Corriere della Sera: “Rottura nel centrodestra su Roma. Donne e politica, il caso Bertolaso”, “L’ex capo della Protezione civile e l’invito a Meloni: faccia la mamma”.
Il commento di Antonella Baccaro: “I consigli (di troppo) sulle scelte femminili”.
E il “retroscena” di Francesco Verderami: “Ira di Berlusconi su Salvini: sapeva fare la comparsa”.
Il titolo in maggiore evidenza si trova più in basso: “Svolta di Putin: via dalla Siria”, “Annunciato il ritiro della ‘maggior parte’ delle truppe russe: missione compiuta”, “La mossa del Cremlino durante le trattative di Ginevra spiazza gli Usa. Telefonata con Obama”.
Con un’analisi di Franco Venturini: “Le incognite sul negoziato”.
In prima anche una foto dell’abbraccio tra Hillary Clinton e George W. Bush nel corso dei funerali di Nancy Reagan: “L’abbraccio di Hillary e le critiche da sinistra”.
Alle elezioni in Germania è dedicato l’editoriale firmato da Sergio Romano: “Ma il voto non cambia la Germania”, “Merkel meno forte”.
In prima anche un intervento di Michele Ainis su “Burocrazia e diritto”: “La legge in meno che può aiutarci a combattere la corruzione”.
A fondo pagina un articolo di Pierluigi Battista su Marco Pannella: “Marco, debole e stanco, parla in dialetto”, “Il pellegrinaggio politico, gli omaggi: Pannella a casa lotta contro una malattia spietata”.
Infine, “Generazioni a confronto”: “Gli under 30 italiani più poveri dei loro padri”, di Elvira Serra; e l’anniversario dei 40 anni della rubrica “Prima pagina” su Radio3: “I quotidiani a Radio3 ogni giorno da 40 anni”, di Gian Antonio Stella.
La Repubblica, in apertura a sinistra: “Svolta di Putin sulla Siria: ‘Via le truppe’”, “Merkel ammette la sconfitta al voto, ‘Ma sui profughi non cambio idea’”.
Alle elezioni in Germania sono dedicate le analisi di Angelo Bolaffi (“Il laboratorio di Berlino”) e di Roberto Toscano (“Il populismo della paura”).
Di fianco, in grande evidenza: “Appalti, dalle strade agli asili il ‘sistema Roma’ è fuorilegge”, “Ecco il dossier Cantone. Elezioni, offese le candidate. Boldrini: basta subire”. Il riferimento alle candidate rinvia alle parole di Guido Bertolaso a proposito di Giorgia Meloni e della sua gravidanza. Su questo tema l’intervento di Natalia Aspesi: “Caro maschio ci fai ridere”.
Ezio Mauro firma un commento sulle elezioni a Roma dal titolo “Il sabba delle destre in Campidoglio”.
La foto a centro pagina è per il coreano Lee Sedol in gara contro il robot “Alpha go”: “La piccola vendetta dell’uomo sul robot” (di Maurizio Ricci).
A fondo pagina: “’Ragazze, vi salveremo’. La sfida dell’anoressia”, “Day hospital e pasti assistiti”, di Concita De Gregorio.
Infine, l’inchiesta sul fisco a Milano: “Nei cestini di Natale 60 mila euro di tangenti”.
La Stampa: “Mattarella: populisti in minoranza”, “Il capo dello Stato dall’Etiopia: ‘La linea anti-immigrati non interpreta l’Europa’. Paese per Paese, ecco l’onda dei movimenti”, “Germania, le forze anti-sistema: riduciamo il diritto d’asilo. Salvini: pronti ad allearci con loro. Bufera su Bertolaso: ‘Meloni faccia la mamma e non si candidi’. Bedori: casalinghe offese”.
“Se s’impone la politica della paura” è il titolo dell’analisi di Gianni Riotta su Trump, Le Pen, la destra anti migranti di AfD in Germania.
Più in basso: “Quei volti femminili della protesta”, di Francesca Sforza, su Marine Le Pen, Beata Szydlo in Polonia, Frauke Petri (AfD in Germania) e le candidate del M5S a Roma (Virginia Raggi) e a Torino (Chiara Appendino). A Virginia Raggi è dedicato un articolo di Maria Corbi: “Grinta e stile, la lady grillina”, “L’aspetto rassicurante della lotta all’establishment”.
Ancora nella parte alta della prima pagina: “Putin: via le truppe dalla Siria. Ma restano le basi operative”, “’Ribaltata la situazione e raggiunti gli obiettivi’. In serata una telefonata tra lo ‘Zar’ e Obama”.
A centro pagina la foto di Massimiliano e Claudio Chiarelli, uccisi in Zimbabwe: “Zimbabwe, il mistero degli italiani uccisi”, “Freddati da un ranger. Due le piste: scambiati per bracconieri o omicidio su commissione”. Ne scrive Lorenzo Simoncelli: “La guerra sanguinosa per i trofei di caccia”.
Il Fatto: “Non è un Paese per donne”, “Ritorno al passato. Bertolaso contro Meloni, pregiudizi ‘estetici’ sulla Bedori”, “Dalla politica all’impresa, resiste l’immagine dell’angelo del focolare. Le cifre lo confermano: spesso più brave, ma guadagnano in proporzione meno degli uomini”.
E un’intervista a Chiara Appendino, candidata M5S a Torino: “’Sarò mamma e sindaca, senza le quote rosa’”.
E l’editoriale del direttore Marco Travaglio su Guido Bertolaso: “Le Bertolarie”.
Sotto la testata: “’Etruria’ Boschi, diktat sul decreto Banche”, “Senza pudore. Guida la trattativa su Popolari e indennizzi”, “Il ministro dei Rapporti con il Parlamento dà le carte nel vertice di maggioranza: ‘boccia’ emendamenti dei colleghi e persino del Tesoro su argomenti che riguardano il caso che ha coinvolto suo padre”.
Di fianco: “Renzi si vende l’acqua per gonfiare le tariffe”, “Tutto ai privati. Oggi il no alla gestione pubblica”, “Dopo quasi 5 anni, sarà cancellata nella Commissione Ambiente di Montecitorio la legge che dava attuazione al referendum e al voto di 26 milioni di cittadini: la pubblicità del servizio idrico non c’è più”.
A centro pagina il reportage di Cosimo Caridi dalla Macedonia: “Migranti, l’ultimo esodo nel fiume degli annegati”.
Sullo scandalo Vatilekas: “’Vatileaks, operazione con il ministro’: le email tra Balda e Chaouqui”.
Libero: “Trappola per Berlusconi”, “Salvini e la Meloni usano le elezioni romane per costringere il Cavaliere a uscire di scena e prenderne il posto. Così si perde la Capitale e la sconfitta verrà addebitata a lui. Ma la vittoria di Parisi a Milano può cambiare le cose”. A questo tema è dedicato l’editoriale del direttore Maurizio Belpietro.
In evidenza, con foto di Giorgia Meloni: “Mamma e sindaco: si può?”, con le opinioni a confronto di Gemma Gaetani (“Roma è una catastrofe, meglio pensare al figlio”) e Francesco Borgonovo (“Deve essere possibile fare tutte e due le cose”).
Più in basso: “E Renzi va a vendere i ‘gioielli’ in Francia”, “L’Italia alla fiera immobiliare di Cannes: ecco i palazzi in offerta”.
A fondo pagina: “Mossa dei magistrati per il potere assoluto”, “Niente controlli sui bilanci: battaglia finale alla Consulta”. Di Filippo Facci.
E un articolo di Tommaso Lorenzini: “La camorra fermò Pantani e truccò il Giro”, “Medici corrotti per falsare i test: in ballo 260 miliardi di lire”.
Sulla colonna a destra, “La guerra islamica”: “Quel bimbo ucciso perché non sapeva recitare il Corano” (di Malabarba) e “’Adesso trattiamo’, Putin spiazza tutti e si ritira dalla Siria” (di Gianandrea Gaiani).
Germania, Europa
Sul Corriere della sera, pagina 12: “Berlino, sui profughi la cancelliera tira dritto”, “Dopo il flop alle Regionali, Merkel insiste: ‘Non cambio nulla’. Ma gli alleati bavaresi la attaccano”, scrive Danilo Taino.
Su La Repubblica, alle pagine 12 e 13, l’analisi del voto in Germania. Con un articolo da Berlino di Tonia Mastrobuoni: “Merkel dopo la sconfitta: ‘Sul tema dei migranti non cambiamo linea’”, “La cancelliera: ‘E’ un giorno difficile per la Cdu’. Frauke Petry: ‘L’AfD risponde ai bisogni sociali’”. La cancelliera, scrive Mastrobuoni, ha insistito sul concetto che la crisi dei profughi va risolta al livello europeo. E non ha risparmiato una stoccata all’Austria e ai Paesi balcanici che stanno ostruendo le rotta balcanica: “Certo che per quel blocco arrivano meno profughi -ha detto- ma non mi sembra che le immagini che arrivano dalla Grecia dimostrino che si tratti di una soluzione duratura”. Ha risposto anche al capo della Csu, Seehofer: “Non giriamoci attorno, dipende dai profughi”. E il risultato elettorale è un “terremoto” che minaccia la tenuta dell’unione tra Cdu e Csu. Appoggio pieno alla sua linea è arrivato dal presidente della Commissione Ue: “La linea di Mekel sulla crisi dei profughi era giusta”, ha detto Juncker. Ieri il capo della Spd, il partito uscito più malconcio dalle elezioni, Sigma Gabriel, ha detto, per parte sua: “Non correremo dietro ai populisti. Faremo di tutto per mantenere stabile il centro democratico del Paese”.
A pagina 13 le analisi di Angelo Bolaffi e Roberto Toscano su Germania ed Europa. Scrive Angelo Bolaffi a proposito del successo di AfD, in particolare nel Land della Sassonia-Anhalt, che si tratta di un “movimento radical-conservatore che ha ‘emozionalizzato’ il dibattito politico sull’immigrazione”. Ma le novità destinate a pesare nel futuro assetto politico tedesco sono anche altre: intanto la vittoria del “verde” Winfried Kretschmann nel Land del Baden-Wurttemberg, vale a dire nella regione economicamente decisiva (insieme alla Baviera) del Paese. Una regione che produce da sola il 10 per cento della ricchezza nazionale, con 11 milioni di abitanti. E’ probabile che si vada qui ad una coalizione tra Cdu e Verdi: “e quindi, dopo la regione dell’Assia, anche il Baden-Wurttemberg diverrà il laboratorio di quella che dopo le elezioni politiche dell’anno prossimo potrebbe diventare la coalizione di governo dell’intero Paese”. Ma per Bolaffi “la vera, grande svolta rispetto a tutto il dopoguerra politico tedesco è la grave crisi dei due grandi partiti di massa: Cdu e Spd, infatti, non appaiono più in grado di svolgere quell’azione di integrazione e sintesi politica che ha garantito la storica e molto ammirata stabilità della Germania”. Quanto all’AfD: “sarebbe un errore fatale pensare che tutti coloro che hanno votato AfD siano dei neonazisti. In secondo luogo se quella delle grandi migrazioni di massa è un fenomeno dell’età globale è più che probabile che con esso dovremo fare i conti molto a lungo. E quindi anche con la presenza della AfD”. Lo scenario politico tedesco sarà occupato dallo scontro tra due Germanie, secondo Bolaffi: “da una parte la Germania europea e dall’altra la Germania teutonica: una contrapposizione che in parte coincide con quella geografica tra l’Ovest della vecchia Repubblica federale e l’Est della ex Rdt. Dall’esito di questo scontro, questo dovrebbe apparir chiaro, dipende in larga misura il futuro del Vecchio Continente”.
Di fianco, l’analisi di Roberto Toscano: “Avanzano i populismi della paura”. “Non è uno tsunami”, scrive Toscano sottolineando che “in nessuno dei tre Land dove si è votato domenica si è registrato un cambiamento radicale degli assetti politici, e sarebbe certamente prematuro parlare di un inarrestabile declino di Angela Merkel E tuttavia quello che emerge è qualcosa di più di un avvertimento. Si tratta di un segnale da non trascurare soprattutto perché dimostra la forza crescente di un partito, l’Alternativa per la Germania -AfD che ha ricavato una spinta sostanziale (fino al 25 per cento circa ottenuto in Sassonia-Anhalt) da una singola questione, il problema delle migrazioni. Populismo? Certo, se per politica populista intendiamo il dare risposte semplici a problemi complessi e dire alla gente quel che la gente vuole sentirsi dire, non quello che è giusto dire. Ma, soprattutto se ampliamo la nostra ottica oltre i confini della Germania, faremmo bene a non fermarci a una definizione -piuttosto un epiteto- che ormai, nell’uso corrente, abbraccia troppo (da destra a sinistra, da Marine Le Pen a Bernie Sanders), fino a perdere ogni significato”. Il populismo, sottolinea Toscano, “è sempre esistito” ma, passando dalla forma al contenuto, quello che “in tutta Europa e non solo in Germania, è diventato un fattore serio è un populismo molto specifico: il populismo della paura. Paura d’invasione da parte di centinaia di migliaia di persone che vengono a rubarci il lavoro in tempi di stentata crescita economica” e a competere sul terreno dei benefici sociali in un momento in cui il welfare tende ad essere ridotto. Il populismo della paura “parte dai problemi reali per passare a proposte del tutto fantasiose” (come “chiudere le frontiere”). Ma i dirigenti che cavalcano la paura e la stimolano sistematicamente hanno un’agenda che va oltre il problema delle migrazioni: “hanno una strategia politica molto più ambiziosa e -pur con tutte le differenze che li caratterizzano- condividono un’ideologia politica di fondo: quella della ‘democrazia illiberale’. Un sistema politico dove il popolo viene consultato, ma dove il potere, ottenuta la legittimazione elettorale, chiude gli spazi del pluralismo e impone l’omogeneità definendo quella che deve essere l’identità della nazione. Le democrazie illiberali già esistono: la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin, per esempio. E non è un caso che il Front National di Marine Le Pen abbia la simpatia (e anche l’appoggio materiale) di Mosca, e che Salvini, da noi, simpatizzi apertamente con le posizioni della Russia -dove si è riesumata la vecchia identità (Russo=Ortodosso) della Russia zarista. E’ l’opposto di quel ‘patriottismo costituzionale’ che si pensava caratterizzasse irreversibilmente l’Europa: una comune e forte appartenenza, come cittadini, aperta a una pluralità di origini etniche, fedi, tendenze politiche”.
Il Corriere della Sera intervista Otto Schilly, che fu ministro dell’Interno nei governi rosso-verdi di Gerard Schroeder: “O la socialdemocrazia cambia o diventeremo marginali”, “La narrativa delle perequazione sociale non funziona più, servono nuovi temi”, “l’AfD sembra un fenomeno transitorio a meno che non riesca ad impadronirsi di temi che gli altri partiti hanno trascurato come il nucleare”.
E sul Corriere Danilo Taino racconta “il personaggio” di Frauke Petry, leader di AfD: “L’outsider di destra cresciuta nell’Est. Frauke l’anti Merkel”. Il partito di destra, in buona parte xenofobo, è ormai nei Parlamenti di otto dei 16 Lander tedeschi e probabilmente entrerà al Bundestag nelle elezioni federali dell’autunno 2017. Petry ha 40 anni, è una chimica ex imprenditrice nata nel Brandeburgo, la regione attorno a Berlino quando questa era ancora terra del socialismo reale. In questo ha un punto di contatto con la Merkel, anche lei cresciuta ad Est del Muro. Ha 4 figli, mentre la cancelliera non ne ha. Era sposata ad un pastore protestante (Frau Merkel ne era figlia). L’ex marito è iscritto alla Cdu. Ma cos’è davvero la AfD? Intanto, ricorda Taino, la formazione “non nasce xenofoba. Viene fondata a inizio 2013 da Bernd Lucke, un macroeconomista dell’Università di Ambrugo. Con l’obiettivo di mettere in discussione l’euro e l’adesione della Germania alla moneta unica. Da posizioni tendenzialmente liberali. E all’inizio raccoglie l’adesione di intellettuali, manager ed ex manager, imprenditori”. Alle elezioni del 2013 sfiora il 5%, a maggio del 2014 arriva al 7%. Ma nell’estate del 2015 arriva la svolta che porta Lucke e parecchi altri “professori” ad abbandonare il partito: Frau Petry viene eletta leader su una piattaforma che considerano illiberale e populista. Con la nuova leadership la AfD ha giocato tutto sulla protesta contro la politica di Merkel sui profughi. Ed ha attirato personalità che liberali di sicuro non sono.
Su La Stampa: “Petry ora punta al Bundestag, ‘Siamo un partito di massa’”, “Dopo il successo alle regionali, si delinea l’agenda dell’AfD: dalla privatizzazione della tv pubblica alla stretta sul diritto d’asilo. Merkel: la nostra linea non cambia”. Ne scrive Alessandro Alviani da Berlino.
A pagina 5: “Merkel ridimensionata dal voto tedesco. Tusk riprende il timone dell’Ue sui migranti”, “Leader disorientati: la Cancelliera è stata decisiva con Ankara. Rinviata di nuovo la riforma del regolamento di Dublino: slitta al 6 aprile”, scrive Marco Zatterin da Bruxelles.
E in alto, con grafici, viene illustrata “la galassia dei movimenti” anti-sistema in Europa: dal front national in Francia ai Democratici svedesi alla Fpo in Austria, da Jobbik e il Partito civico di Orban in Ugnheria, passando per Alba dorata in Grecia e il M5S e la Lega in Italia: “Ecco quali sono e perché le chiamiamo forze anti-sistema”, “Non solo populisti e xenofobi fra gli elementi disgregatori” (di Alberto Simoni).
Su Il Fatto il reportage di Cosimo Caridi dalla Macedonia: “L’assalto al ‘fiume secco’, nuova frontiera dei disperati”, “Almeno tre morti. Tra i vecchi, le donne e i bambini che superavano le acque del ruscello ingrossato dalle piogge. Migliaia di rifugiati oltrepassano la barriera greca. E di fianco, dall’isola di Lesbo, il reportage di Roberta Zunini: “Dalla Grecia per il nulla il biglietto costa 100 euro”, “I profughi ammassai a Lesbo sognano l’Europa anche con i confini chiusi”.
Russia e Siria
Su La Stampa: “La mossa di Putin spiazza Obama: ‘Via i nostri soldati dalla Siria’”, “Alla ripresa del dialogo a Ginevra, il Cremlino annuncia il parziale ritiro d’intesa con Assad. Lo zar diventa così il regista dei negoziati e previene un eventuale intervento di terra dei sauditi”, scrive Giordano Stabile.
Sul Corriere: “Putin: in Siria missione compiuta”, “Annuncio a sorpresa in tv: inizia la smobilitazione ‘parziale’. Un segnale soprattutto politico in vista dei negoziati di Ginevra”, secondo Fabrizio Dragosei, che ne scrive da Mosca. A pagina 3 un’analisi di Guido Olimpio: “La scommessa dello Zar”. Mosca ha messo al sicuro l’alleato usando la lotta al terrore come bandiera. Ma non ha piegato i miliziani ribelli e le incognite restano. Franco Venturini, in un commento in prima, scrive che “Putin non ha indicato scadenze e non ha detto quanti aerei o uomini torneranno a casa. Ma su altri dettagli è stato generoso: la base aerea di Hemeimeem e quella navale di Tartous resteranno operative; i russi hanno sottratto diecimila chilometri quadrati ai ‘terroristi’ riconsegnandoli all’esercito di Assad; sono stati uccisi duemila foreign fighters venuti dalla Russia; è stata chiusa a suon di bombe la via del petrolio dalla Siria alla Turchia; e soprattutto, la decisione del parziale ritiro è stata presa ‘in pieno accordo’ con Bashar al Assad. In sintesi, Putin rivendica di aver creato lui con il suo intervento di fine settembre le condizioni dei negoziati di pace e della tregua, e ora che le bombe e i missili hanno ristabilito sul terreno i giusti equilibri (s’intende a favore di Assad) la Russia vuole contribuire alla pace facendo un passo indietro”. La Russia, sottolinea Venturini, riduce la sua presenza, ma non la cancella. Il Cremlino precisa che manterrà un centro di controllo aereo in Siria “per monitorare la tregua”. Quali sono le motivazioni del parziale ritiro? Potrebbe trattarsi “di un frutto dell’altalenante coordinamento tra Mosca e Washington: la Russia prende le distanze da Assad in vista di un suo futuro accantonamento? Oppure la massiccia offensiva aerea in Siria deve essere ridimensionata perché ha raggiunto costi non più sopportabili per la debolissima economia russa?”. E’ probabile, per Venturini, “che una Siria frantumata, tale da garantire al potere di Damasco e agli interessi russi una zona sicura e protetta, al Cremlino basti”.
La Repubblica: “L’annuncio di Putin, ‘Siria, forze russe via, obiettivi raggiunti’”, “Telefonata con Assad. Ma le basi restano. Mossa a sorpresa, poi il colloquio con Obama”, Ne scrive da Mosca Nicola Lombardozzi.
Alla pagina seguente “lo scenario” tracciato da Alberto Stabile sulle conseguenze dell’intervento russo: “Bombe dal cielo e attacchi mirati, così la guerra ha cambiato direzione”, “L’intervento di Mosca ha consentito ad un regime in crisi di risollevare le sue sorti e di arrivare al tavolo del negoziato in una posizione di forza. Ma il costo in termini di vittime civili è stato altissimo.
Il caso Regeni
Su La Repubblica: “Inchiesta Regeni, cambia il giudice. ‘L’Egitto comincia a collaborare’”, “Il caso via da Giza, il procuratore del Cairo farà da supervisore. Nota congiunta con Pignatone”. Carlo Bonini e Giuliano Foschini fanno riferimento alla nota congiunta di 17 righe in lingua inglese, sottoscritta al termine di due ore e mezza di colloquio al Cairo tra il Procuratore di Roma Pignatone e il procuratore generale egiziano Nabil Sadeq. Si parla di “mutual understanding”. Ma la notizia è che i magistrati italiani rientreranno a Roma con un nuovo interlocutore, il procuratore generale egiziano (e non più la Procura di Giza), con il suo impegno formale a “riprendere – si legge- e alzare la qualità della cooperazione per misurarsi sulle reali circostanze di fatto del caso e i suoi effettivi responsabili”. Insomma, se non è un’avocazione, certamente molto le somiglia.
Su La Stampa: “’Pronti a collaborare su Regeni’. Ma la procura di Roma non si fida delle promesse dei pm egiziani”, “L’inchiesta di Giza trasferita al Cairo tra il timore di nuovi depistaggi” (ne scrive Francesco grignetti)
Primarie Usa
Sul Corriere: “Il ‘gran martedì’ e lo sgarbo di Bush”, “Primarie cruciali per i repubblicani. Rubio senza appoggio dell’ex presidente (che abbraccia Hillary). Quella di oggi -spiega l’inviato a Miami Giuseppe Sarcina- sarà la seconda giornata con più delegati in palio sopo il ‘Super Tuesday’ del 1 marzo: sono 99. In Florida i sostenitori di Marco Rubio hanno atteso invano l’appoggio della famiglia Bush, che però non è arrivato. E George W. Bush ha abbracciato invece un altro candidato che probabilmente vincerà in questo Stato: Hillary Clinton. E’ accaduto venerdì 11 marzo in occasione dei funerali di Nancy Reagan. Un gesto privato, criticato però dall’entourage del rivale di Hillary, Bernie Sanders. In Florida Jeb Bush, dopo la sconfitta nel South Carolina, non ha voluto schierarsi con nessuno e Trump ha riempito prontamente il vuoto. In questo bacino elettorale coontano molto i voti dei 3,3 milioni di over sessanta (su 16 milioni di abitanti), Molti di loro hanno votato per i Bush e, secondo logica, dovrebbero passare a Rubio. Ma quando l’altra sera il senatore si è presentato a The Villages, c’erano 200-300 persone.
Su La Repubblica il reportage dalla Florida di Federico Rampini: “’Io i latinos li assumo’. Trump va all’assalto del voto degli ispanici”. Nel comizio a Boca Raton e poi a Tampa, Trump ha ripetuto una battuta: “Adoro quel cartello ‘Hispanic for Trump’. Dice la verità: gli ispanici mi amano. Ne ho assunti a migliaia”. Togliendo due zeri, come sempre bisogna fare con Trump, secondo Rampini, è vero che ne ha assunti qualche centinaio: in Florida possiede tre resort con hotel, ristoranti, piscine, campi da golf. Un’inchiesta di Msnbc ha denunciato che nel più lussuoso di questi resort (il ‘Mar-a-Lago, luogo che è un “riassunto” di Trump, perché è in stile Versailles con un tocco da maharaja indiano) fecero domanda di lavorare come camerieri o giardinieri 300 cittadini americani. Trump preferì assumere 283 stranieri, perlopiù ispanici, pur di non prendere degli americani a pagarli a salario pieno. Un sondaggio del Miami Herald rivela che il 40% dei latinos locali considera Trump “il più adatto a gestire l’economia”. E’ vero che gli ispanici della Florida non sono rappresentativi del resto degli Usa: le comunità qui prevalenti sono cubano-americani e portoricani, tradizionalmente più a destra rispetto a quelli venuti dal Messico e dal Centroamerica. Nota però il Miami Herald che “è comunque clamoroso che tanti cubani votino per Trump, quando avrebbero per la prima volta ben due candidati di orgine cubana, Marco Rubio e Ted Cruz”.
Su La Stampa: “Anche i cubani della Florida sedotti dal ciclone Trump”, “Oggi le primarie, gli esuli di Miami voltano le spalle all’ispanico Rubio”, scrive Paolo Mastrolilli nel suo reportage da Miami.
Turchia
Sul Corriere: “L’ira di Ankara sul Pkk. Raid aerei sull’Iraq e tank nelle città curde”, “Erdogan: ‘O siete con noi oppure con i nostri nemici’”. Ne scrive Monica Ricci Sargentini, dando conto delle accuse al Pkk di essere stati gli autori della strage di Ankara di domenica pomeriggio. Il Pkk -scrive- potrebbe aver deciso di ‘esportare’ il conflitto nell’Ovest del Paese e colpire i civili, dopo la fine della tregua dello scorso luglio.
Politica italiana
Su La Stampa: “Dalla Germania il vento antisistema spinge Salvini sempre più a destra”, “L’alleanz a con FI, nel Ppe assieme a Merkel, sta stretta alla Lega. E a livello italiano il Carroccio ora sospetta un nuovo Nazareno”, scrive Amedeo La Mattina.
La Repubblica intervista Matteo Salvini, leader della Lega Nord: “’Per noi a Roma c’è solo Giorgia. Berlusconi ricordi, ho più voti di lui’”. Salvini, scrive Tommaso Ciriaco, “conferma il noa a Bertolaso. Ma spiega che non vuole rompere con Fi: ‘Decideremo chi sarà il leader senza nostalgie del passato’”. Se gli si obietta che un centrodestra guidato da lui possa apparire troppo estremista, risponde: “faccio notare il voto in Germania, Austria e Francia”. Sul M5S: “Non ho fatto accordi con loro, ma al ballottaggio contro il Pd li voterei, perché Renzi è un disastro”.
Sul Corriere: “La rabbia di Berlusconi per Salvini: il suo solo mestiere è stato la comparsa”, “L’ex premier non trova sponde a destra: ‘Mi ero liberato di Fini…’”.
Su La Stampa: “Bertolaso: Giorgia faccia la mamma. Meloni e Bedori, è un attacco alle donne”, “La leader di Fdi replica: ‘Sarò madre e sindaca’. E Boschi interviene per le avversarie”.
Sul Corriere: “Bertolaso sotto attacco, centrodestra nel caos”, “’E’ giusto che faccia la mamma’. Un caso le parole dell’ex sottosegretario su Meloni, poi la precisazione. Nuovo aut aut della Lega: o è Giorgia o è Marchini. Il candidato di FI: se la coalizione la appoggia, mi ritiro”.
E a pagina 6: “Meloni è pronta a candidarsi. ‘Non possiamo andare al suicidio’”, “FdI studia i sondaggi che la vedrebbero favorita”.
Lo stesso Bertolaso viene intervistato dal quotidiano: “Misogino? Volevo tutelarla. A Giorgia voglio bene, le manderò dei fiori’”.
Su La Stampa: “Bassolino ancora bocciato, ‘Questa è una presa in giro’”, “Il Comitato per le primarie respinge il secondo ricorso dell’ex sindaco”, scrive Guido Ruotolo.
Su La Stampa: “Berlusconi ricicla Mastella. Candidato a Benevento”, “de Girolamo si oppone ma Silvio lo rassicura: ‘E’ come mia figlia, le parlo io’”.
Il Fatto intervista la candidata M5S a Torino, Chiara Appendino: “C’è un Paese ancora misogino. Ma io non voglio quote rosa”
Anticorruzione
Su La Repubblica alle pagine 2 e 3 un articolo di Liana Milella sul rapporto dell’Autorità Nazionale Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone: “Cantone accusa Roma. Dagli asili alle strade, ecco tutti gli appalti illegali”, “Il documento dell’Anac approvato la scorsa settimana denuncia un metodo ‘sistematicamente’ irregolare negli anni 2012-2014”. E si cita un passo del rapporto di Cantone: “L’indagine ha rivelato la sistematica e diffusa violazione delle norme. Ha palesato il ricorso generalizzato e indiscriminato a procedure prive di evidenza pubblica, con il conseguente incremento di possibili fenomeni distorsivi che agevolano il radicarsi di prassi corruttive”; “si riscontrano ricadute negative sulla qualità delle prestazioni e sull’incremento dei costi, nonché sulla lesione della concorrenza, come effetto della sottrazione alle regole di competitività del mercato di una cospicua quota di appalti, affidati per la maggior parte senza gara”; c’è il “ricorso sistematico ad affidamenti allo stesso soggetto”, ci sono le “proroghe” ingiustificate e “l’improprio frazionamento degli appalti” oltre che “le varianti non motivate”.