionale, circa 21 milioni di lavoratori riceverebbero l’aumento.
Sullo stesso quotidiano segnaliamo una analisi di Gianni Riotta, in cui si sottolinea come il ceto medio Usa sia stato schiacciato dalla crisi: nei primi anni 80 un operaio specializzato arrivava a guadagnare 27 dollari l’ora. Era middle class, posto garantito, figli a scuola, mutua, pensione. Quando comincia la concorrenza della manodopera asiatica, in prevalenza cinese, nuovi concorrenti vengono pagati 16 centesimi l’ora. Impossibile reggere. La crisi finanziaria del 2008 e l’automazione dei servizi fanno il resto. Ora i liberal – scrive Riotta – diranno che finalmente, sull’onda del sindaco De Blasio, che chiede più tasse per i ricchi, Obama fa qualcosa per i poveri: “si tratta però di una misura giusta che avrà scarso impatto, se non simbolico, sugli elettori progressisti. I conservatori osserveranno che gli anziani, i veri poveri, non si avvarranno degli aumenti, e le piccole aziende affondano, tra nuova mutua sanitaria e il salario” (nei titoli l’analisi di Riotta sottolinea come quella di Obama è una ‘agenda liberal per il Paese’ che contiene però “molto populismo” perché puntare sui temi sociali è la carta più forte in vista del voto).

Per quel che riguarda la situazione in Ucraina, segnaliamo i titoli de L’Unità.”Vince la piazza a Kiev, via il premier”. E quello del Il Giornale (“A Kiev si dimette il governo, ultima chance prima del caos”). Sul Corriere: “Kiev congeda il premier e le leggi repressive”, “prime importanti concessioni del regime di Yanukovich di fronte alle proteste”, “l’opposizione esulta ma resta in piazza e chiede elezioni anticipate, meno poteri al presidente e amnistia per gli arrestati”.
Secondo il Corriere i tre leader della opposizione avrebbero rinunciato a dare la spallata finale al presidente Yanukovich, temendo reazioni imprevedibili e forse violente nelle regioni orientali dell’Ucraina, più orientate verso la Russia.
Sulla stessa pagina, l’inviato del Corriere Sarcina scrive che nella migliore delle ipotesi a giugno lo stato Ucraino non sarà in grado di pagare dipendenti pubblici e pensionati. A meno che non arrivino aiuti dall’estero. Secondo le stime servono almeno 15 miliardi di dollari. Il presidente Yanukovich nei mesi scorsi non ha accettato le condizioni poste al prestito dal FMI (si chiedeva tra l’altro la riduzione dei sussidi per pagare le bollette). E anche l’accordo di associazione con l’Ue, saltato a novembre per volontà di Yanukovich, ricorda il Corriere, prevedeva l’allineamento agli standard europei della industria di base, siderurgia e aeronautica spaziale. Una ristrutturazione socialmente dolorosa su cui la Russia ha avuto buon gioco ad inserirsi.
Ieri è stata peraltro la giornata del vertice Ue-Russia, che La Repubblica descrive come “teso”, perché il Presidente russo Putin si è trovato di fronte a interlocutori più risoluti del soluto. Il presidente del Consiglio Ue Van Rompuy con Barroso e Ashton hanno usato parole dure per criticare sia la tentata svolta autoritaria del governo Yanukovich sia le pressioni che Mosca ha esercitato per indurre l’Ucraina a respingere l’accordo con la Ue. Van Rompuy: “siamo pronti a firmare e attuare il nostro accordo di associazione, purché le autorità confermino la loro adesione ad una Ucraina democratica” e, riferendosi alla Russia, ha ribadito che “il rispetto per la libertà di scelta nella politica estera dei Paesi sovrani è un diritto fondamentale che ho sottolineato ancora una volta al presidente Putin”. Putin ha ribattuto sulla accusa di ingerenza: “non riesco a immaginare come i nostri partner europei avrebbero reagito se, in piena crisi a Cipro o in Grecia, il nostro ministro degli esteri fosse andato in visita facendo appelli contro l’Europa. Il popolo ucraino se la può cavare da solo, senza bisogno di consigli. Quanto agli intermediari, più ce ne sono più ci sono problemi”.
Putin, come riferisce il Corriere, ha garantito di voler mantenere il prestito da 15 miliardi di dollari e le forniture di gas a prezzo ridotto all’Ucraina “se l’opposizione andrà al potere”. Ha però aggiunto che “nonostante le nostre ingenti riserve di oro, e di valute governative  i 15 miliardi di dollari all’Ucraina restano una somma enorme per il Cremlino: “Vogliamo essere sicuri che questo denaro ci sia restituito”. Ha anche accusato “i preti di sobillare il nazionalismo ucraino contro Mosca”.

L’Unità intervista Vittorio Strada, autorevole conoscitore del pianeta ex sovietico: “E’ il voler essere indipendenti la leva principale che muove la piazza ucraina, cui si lega la convinzione che questa indipendenza sia garantita dall’avvicinamento alla Ue, liberandosi così dalla tutela oppressiva di Mosca. E questa idea di indipendenza è condivisa anche da una parte della popolazione ucraina russofona”. Il presidente Yanukovich secondo Strada non si aspettava una resistenza di tali dimensioni e durata. Ma la svolta in Ucraina, secondo Strada, è iniziata con la rivoluzione arancione negli anni 90, che non produsse risultati politici significativi per responsabilità dei dirigenti di allora, ma che ha dato “alla società civile un senso di libertà interiore e di capacità di resistenza e di critica che si è manifestata in questi ultimi tempi in forme nuove”.

In Egitto è ripreso il processo al deposto presidente espressione dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi: il Corriere riferisce che era chiuso in una gabbia insonorizzata, una cella di vetro nel tribunale all’interno della accademia di polizia. Ieri doveva rispondere del reato di evasione dal carcere, dove si trovava durante la rivoluzione per reati politici, oltre che di “complotto con elementi stranieri”, come Hamas, che lo avrebbero liberato. Nessun media ha potuto entrare in aula, salvo la tv di Stato che ha tramesso poche immagini. Alcuni testimoni riferiscono che al microfono Morsi avrebbe urlato di essere il “legittimo presidente dell’Egitto”, dando dei “golpisti” ai militari.
Su La Repubblica: “Morsi ‘in gabbia’ come Mubarak, l’Egitto processo un altro rais decaduto”.

Su La Stampa, a proposito della Turchia: “Erdogan visita il ‘nemico Iran’, business e spiragli per la Siria”, “vedrà Rohani e l’ayatollah Khameney, sul tavolo 30 miliardi di scambi commerciali”. Sulla stessa pagina, a proposito di Israele: “Netanyahu snobba Washington, c’è la Cina nel futuro di Israele. Il premier ridisegna le priorità della politica nazionale: con l’Asia sempre più business”.

Sul Corriere: “Caso marò, Bonino accusa: ‘l’India inaffidabile’”. Come spiega La Repubblica: “Marò la Bonino attacca: ‘India inaffidabile’. Il ministro degli esteri accusa: ‘Dopo due anni non c’è ancora il capo di imputazione’”.

redazione grey-panthers:
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