Le aperture
Il Corriere della Sera: “Lavoro e giudici, la sfida di Renzi. Verso un decreto sull’articolo 18. E avverte i magistrati: gli avvisi di garanzia non ci condizionano”. “Parlamento nel caos alla Consulta, altro stop per Violante e Bruno”.
A centro pagina: “Truppe di terra per piegare l’Isis. L’idea allo studio, iniziati i raids”.
E poi: “La famiglia e le aperture del Papa. Il libro critico di cinque cardinali. Verso il Sinodo, la presa di distanza dalla linea di Kasper al Concistoro”.
In prima anche un reportage dal “confine (possibile) della Scozia”, alla vigilia del referendum.
La Repubblica: “Renzi: via l’articolo 18 per decreto. Caos Consulta, altra fumata nera”, “Il premier: riforme o si va al voto. Scontro con i giudici. I franchi tiratori affondano Violante e Bruno”.
Di spalla a destra: “Usa, pronte truppe di terra per fermare i boia dell’Isis”, “Ma Obama per ora frena. Bombe su Baghdad. Al Qaeda si allea al Califfo”.
A centro pagina, una vicenda di cronaca: “Spinge l’ex fidanzata dall’ottavo piano: muori con me”, “Milano, lei (19 anni) attirata nella trappola. Lui (20 anni) lascia lettera shock: deve soffrire”.
La Stampa: Lavoro, l’affondo di Renzi”, “’Oggi sistema da apartheid, il Parlamento decida o faremo un decreto’. Giudici costituzionali, niente quorum per la nomina di Bruno e Violante”.
Sotto la testata: “Scozia, il grande sogno dei nazionalisti: saremo come la Norvegia”, “Il fronte del sì: petrolio e Stato sociale”.
A centro pagina: “Adesso il mondo si scopre meno affamato”, “Il rapporto della Fao e della altre agenzie Onu: ma sono ancora 850 milioni le persone malnutrite”.
Il Sole 24 Ore: “Renzi: nel Jobs Act per superare l’articolo 18. Stop alla reintegra e nella legge di stabilità più tutele”. “Il premier: pronti a un decreto. Mille giorni ultima chance per cambiare il Paese”.
Di spalla: “Tassa sulle successioni, spuntano gli aumenti. Obiettivo, un miliardo”. “Progetto in vista della legge di Stabilità”. “Modifiche alla imposta sulle eredità: cambieranno esenzioni e aliquote”.
A centro pagina: “Italia in recessione, Pil +0,5 nel 2015”. Si tratta delle stime “riviste” dal Centro studi di Confindustria. “La legge di stabilità deve trovare risorse per 15,9 miliardi”.
Il Fatto: Renzi minaccia le urne. E attacca i giudici come Craxi e B.”, “Come Bettino nel 1981 su P2 e Calvi, il premier contro le indagini su Eni ed Emilia: ‘Gli avvisi di garanzia citofonati ai giornali non cambieranno politica ed economia’. E intanto i frondisti di Pd e Fi bocciano di nuovo Violante e Bruno”.
In taglio basso, in riferimento ad una “lettera anonima” lasciata sulla scrivania del Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato,:violando la sicurezza degli uffici “Palermo, torna il corvo. Scarpinato nel mirino”, “’Lei sta esorbitando dal suo ruolo, lasci che le cose seguano il loro corso…Noi non facciamo eroi’: minacce ‘raffinatissime’ e dettagliate da chi conosce bene il magistrato del processo Mori, che indaga anche sui servizi”.
Il Giornale: “Renzi pichia, aria di voto. Attacca pm e sindacati, il discorso dei mille giorni fa infuriare la sinistra. Berlusconi serra le fila di Forza Italia: meglio prepararsi”. “Abbiamo un premier, ci manca un governo” è il titolo dell’editoriale di Vittorio Feltri.
A centro pagina: “Quegli italiani ‘scozzesi’ che tifano l’indipendenza”. “Highlander di casa nostra”, con le foto di Sgarbi, Borghezio, della scrittrice Michela Murgia e del giornalista Pierangelo Buttafuoco.
Articolo 18, Renzi
La Stampa sintetizza così il discorso sul programma dei “mille giorni’ pronunciato dal presidente del Consiglio a Camera e Senato: “Riforme o voto anticipato”. “Con i mille giorni si imposta un ragionamento che ci porta al 2018 -ha spiegato- a condizione di mettere in campo le riforme necessarie come Pubblica amministrazione, fisco, lavoro, giustizia,diritti civili, scuola, riforme istituzionali e elettorali”. Ha aspettato il secondo round, cioè il suo secondo intervento, quello al senato, per pronunciare quella che per il quotidiano è “la minaccia che serve a far tremare la sua maggioranza e le truppe del Cavaliere”. Poi ha spiegato che non si tratta di questo, ovvero di una minaccia delle urne: la fretta di approvare la nuova legge elettorale non era dovuta all’idea di andare al voto anticipato, ma a dare “dignità alle istituzioni”. Ma il senso del suo discorso è stato, secondo La Stampa, un “non sto qui a galleggiare e non vi permetterò di fare melina per ritardare la corsa delle riforme”. E questo lo si è capito dall’altro “colpo contundente”: l’avvertimento che non esiterà a ricorrere al decreto legge se la riforma del lavoro dovesse impantanarsi. Non meno “urticante” per una parte del suo stesso partito è stato l’affondo sulla giustizia, in riferimento all’amministratore delegato di Eni Descalzi, per esempio: “noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma quando arriva un avviso di garanzia al capo della prima azienda d’Italia che fattura miliardi, l’idea che uno scoop citofonato ai giornali comporti la fine di quell’azienda non è degna di un Paese civile”. Sul tema del lavoro “non possiamo perder un minuto di più”, ha detto, qualificando quello vigente in Italia come un sistema “basato sull’apartheid”. Alla pagina seguente, un approfondimento del quotidiano: “La sfida contro l’apartheid dei ‘lavoratori di serie B’”, “Meno della metà dei 22 milioni che hanno un’occupazione sono garantiti. Per il premier il problema è la semplificazione: il modello è quello danese”. Dove si evidenza che l’articolo 18, che impone il reintegro nel posto di lavoro ai sensi dello Statuto dei lavoratori, in caso di un licenziamento giudicato come illegittimo, interessa il 3% delle imprese, eppure tutela il 65% dei dipendenti. Il quotidiano interpella Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria: “Contratti a tempo indeterminato, ma non possiamo più permetterci alcune tutele dell’articolo 18”, bisogna lasciare le tutele per i licenziamenti con motivi discriminatori, ma sostituire il reintegro con un indennizzo per tutti gli altri casi.
La Repubblica, pagina 2: “Lavoro, la svolta di Renzi: ‘Riforma subito per decreto e via anche l’articolo 18’”, “Il premier ha deciso di varare il provvedimento a ottobre con la legge di Stabilità. Rivisti gli ammortizzatori sociali”. E il quotidiano cita un passo dell’intervento del presidente del Consiglio ieri: “L’obbligo del reintegro sarà sostituito da un indennizzo, tanto più alto quanto più alta sarà l’anzianità del lavoratore. Ma contestualmente modifichiamo e ridefiniamo gli ammortizzatori sociali e le politiche attive sul lavoro: la malattia, le ferie, la cassa integrazione, la maternità, le estendiamo a tutti”. Il modello -ha detto- sarà l”quello danese e socialdemocratico”, la “flexicurity”: che significa -spiega il quotidiano- flessibilità del posto di lavoro ma sicurezza del lavoratore, che sarà accompagnato dallo Stato e preso per mano finché non troverà un’altra azienda per ricollocarsi. Sulla stessa pagina, intervista a Stefano Fassina, sottosegretario all’Economia dimessosi in polemica con lo stesso presidente del Consiglio ed esponente della minoranza Pd: “Inaccettabile un diktat sullo Statuto”: “il governo -dice- si era impegnato su un contratto unico a tutele crescenti che disboscasse la giungla di contratti precari e che finanziasse l’estensione dell’indennità di disoccupazione ai precari che oggi ne sono esclusi. Invece approdiamo all’emendamento Sacconi-Ichino che mantiene tutte le forme contrattuali precarie e cancella le tutele”. Alle pagine seguenti, i lettori troveranno anche due interviste a confronto sul tema: Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, dice che “il blitz del decreto contro l’articolo 18 nasce dal diktat di Bce e Bruxelles” e che del contratto a tutele crescenti si può discutere; Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica, plaude all’iniziativa del governo e sottolinea che le regole sul lavoro sono “anacronistiche”.
Fabrizio Forquet, che firma l’editoriale del Sole 24 Ore, commenta l’intervento del Presidente del Consiglio, e scrive che ieri Renzi è stato “più misurato del solito”, “non il guascone che alcuni annunciavano”, ma un premier “che ha rinunciato – forse ben consigliato – ai toni spavaldi verso l’Europa”. E la “vera novità” del suo discorso riguarda il “superamento della reintegra obbligatoria del lavoratore”, sul quale ha evocato “anche la possibilità di un decreto”, sia in Parlamento che soprattutto alla direzione serale del partito.. Il fatto è che l’eventuale abolizione dovrà accompagnarsi, nella Legge di Stabilità, alla ricerca delle risorse per un welfare più europeo, e dunque servono risorse. “Eppure Renzi ieri alle Camere ha sorprendentemente eluso il tema della manovra di bilancio e dei tagli da 20 miliardi che serviranno in gran parte (16 miliardi) a coprire misure esistenti” e poi “anche a trovare i fondi per la riforma degli ammortizzatori sociali”.
Sul Corriere si legge che l’ipotesi di un intervento per decreto sull’articolo 18 dello Statuto ha già pronto in risposta un “imponente fuoco di sbarramento” dalla Fiom, da tutti gli altri sindacati, dalla sinistra Pd. “Una delle poche voci fuori dal coro” è quella della direttrice generale di Confindustria Marcella Panucci.
Su Il Giornale si racconta “lo sconcerto dei compagni” del Pd, perché ieri il premier “ha colpito e affondato uno dietro l’altro, tra gli sguardi attoniti di molti dei suoi, i più radicati totem e tabù di sinistra”, dalla giustizia, su cui “il premier si è beccato un’ovazione trasversale, da molti (non tutti) i Pd fino a Forza Italia” al lavoro, su cui – dicono dal Pd – “‘Sopra le nostre teste, ha mandato fuori di qui – all’Ue, alla Confindustria, al centrodestra cui tocca applaudirlo – il messaggio che lui sta spazzando via le vecchie regole del mercato del lavoro'”. Secondo un altro anonimo ex PPI citato dal quotidiano “‘politicamente Renzi sta compiendo a tappe forzate una trasformazione gigantesca della sinistra. La sta svuotando dall’interno, rubandogli tutte le parole d’ordine e smontandone i capisaldi culturali. È lui il leader che in dieci minuti ci ha fatto entrare nel Pse – e noi ex Dc ci lecchiamo ancora le ferite – e che dopo le Europee si è addirittura intestato la leadership del Socialismo europeo. È lui che rilancia la Festa dell’Unità”, “promuove gli ex Pci”, “‘li rende inoffensivi, e rende impossibile la nascita di un’altra sinistra forte dentro o anche fuori dal Pd. E contemporaneamente impone una linea politica antitetica alla vecchia sinistra sui temi forti, dalla giustizia al lavoro'”.
Parma, Pd
“Salta la segreteria unitaria, i renziani restano nei posti chiave. La sinistra: ‘E’ ancora il suo staff”, “I bersaniani entrano con Amendola e Campana, i cuperliani con De Maria, ma contestano il leader e si tengono le mani libere. In tutto 8 donne e 7 uomini”.
Per La Stampa: “Varata la segreteria ‘plurale’”, “Otto donne e sette uomini. Rappresentate tutte le correnti, tranne i civatiani. Prima riunione domani all’alba”.
Sulla stessa pagina, le elezioni provinciali a Parma, città di cui è sindaco “l’eretico” M5S Federico Pizzarotti: “Parma, accordo tra M5S e Pd. Pizzarotti: ‘Scelta responsabile’”, “Nel listone anche il centrodestra: ‘Dobbiamo dialogare’”.
La Repubblica: “Parma, Pizzarotti sfida Grillo, il M5S appoggia il Pd e torna il rischio scissione”. Al centro della polemica, l’appoggio al candidato democratico alla Provincia emiliana.
Il Fatto: “Pizzarotti in lista con il Pd. Rischio scissione nei 5 Stelle”, “IL sindaco di Parma pronto a candidarsi come consigliere provinciale assieme ai Dem e al centrodestra. Potrebbe essere espulso dal movimento”.
Sul Corriere si riferisce che sul suo blog Grillo aveva scritto: “‘Non cediamo e non ci facciamo lusingare dalla prospettiva di acquisire poltrone: non presenteremo alcuna candidatura’. “Nelle stesse ore, e la coincidenza è tutt’altro che casuale, è andata in scena una vera e propria rivolta contro Grillo e Casaleggio da parte di un nutrito numero di parlamentari ed esponenti grillini (tra i quali lo stesso Pizzarotti) che hanno pubblicamente annunciato che ‘non faranno campagna elettorale per le prossime Regionali’ per protestare contro ‘le sconcertanti’ modalità e ‘l’assenza di confronto’ che stanno caratterizzando in Emilia le primarie online svoltesi ieri per la scelta dei candidati alle Regionali del 23 novembre – si legge sempre sul Corriere -. Una ribellione che nasce dall’esclusione dalla lista dei candidabili del capogruppo regionale Andrea Defranceschi (unico grillino rimasto in Regione dopo l’espulsione di Favia), vittima di una nuova norma introdotta dalla coppia Grillo-Casaleggio secondo la quale non possono correre alle elezioni, non solo coloro con carichi pendenti, ma anche chi è iscritto nel registro degli indagati.
Elezioni?
Sul Corriere Massimo Franco, che firma l’editoriale, scrive che “saebbe ingiusto sostenere che ieri in Parlamento Matteo Renzi abbia aperto la campagna elettorale”, ma resta “il problema di quello che farà qualora non riuscisse ad agguantare alcuni degli obiettivi indicati”, ed è comunque “significativo che dopo i suoi discorsi a Camera e Senato, il premier si sia dovuto affannare a negare di avere evocato elezioni anticipate”. Insomma: se non sono un obiettivo, resta l’impressione che le elezioni siano “una tentazione intermittente, che spiega l’oscillazione tra dialogo e sfida frontale con gli interlocutori”.
Sul Sole Stefano Folli scrive che “il motivo conduttore” dell’intervento di Renzi in Parlamento è stato quello del “consenso”. E nel suo discorso diceva che “il voto ci sarà se il Parlamento non farà le riforme. Quindi lo scioglimento delle Camere come arma di pressione sui soliti, riottosi parlamentari (che peraltro, almeno al Senato, hanno votato in modo disciplinato il proprio auto-affondamento). Inutile negare che esista un certo tasso di ambiguità in questo passaggio, per cui è strano semmai che il premier si meravigli dei titoli dei siti ‘online’ dedicati all’ipotesi elettorale”. Renz è “stretto in una tenaglia”, tra il consenso di cui gode e il rischio che la sua popolarità possa declinare con la situazione di recessione che vivel’Italia. Quanto alla “accelerazione sul lavoro è un messaggio al mondo produttivo, ma anche un segnale al suo partito”.
Su Europa Stefano Menichini scrive che “ricavare dal discorso di Renzi ieri alla camera che il premier voglia andare a elezioni anticipate e che stia facendo aperture a Forza Italia, oltre a essere chiaramente contradditorio denuncia scarsa conoscenza di Renzi e incomprensione dei suoi reali obiettivi”.
Isis
“Raid a sostegno delle truppe. Obama passa all’offensiva”, “Blitz vicino a Baghdad. Il Pentagono: possibile invio di soldati al fronte”, titola La Stampa. Il corrispondente da New York Paolo Mastrolilli riferisce che al Senato Usa si è tenuta l’audizione del segretario alla Difesa Hagel e del generale Dempsey, capo degli Stati maggiori riuniti, alla vigilia del voto che oggi dovrebbe autorizzare lo stanziamento di 500 milioni di dollari per armare ed addestrare l’opposizione siriana. Dempsey ha detto che condivide la strategia di creare una coalizione internazionale, perché senza la presenza dei Paesi arabi sarà impossibile sconfiggere l’Isis: “ci sono alleati degli Usa che lo hanno finanziato”, ha spiegato. Nello stesso tempo, però, ha sottolineato che, se la nuova offensiva fallisse, in particolare in Siria, “tornerei dal presidente a chiedere di usare le truppe di terra”. Dempsey si riferiva ad azioni mirate contro obiettivi Isis, e presenza di consiglieri Usa nei reparti alleati che combattono sul terreno: “Il presidente mi ha detto di tornare da lui, caso per caso”. Su La Repubblica: “Il Pentagono: ‘Pronti a inviare soldati’. Al Qaaeda: ‘Jihadisti, uniti contro gli Usa”. E lo “scenario” viene tracciato da Federico Rampini: “Obama e quell’ultimo tabù. Con le operazioni di terra torna l’incubo Vietnam”.
Sul Corriere: “‘Possibili truppe di terra. Il Pentagono ora considera l’escalation contro l’Isis. Ma la Casa Bianca frena: non è nostra intenzione”. Dove si dà conto della audizione ieri del Capo di Stato Maggiore Martin Dempsey, ieri insieme al segretario alla Difesa Hagel, sollecitato dalle domande del senatore McCain. Dempsey ha detto che le cose con l’Isis potrebbero mettersi male, potrebbe non bastare il supporto dall’alto ai combattenti curdi, e dunque potrebbe essere necessario un impiego di soldati sul terreno in Iraq. “Se sarà necessario suggerirò al Presidente di cambiare rotta”, ha detto.
Su La Stampa Maurizio Molinari: “Patto con Al Qaeda e reclutamenti globali. Il Califfo blinda la jihad”, “Per resistere, una rete che va dal Marocco all’Asia”. Al Qaeda nella Penisola arabica e Al Qaeda nel Maghreb islamico, le due organizzazioni più agguerrite di Al Qaeda, in un comunicato congiunto hanno offerto un patto d’alleanza al “secessionista” Al Baghdadi, che guida l’Isis: chiedono ai 2fratelli jihadisti” di “cessare di ucciderci l’un l’altro per unirci contro la campagna americana e la diabolica coalizione che ci minaccia”, “Washington guida una nuova crociata contro tutti i musulmani e dobbiamo combattere assieme”. Per Al Baghdadi, sottolinea Molinari, è un risultato importante, perché Al Qaeda finora non ha riconosciuto il suo Califfato e se Al Zawahiri, il capo di Al Qaeda, ha autorizzato questa apertura, è perché Isisi sta dimostrando di saper edificare una “coalizione jihadista globale” mietendo adesioni proprio tra i fedelissimi della centrale afghano-pakistana. Il caso più eclatante è Gouri Abdelmalek, capo militare di Al Qaeda nel Maghreb islamico, che all’inizio di questa settimana ha annunciato la nascita dei Soldati del Califfato in Algeria, trasferendosi al servizio di Al Baghdadi. Nelle settimane precedenti il Califfo aveva incassato la fedeltà di tre cellule di Al Qaeda in Marocco e gruppi salafiti in Giordania. Ma soprattutto, in agosto, dal Sinai era arrivata l’adesione da parte di Bayt al Maqqdis, i jihadisti del Sinai.
Da La Repubblica segnaliamo il “dossier” firmato da Ettore Livini: “Rapimenti, petrolio e reperti archeologici, ecco il tesoro del ‘Califfato spa’”, “Un territorio con 8 milioni di abitanti e un esercito di 30mila ‘soldati’. Ma soprattutto denari in contanti e greggio. L’Is è un’azienda del terrore che fattura tra i 2 e i 3 milioni di dollari al giorno”.
E poi
Sul Corriere si parla di un “volume molto atteso in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia”. Il titolo è “Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica”, e riunisce “gli scritti di cinque cardinali e di altri quattro studiosi, in risposta a quanto sostenuto nella relazione tenuta da un altro cardinale, Walter Kasper, su incarico di papa Francesco davanti al Concistoro straordinario del 20 e 21 febbraio. Allora, Kasper aveva lanciato un appello affinché la Chiesa armonizzasse ‘fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo ai divorziati risposati con rito civile'”, il libro “costituisce una netta chiusura” alle tesi di Kasper. Tra i cinque autori c’è Gerhard Ludwig Müller, ovvero il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nominato da Papa Benedetto XVI, nel 2012, e fatto cardinale nel Concistoro di febbraio. Gli altri sono cardinali Raymond Leo Burke, prefetto della Segnatura apostolica; Walter Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Comitato di scienze storiche; Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna”.
Sull’Ucraina, Il Sole: “In vigore l’accordo di associazione tra Kiev e Bruxelles. Ma sul commercio è rinvio”. Il quotidiano scrive che l’Ucraina ha compiuto un passo verso l’Europa, uno verso la Russia e uno verso i separatisti. La parte commerciale dell’accordo è sospesa fino al 1 gennaio 2016, e il quotidiano scrive che al cosa è stata considerata “un tradimento” dai nazionalisti ucraini. Il passo verso i ribelli è l’approvazione, sempre ieri, della legge sullo status speciale delle regioni dell’Est, che concede autonomia al Donetsk e al Luhansk.
Sul Corriere: “Accordo tra Ue e Ucraina, il sì di Strasburgo e Kiev. Approvata anche l’autonomia dell’est russofono”. Il quotidiano aggiunge che la situazione al fronte non è tranquilla: ieri la Nato ha stimato in circa mille i soldati russi ancora oggi impegnati sul fronte militare all’interno dell’Ucraina.
Sulla Scozia, sul Corriere: “Unione o secessione, le tre donne che guidano la caccia all’ultimo voto”. Dove si scrive che “gli elettori” avrebbero già deciso cosa votare, mentre un “margine di incertezza” sarebbe nelle mani delle elettrici donne. Ieri un sondaggio diffuso dal Teleraph diceva che le donne sarebbero in maggioranza favorevoli a restare nella Gran Bretagna.
Le tre donne sono Nicola Sturgeon,avvocatessa indipendentista, dello Scottish National Party, Johan Lamont, insegnante e laburista, e Ruth Davidson, conservatrice lesbica che pratica il kickboxing.