Le aperture
La Repubblica: “Le lobby fermano le liberalizzazioni. Vincono i farmacisti e le banche. L’ira di Bersani. Aumentano le sigarette. Pensioni, contributivo per i parlamentari. L’Idv: voteremo contro. Bagarre e insulti della Lega al Senato. Monti apre sulla Tobin tax, domani la fiducia”. A centro pagina: “Razzismo, retata di neofascisti a Roma. Arrestato il capo di ‘Militia’ con altri 4. Giornata di lutto a Firenze dopo la strage, il Senegal protesta”. Di spalla: “La7, Mentana si dimette, poi la frenata”.
Il Corriere della Sera: “Manovra, i costi per le famiglie. Pensioni, sgravi, aumenti: oggi la fiducia, domani il voto finale alla Camera. Berlusconi ‘perplesso’. La Lega contesta il premier. Tagli ai vitalizi dei parlamentari”. A centro pagina: “La Francia rassegnata a perdere la tripla A. Euro e Borse in caduta”. A fondo pagina il quotidiano dà conto della “lite (con dimission) tra Mentana e redattori. Sfida nel Tg La7, poi le nubi si diradano'”.
Il Giornale, con foto di Mentana: “Se ne va o no? La ribellione di Mentana. Denunciato dai suoi giornalisti per comportamento antisindacale, si dimette. Anche se in serata…”.
Il Sole 24 Ore oggi si presenta come uno strumento di “aiuto ai lettori per capire” la manovra: “Famiglie e imprese: guida a tutte le novità. Oggi la fiducia sulla manovra: modifiche alle pensioni, due anni per scovare i furbi del condono. Monti: sì alla Tobin Tax. Frenata sulle liberalizzazioni dei farmaci, attenuato l’alt agli adeguamenti previdenziali, tassa sul tabacco. Dubbi di Berlusconi e Bersani. Camere, stretta su stipendi e vitalizi”.
Partiti, manovra
Ieri il Presidente del Consiglio Monti ha riferito al Senato gli esiti del vertice di Bruxelles. L’intervento del premier è stato l’occasione per una contestazione a base di urla e cartelli da parte dei senatori della Lega. Il Corriere della Sera ricorda che è stata proprio questa formazione a chiedere per prima a Monti di riferire in Senato sul vertice europeo di Bruxelles. Lo aveva fatto il primo dicembre la senatrice Boldi, presidente della Commissione Politiche dell’Ue che, scavalcando il presidente del Senato Schifani, aveva fatto esplicitamente questa richiesta al Presidente del Consiglio. Ieri il dibattito, la lega con cartelli in Aula, provvedimento di censura al leghista Montani che ha dato del “pagliaccio” al presidente del Senato Schifani, mandandolo a quel paese.
Dando conto della giornata parlamentare, il Giornale spiega che i senatori leghisti sbeffeggiavano il Presidente del Consiglio dipingendolo come l’uomo delle imposte. Lui, “indispettito” ed irritato dai cartelli leghisti, annuncia: “Mi richiamo al monito che, in modo colorito, ho sentito e letto in aula: meno tasse. ‘Basta tasse’, sarà impossibile, ma un modo per arrivare a ‘meno tasse su famiglie o su chi produce è anche quello di avere una fiscalità estesa anche al mondo della finanza, sulle grandi operazioni finanziarie”. E poi, ancora più chiaro: “Colgo l’occasione per dire che, in sede europea, dopo un’attenta valutazione, abbiamo segnalato che l’Italia è pronta a considerare questa posizione e ad unirsi a quelli che vorrebbero la Tobin tax”.
Anche su La Stampa, attenzione per la Lega, dopo la “bagarre”: “Il Carroccio torna all’epoca del cappio. Ma ci crede poco”.
Della Lega si occupa il Corriere della Sera, con un articolo che sottolinea come il Carrocccio, “smemorato”, abbia riscoperto l’ostruzionismo: “capriola del partito di Bossi: da colonna portante della stabilità governativa ad anima caciarona del ribellismo” (di Gian Antonio Stella). Dove si rievoca la condanna dell’ex-ministro Calderoli agli atteggiamenti ostruzionistici, nel settembre scorso, tenuti dall’opposizione in occasione della discussione sulla manovra Tremonti: quella manovra, ricorda Stella, comprendeva addirittura l’abolizione delle Province, contestatissima dai leghisti.
Con La Repubblica si completa il quadro, leggendo della decisione leghista di votare sì alla richiesta di arresto nei confronti dell’ex-sottosegretario Cosentino, ieri, alla giunta delle autorizzazioni della Camera. Parallelamente, restando a questo quotidiano, l’ex-ministro Maroni continuerebbe la sua scalata al Carroccio: prima tappa, la sostituzione dell’attuale capogruppo alla Camera Reguzzoni, considerato il leader dei pretoriani di Bossi. Tanto più che la scalata di Maroni pare stia complicando il tentativo di Berlusconi di riavviare il dialogo: l’ex ministro dell’Interno vorrebbe che il Carroccio corresse alle amministrative della prossima primavera senza il Pdl, puntando a dimostrare “di essere il primo polo del Nord”, come avrebbe detto l’interessato.
Anche in casa Idv, si racconta, ci sarebbero state urla nel corso di una riunione a porte chiuse sull’atteggiamento da tenere sulla manovra: La Stampa la descrive come una assemblea più importante di un congresso, conclusasi con la decisione, speculare a quella della Lega, di votare no alla manovra e cavalcare il malcontento del Paese, pescando nel bacino di voti degli altri partiti del centrosinistra. In questi giorni, non sono mancate le dissociazioni o le posizioni vagamente aperturiste nei confronti del governo: “Pancho” Pardi (“Di Pietro sbaglia, perché Monti ci ha liberato da una anomalia della democrazia italiana”), il capogruppo Donadi (“Il voto contrario deve essere oggetto di attenta riflessione”), il senatore Luigi Ligotti (“Se il mio voto fosse decisivo per la sorte del governo, cosa fare? Voterei a favore”), Renato Cambursano, deputato (“Dopo il sì per coerenza mi dimetterò da deputato”).
Secondo La Repubblica lo stop deciso dal Governo sulle liberalizzazioni fa “storcere il naso” a più d’uno. Il segretario del Pd si dice “stupito, per non dire stupefatto, della debolezza sulle liberalizzazioni”, e annuncia che “su questo la questione è ancora aperta”. Via Twitter l’ex ministro Gelmini commenta: “Tutto avrei immaginato, tranne andar d’accordo con Bersani. Le liberalizzazioni sono troppo timide”. Anche Berlusconi non sembra soddisfatto dalle modifiche inserite in commissione Bilancio nella notte tra martedì e mercoledì, ma conferma che il Pdl voterà a favore.
Va segnalato altresì che, nel corso della conferenza stampa dedicata alla manovra, ieri il segretario Pd Bersani ha anche affrontato la questione Ici e Chiesa Cattolica. La Repubblica, in tre righe, sintetizza: “Bersani va oltre, e sottolinea che la Chiesa dovrà essere costretta a pagare l’Ici almeno sugli immobili commerciali”.
Tra gli approfondimenti, che sono moltissimi, sui giornali, sulle misure della Manovra, segnaliamo quello del Corriere della Sera, che spiega come non ci sarà per la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, quelli che, con ricetta medica ma non rimborsabili, avrebbero potuto essere venduti anche dalle parafarmacie. Naturalmente anche in questi luoghi sarebbe stato obbligatorio presentare la ricetta, così come obbligatoria sarebbe stata la presenza di un farmacista laureato e iscritto all’Ordine. Resteranno quindi fuori dalla vendita nelle parafarmacia medicinali come gli anti-infiammatori, o gli anticoncezionali. Saranno liberalizzati i farmaci di fascia C che non richiedono prescrizione medica: l’Agenzia italiana del farmaco, entro 4 mesi dall’entrata in vigore del decreto, dovrà stabilire per quali farmaci non sarà più necessaria la prescrizione medica.
Su Il Foglio un articolo di Carlo Stagnaro, dell’Istituto Bruno Leoni, si chiede cosa sia stato delle “liberalizzazioni invocate dal Preside”: a fronte di norme importanti, come “l’innovazione sugli orari e i giorni di apertura degli esercizi commerciali”, si ricorda che la liberalizzazione dei farmaci di C nei centri superiori ai 12.500 abitanti è subordinata all’individuazione di “requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” da individuarsi con successivi decreti. In sostanza, la portata potenzialmente rivoluzionaria di questa apertura rischia di affogare tra le more dei ritardi e della burocrazia; senza contare il limbo di scritture e riscritture che darà ai farmacisti l’opportunità di far sentire le proprie ragioni. Anche perché, per iniziativa governativa, nel testo all’esame dell’Aula si prevede che possano essere venduti fuori dalle farmacie i farmaci senza ricetta medica soltanto dopo che il ministero della Salute, sentita l’Aifa, avrà individuato l’elenco di questi farmaci “entro 120 giorni” dall’entrata in vigore della legge”. Stessi limiti sugli ordini professionali: “la promessa di apertura del mercato è ampiamente calmierata da un lato dal rimando a provvedimenti successivi, dall’altro alla (intenzionale?) ambiguità sugli obiettivi delle riforme, e comunque, anche in questo caso, dall’allungamento dei tempi per la redazione delle nuove norme”.
Europa
Su La Stampa, una intervista all’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, che dice di non considerare affatto scongiurati i rischi per l’eurozona dopo il nuovo patto fiscale: “Certo che vi sono ancora dei rischi. Rischi che la Germania corre e ci fa correre consapevolmente”, poiché la stessa Merkel ha raccontato “di sapere benissimo che ogni suo ritardo nel dare il via libera a provvedimenti comporta costi aggiuntivi, non solo economici”.
Amato, insieme a Romano Prodi, hanno proposto una “Convenzione” per una vera unione politica: “Il punto è quello di evitare l’Europa Frakenstein, che in comune ha solo le burocrazie e gli automatismi. Insomma, non si può stringere più di tanto l’unione fiscale senza procedere verso una unione più politica”.
Internazionale
Su La Repubblica si parla addirittura di un “anatema” pronunciato dal presidente israeliano Shimon Peres nei confronti della “nuova destra” del suo Paese. Peres ha parlato di “vergogna” per descrivere i propri sentimenti davanti a tutta una serie di leggi che – secondo il quotidiano – hanno un sapore liberticida: quella che impone limiti ferrei ai finanziamenti stranieri alle Ong per la pace e i diritti umani, quella che minaccia di strangolare i media non allineati con risarcimenti stellari per i presunti casi di diffamazione dei potenti, passando per quella contro il rumore molesto dei muezzin che chiamano alla preghiera i Fratelli Musulmani. A sponsorizzare queste misure con una proposta di legge è una deputata di origine russe, ex miss San Pietroburgo, il cui nome è Anastasia Mikhaeli.
Alla vigilia del vertice previsto per oggi tra la Russia e l’Unione Europea, il Parlamento di Strasburgo ha chiesto che si tengano “nuove e giuste elezioni” dopo quelle, contestatissime, della Duma due settimane fa. Lo racconta La Stampa, spiegando che il presidente dell’Ue Van Rompuy si è impegnato a sollevare il problema nel suo incontro con il presidente Medvedev.
E poi
Valerio Onida, sul Corriere della Sera, torna sul dibattito sullo “stato di eccezione” e la “emergenza costituzionale” evocata da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sullo stesso quotidiano qualche giorno fa. Onida non condivide la lettura del politologo, e scrive che “il Parlamento continua ad esercitare tutte le sue competenze”, e il governo Monti è stato nominato “a seguito delle dimissioni del precedente per lo sfaldamento della sua maggioranza”. Esercita “i suoi poteri tipici”, compreso quello di fare decreti legge. Il Presidente della Repubblica “ha un ruolo definito dalla Costituzione in modo alquanto elastico” che tuttavia “non gli consente di sostituirsi” al Parlamento o al Governo. E anche l’idea del presidente come “motore di riserva” allude alla “elasticità di fatto” del ruolo del capo dello Stato, e non tanto ad una sostituzione di esso agli altri organi, secondo l’antica versione di Capo dello Stato come ‘reggitore dello Stato nelle crisi di sistema’”. Onida conclude che “l’influenza esercitata con i poteri costituzionali” dal Presidente non deve essere evocata per auspicare “il superamento del sistema parlamentare” verso “un assetto nel quale gran parte dei poteri si concentrino in un capo dell’esecutivo scelto direttamente dagli elettori: concezione non nuova ma più povera della democrazia”.
Su Il Giornale un intervento di Magdi Cristiano Allam, che ha deciso di abbandonare il Partito Popolare Europeo: a questo partito contesta posizioni pubbliche a favore della libertà di voto su temi eticamente sensibili, il sostegno alla centralità dell’Euro con la prospettiva di una Europa dei banchieri, l’appoggio a regimi militari e poi agli integralisti islamici sull’altra sponda del Mediterraneo, spintosi “fino a far aderire nel PPE il Partito per la giustizia e lo sviluppo di Erdogan, diventando di fatto il suo principale alleato per l’ingresso della Turchia nell’Ue.
DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini