Napolitano, processo ai partiti

Le aperture

La Repubblica: “Napolitano, processo ai partiti. ‘Tornate alla realtà, subito un’intesa sul governo’. Cresce l’ipotesi di Renzi premier. Il Presidente giura in Parlamento, si commuove e lancia un ultimatum: se non agirete ne trarrò le conseguenze”. A centro pagina: “Sorpresa Serracchiani, il Friuli alla sinistra”.

Il Corriere della Sera: “’Partiti sordi’. Schiaffo del Presidente. Napolitano: subito dialogo e riforme o ne trarrò le conseguenze davanti al Paese”. “Il discorso del capo dello Stato: non assolvetevi, le intese non sono un orrore. Elogi di Pdl e Pdl, critiche dei 5 Stelle. Oggi le consultazioni”. A centro pagina: “D’Alema attacca sul caso Prodi”; “L’ex premier: non ho tramato”. E poi: “Ipotesi Amato a Palazzo Chigi, ma ora c’è un piano per Renzi”.

La Stampa: “Napolitano, ultimatum ai partiti. ‘Subito intese per governo e riforme’. E avvisa: ‘Dinanzi a sordità ne trarrò le conseguenze’. Il Presidente si commuove davanti alle Camere per il secondo mandato. Ma il discorso è durissimo: i Cinque Stelle in piedi senza applaudire”.

Il Sole 24 Ore: “’Ora i partiti siano responsabili’. ‘Avanti su intese ampie e riforme o ne trarrò le conseguenze’. Verso un governo politico. Il Presidente: no alla contrapposizione piazza-Parlamento. Berlusconi e il Pd plaudono, critico Grillo”. A centro pagina i dati Eurostat: “Deficit dell’Italia al 3 per cento nel 2012”. “Eurostat: il debito al 127 per cento del Pil. Barroso: politica di austerità giusta, ma ha raggiunto i suoi limiti”. In evidenza anche l’inchiesta firmata da Claudio Gatti, dedicata al ministro dell’Economia: si parla di conti che avrebbe intestato all’estero, e delle spese per la ristrutturazione della casa, che sembrerebbero presentare incongruenze.

Il Fatto quotidiano: “Inciucio o vado via. Berlusconi: viva Napolitano. Il Presidente bis detta le condizioni: governo di larghe intese con la destra o elezioni anticipate”. L’editoriale di Antonio Padellaro: “Diciamo no e non saremo soli”.

Il Giornale: “Governo già fatto. Amato favorito come premier. Ma Renzi cresce… Napolitano giura e vara la grande coalizione voluta da Berlusconi: esecutivo forte con Pd e Pdl. Il Cav: ‘Miglior discorso sentito in 20 anni’”. A centro pagina: “Flop a Cinque stelle, Friuli al Pd”. “Serracchiani batte al fotofinish Tondo (Pdl). Crollo dei grillini: perdono 8 punti”.

Libero: “Il domatore. Re Giorgio frusta il Pd e minaccia dimissioni-lampo se non si farà il governo di larghe intese. Basterà per rimettere ordine nel circo della sinistra? Forse. Ma se il risultato sarà Amato c’è poco da esultare”.

L’Unità: “La frustata di Napolitano. ‘Basta tatticismi, subito il governo e le riforme. Se i partiti saranno sordi ne trarrò le conseguenze’”. A centro pagina: “E per il governo spunta il nome di Renzi”.

Napolitano

L’intervento del Presidente Napolitano ieri, davanti al Parlamento, viene riprodotto da Il Foglio (“Il Presidente giusto. Scomparsi i difetti di formalismo. Verità e passione in un discorso di salvezza e di riscatto della Repubblica. Argomenti irrecusabili per la coesione”) e da Europa (“’Basta sordità dei partiti o trarrò le conseguenze’”). Parlando delle ragioni che lo hanno indotto ad accettare il secondo mandato, Napolitano ha fatto un riferimento anche agli incontri che ha avuto con i rappresentanti delle Regioni: “E’ emerso da tali incontri – ha detto – nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale della elezione del Capo dello Stato”. Napolitano non ha mancato di sottolineare che negli ultimi anni, “a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti”, che si sono intrecciate con una pesante crisi economica, “non si sono date soluzioni soddisfacenti: hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi”. E quel tanto di “correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica, è stato dunque facilmente ignorato o svalutato. E l’insoddisfazione verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione, quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza”. E ancora, per il Capo dello Stato, “imperdonabile” resta la “mancata riforma della legge elettorale del 2005”: la cui mancata revisione “ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio”. Da cui è disceso, “in modo non certo imprevedibile”, un “risultato elettorale di difficile governabilità”. Napolitano ha ricordato di avere “speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese”. Pur senza nominarlo esplicitamente, il Capo dello Stato ha fatto riferimento al Movimento 5 Stelle: “apprezzo l’impegno con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta: quella è la strada di feconda anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può d’altronde reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da più di un secolo e ovunque i partiti. La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico, e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione idi consensi e dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace, alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del “metodo democratico”.

Poi l’invito alla collaborazione tra le forze politiche: “Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione” debbono dare ora “il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese” senza temere di convergere su delle soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di votare all’unanimità”. Poi ha specificato: “Sulla base dei risultati elettorali – di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no – non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poter governare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori – o qualunque patto – se si preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. E si indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivisi a problemi di comune responsabilità istituzionale.

Su La Stampa una pagina dedicata alla elezione di Napolitano si chiede se “davvero Twitter” ha inciso sul Quirinale. Rispondono il vicedirettore de La Stampa Cesare Martinetti, il deputato del Pd Giuseppe Civati e Giancarlo Bosetti (“Si seguono persone per simpatia in fondo, Twitter è una bolla”).

Tutti i quotidiani (su La Stampa Mattia Feltri, su La Repubblica Concita de Gregorio, sul Corriere Gian Antonio Stella, su Il Giornale Vittorio Feltri) si soffermano sugli applausi tributati dai parlamentari al Presidente Napolitano che le “sferzava”.

Il Fatto quotidiano offre in prima pagina il commento di Marco Travaglio e l’editoriale del direttore Padellaro. “Sua castità” è il titolo dell’articolo di Travaglio, in cui si ricorda che ieri, nel carcere dell’Ucciardone si è svolto “un sacrificio votivo sull’altare della Casta: un bel falò pirotecnico, non di agnelli o montoni o vergini inviolate, ma di nastri e bobine che immortalavano le quattro telefonate fra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e l’indagato per falsa testimonianza Nicola Mancino, implicato nella trattativa Stato-mafia”. E il direttore Padellaro, in riferimento al discorso di Napolitano ieri in Parlamento, cita il film di Nanni Moretti “Sogni d’oro”, dove ad un regista che si indirizzava alla platea degli spettatori dicendo loro “siete un pubblico di merda”, tutta la sala si alzava in piedi gridando entusiasticamente ‘pubblico di merda, pubblico di merda’. Quello del capo dello Stato viene definito un “diktat” così riassumibile: o si fa un governo delle larghe intese con Berlusconi o si va a nuove elezioni, ma in questo caso io mi dimetto subito e vi lascio in un mare di guai”. “Diktat” è anche il titolo di apertura de Il Manifesto.

Sul Fatto Barbara Spinelli, che era favorevole ad un accordo tra Pd e M5S, dice che forse Grillo ha fatto bene a diffidare. Il senso della sua intervista viene riassunto così: “Parte del Pd è ricattabile, il Caimano va verso il Colle”. La ricattabilità si riferisce, tra le altre cose, alla vicenda MontePaschi e “non è meno forte quella che chiamerei ‘schiavitù volontaria’”, dice la Spinelli, per cui “Rodotà non sarebbe stato solo uno dei migliori garanti delle istituzioni ma – come Prodi – uno dei più autorevoli garanti dell’europeismo. Non dimentichiamo che è l’estensore della Carta europea dei diritti: vincolante per tutti i Paesi membri. Non esiste solo il plebiscito dei mercati”.

Quirinale, Pd

Oggi il Presidente inizierà le consultazioni, e si riunisce la direzione del Partito Democratico, con all’ordine del giorno le dimissioni del segretario Bersani e la valutazione sulla situazione politica.

Mercoledì la delegazione del Pd – Zanda, Speranza ed Enrico Letta – salirà al Colle a riferire a Napolitano. Quindi già nella serata di mercoledì il presidente conferirà l’incarico, per arrivare ad un voto di fiducia venerdì alla Camera e sabato al Senato. Spiega La Repubblica: “se ci fosse l’accordo politico, se in casa democratica tutti concordassero con Renzi, cioè con l’idea di entrare ‘a viso aperto’ nell’esecutivo con il Pdl, il compito di Napolitano sarebbe semplice. Il quotidiano sottolinea che l’ipotesi principale su cui si ragiona al Quirinale resta quella di Giuliano Amato. Ma il fatto che il leader dei giovani Turchi, Matteo Orfini, abbia indicato Renzi come possibile premier fa capire, scrive La Repubblica, “quanto siano in movimento le correnti interne del Pd”. Dalla direzione potrebbe quindi uscire del “rottamatore”, frutto di una saldatura generazionale tra la vecchia guardia dalemiana, gli ex dalemiani, i giovani turchi e i renziani. In un altro articolo si scrive che il leader dei giovani turchi Orfini avrebbe detto a Renzi: “In direzione noi proponiamo che il Pd faccia il tuo nome alle consultazioni. Se governissimo deve essere, facciamolo guidare a un uomo del Pd, l’unico modo per salvarlo è questo”. E si chiosa: “E’ la saldatura definitiva dell’asse generazionale, la prova generale della rifondazione Pd”. Sulla stessa pagina, intervista a Pippo Civati, che resta contrario alle larghe intese, chiede di consultare la base, e indica dalemiani ed ex PPI come i traditori, “ma non so se in accordo con i leader”. Lo stesso D’Alema, peraltro, accusato di essere il regista dei 101 franchi tiratori che hanno impallinato la candidatura di Prodi al Colle, ha reagito con durezza: “Non c’è alcuna mia regia sull’affossamento di Prodi. Denuncerò i calunniatori. Semmai lo ha affossato chi lo ha candidato in modo francamente assurdo”.

Sul Corriere della Sera: “Giovani turchi, no ad Amato. Un piano per Renzi premier”. Viene descritta quella come la “strategia di Orfini”, cui resterebbe contraria la vecchia guardia (da intendersi come Rosy Bindi, Franco Marini e Beppe Fioroni, esponenti Pd che hanno con Renzi un difficile rapporto e di cui il Corriere dà per scontati i “mal di pancia” nel caso il partito designasse Renzi come possibile premier). Infine, le parole di Franceschini, ex segretario, in riferimento alla direzione di oggi che dovrebbe deliberare la partecipazione a un governo di collaborazione con il Pdl: “La maggioranza decide, e chi non la vota è fuori”. E se Bersani, parlando di 101 voti mancati a Prodi, ha accennato a “traditori”, lo stesso Civati ieri ha esortato: “State attenti, perché i soliti protagonisti della politica italiana che ora chiamate così potreste ritrovarvi, tra qualche ora, a chiamarli ministri”. Su La Stampa, in riferimento ancora al Pd: “L’inesorabilità della divisione del vecchio partitone”, “almeno due le anime, separate dall’antiberlusconismo”. Dove si legge che “la qualità e l’entità dello strappo dipendono ancora da molte cose, ma forse da una su tutte: quel che chiederà Giorgio Napolitano. Andrea Orlando, uno dei leader dei giovani turchi (anche loro spaccati su cosa fare) semplifica e sintetizza la situazione così: ‘Se il Presidente vuole disintegrare il Pd, non ha che da imporci un governo ad ‘alta intensità politica’ cioè con ministri Pd e Pdl seduti fianco a fianco’, ‘se si accontentasse invece di un ‘governo del Presidente’ – dal profilo più tecnico che politico – allora il dissenso potrebbe essere più contenuto’”.

Il Fatto, in un articolo intitolato “la ‘nuova’ sinistra s’imBarca” scrive che il ministro Fabrizio Barca tenta di tenere i cocci di un partito in frantumi dichiarando: “non c’è rischio di scissione, Renzi è parte di noi”. Due giorni fa l’europarlamentare Cofferati aveva ipotizzato, in caso di un governo di larghe intese Pd-Pdl, la creazione di un nuovo soggetto a sinistra, che potrebbe vedere la luce in un convegno che riunirà a Bologna, su impulso della Fiom, il segretario Landini, Stefano Rodotà, Fabrizio Barca e Nichi Vendola.

Friuli Venezia Giulia

“Serracchiani gela Grillo e strappa il Friuli al Pdl”, titola La Stampa dando conto della vittoria della candidata alla Presidenza Regione Friuli del centrosinistra: Debora Serracchiani ha vinto per duemila voti e per il quotidiano la giornata di ieri si è chiusa con tre dati politici: la resistenza delle anime nuove del Pd alle bufere romane, il grande astensionismo – 1 su 2 non ha votato – e il flop del Movimento 5 Stelle, nonostante il tour di 4 giorni di Beppe Grillo.

L’affermazione di Debora Serracchiani ha trascinato il Pd, che riesce ad essere il primo partito, sfiorando il 27 per cento. Il secondo partito è il Pdl, al 20 per cento. Quanto al movimento 5 Stelle, il candidato Presidente Saverio Galluccio ha chiuso con il 19,2 per cento mentre la lista si è fermata al 13,7. Soltanto due mesi fa il Movimento 5 Stelle alle politiche era il primo partito in Friuli Venezia Giulia: dai 196 mila voti che aveva raccolto per la Camera a febbraio, si è passati ai 102 mila di ieri. Il quotidiano intervista la stessa Serracchiani che, peraltro, si ricorda, ha voluto con sé in campagna elettorale, come unico esponente del Pd, Matteo Renzi. Perché lei vince e Bersani no? “Perché io non faccio parte dell’apparato. Dal 25 di febbraio non sento nessuno nel mio partito”. Del crollo del Movimento 5 Stelle dice: “E’ successo perché lo abbiamo sfidato su temi specifici: il piano energetico, il no fermo al consumo del suolo, il taglio delle province, la riduzione dei costi della politica. Grillo in Friuli Venezia Giulia ha toccato solo temi nazionali, il contrario di quello che serviva. Sul territorio le persone fanno la differenza. La qualità e la competenza contano”.

Serracchiani viene intervistata anche da L’Unità, e ammette: “Ho avuto spesso la sensazione di essere da sola, di non avere riferimenti a Roma. Il partito, il mio partito, non mi è stato accanto in questi mesi. Dopo le politiche, più nulla”. Nelle prime dichiarazioni a caldo, la Serracchiani aveva detto che “se non fosse stato per Roma, e per i riflessi di ciò che è successo nella Capitale negli ultimi giorni, la sua strada sarebbe stata asfaltata”.

Internazionale

Il presunto attentatore di Boston, Dzhokhar Tsarnaev, ha dichiarato agli inquirenti – secondo notizie di questa mattina della CNN – che l’attacco è stato preparato dal fratello e ha negato legami con organizzazioni terroristiche straniere.

Su Il Foglio, intervista ad un esperto russo di sicurezza e servizi, Andrei Soldatov: i due sono terroristi e sono ceceni, ma non sono “terroristi ceceni”. I loro complici, ammesso che ci siano, vanno cercati negli Usa, sul luogo della strage, anziché nei villaggi del Caucaso. I due Tsarnaev “non hanno il profilo del terrorista ceceno”. I ribelli stessi del Daghestan hanno smentito ogni legame con i due fratelli, domenica pomeriggio, ed è – secondo Soldatov – una circostanza di cui tenere conto, perché di solito questi gruppi fanno grande pubblicità alle loro azioni. Ricorda ancora Soldatov che i ribelli “non hanno attaccato un solo obiettivo occidentale negli ultimi quindici anni, eppure avrebbero potuto colpire ambasciate e banche straniere in ogni angolo della Russia”.

Resta in condizioni gravi al Beth Israel Hospital di Boston ma – come scrive La Stampa – ieri ha iniziato a risvegliarsi e nei momenti di coscienza ha risposto per iscritto alle domande degli inquirenti. Il ministro della giustizia Holder lo ha incriminato per “uso di armi di distruzione di massa, contro persone e proprietà, e altri reati che prevedono la pena di morte”.L’allarme terroristico intanto si è allargato anche al Canada, dove la polizia ha arrestato due persone in Ontario e Qebec, sospettate di aver preparato un attacco alla linea ferroviaria Toronto New York. Secondo la tv canadese CTV i due sarebbero stati addestrati in Pakistan, ma secondo investigatori Usa non sarebbero legati all’attacco di Boston. Dal Corriere della Sera segnaliamo che giovedì prossimo verrà inaugurata in Texas la Presidential Library di George W. Bush: sarà un istituto e una biblioteca ma, secondo lo stesso George W, non si tratterà di una struttura autocelebrativa ma di un vero centro di ricerche storico-politico. Un museo interattivo che consentirà ai visitatori di esprimere un giudizio sulle scelte più controverse fatte dall’ex presidente. Sulla stessa pagina la corrispondenza da Gerusalemme racconta di uno studente liceale israeliano che si è rifiutato di leggere il discorso scelto per la giornata commemorativa dei caduti delle guerre israeliane, la scorsa settimana. E’ stata la sua risposta alla decisione dei suoi insegnanti di censurare le frasi addolorate e furiose pronunciate dallo scrittore David Grossman il 4 novembre 2006 alla manifestazione per ricordare l’assassinio di Itzak Rabin.

Esprimevano la sofferenza collettiva a 11 anni dalla morte dello statista e quella personale dello scrittore a tre mesi dalla uccisione del figlio, il soldato Uri, vittima del conflitto con la Hezbollah libanese.

redazione grey-panthers:
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