La doppia sfida di Letta

Le aperture

Il Corriere della Sera: “’No al conflitto permanente’. Letta difende le larghe intese e spinge per la riforma elettorale. L’intervento a Rimini: basta con l’ossessione del nemico. I timori di una crisi di governo”.

La Repubblica: “Letta accelera: via il Porcellum. Stop a Berlusconi: guai a chi ferma il cammino del governo, l’Italia lo punirà”. “Il premier dopo il ricatto del Pdl striglia i ‘professionisti del conflitto’.’A ottobre la nuova legge elettorale’. Cresce l’ipotesi crisi”. A centro pagina: “Strage in carcere tra i Fratelli Musulmani. L’esercito minaccia: ‘Non avremo pietà’”. Per tornare alla politica interna: “Kyenge: basta Bossi-Fini. Ma la destra: non si tocca”.

La Stampa: “La doppia sfida di Letta. ‘Via il Porcellum, basta conflitti’. Berlusconi: presto un discorso sulla giustizia. Il premier al Meeting: gli elettori puniranno chi ha interessi di parte. Napolitano: Europa unita o perderà peso”. Di spalla l’Egitto: “L’ultimatum di Al-Sisi

Il Giornale: “Adesso Letta ha paura. Berlusconi non molla e smonta i piani della sinistra. Il Pd è nel panico e il governo si arrampica sugli specchi. Le toghe si tradiscono: ‘I provvedimenti? A nostra discrezione’”. A centro pagina da segnalare una intervista al membro del Csm Niccolò Zanon: “’La legge Severino fa acqua ovunque’”.

L’Unità: “L’Italia non è ad personam. Letta risponde alle minacce Pdl al meeting di Rimini. ‘Il Paese viene prima degli interessi di parte’.’Nessuno interrompa la speranza di uscire dalla crisi’. ‘Entro ottobre faremo la nuova legge elettorale’. Il Cavaliere ai militanti: vado avanti. La Santanchè contro la nota del Quirinale”. A centro pagina una intervista al Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza: “Carrozza: Così rilanceremo la ricerca’”.

Berlusconi, Letta

Ieri Enrico Letta dal podio del Meeting di Rimini ha difeso le larghe intese ed ha spinto per una nuova legge elettorale, scrivono tutti i quotidiani. Il Corriere sottolinea anche il “richiamo all’ala dura del Pd”, mentre La Stampa intervista Luciano Violante, che sulla legge elettorale dice: “L’accordo è possibvile, il Pdl non mandi tutto all’aria”.

Ieri ha parlato anche Berlusconi, intervene ndo via cellulare in vivavoce ad una manifestazione Pdl a Bellaria. “Gettare la spugna? Ma neanche per sogno! Un passo indietro con la prospettiva del pre-pensionamento politico? Mai e poi mai”. “Io resisto!”, non mollo. State tranquilli che non mi faccio da parte, resto io il capo del centrodestra. ”Faro’ sino all’ultimo l’interesse del Paese e degli italiani. Andate avanti con coraggio”.

Su Il Giornale Alessandro Sallusti firma il commento di prima pagina: “anche Letta ha capito che Berlusconi ha deciso di non arrendersi a Napolitano e ai magistrati, nessun passo indietro e neppure di lato. Piuttosto il carcere”.

Se cade il governo si dovrà andare al voto? La Repubblica intervista Vito Crimi, del movimento 5 Stelle: “Abbiamo accumulato un po` di esperienza, siamo più sicuri di noi stessi. E allora diciamo: se cade il governo, Napolitano ci dia un mandato esplo rativo. Proponiamo due, tre, cinque punti base e poi si torna al voto. Siamo pronti”.

Da segnalare anche, su La Stampa, la riflessione di Giovanni Orsina: “Un compromesso per mettere fine alla ‘guerra civile’”. “Centrodestra e centrosinistra per uscire dallo stallo devono arrivare a riconoscere pari dignità allo schieramento opposto”.

Una pagina del Corriere della Sera si occupa della legge Severino, che prevede la decadenza per parlamentari che abbiano subito condanne oltre i due anni: “E’ applicabile o no? Sulla decadenza i giuristi si dividono. Sì per Onida, no per Armaroli”. Si propongono i pareri di Giovanni Guzzetta, Paolo Armaroli, Cesare Mirabelli e Valerio Onida. I primi due ritengono non applicabile la norma a Berlusconi, e anzi il primo sostiene che la legge Severino “ci procurerà una condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. La Corte Europea “guarda alla sostanza. Quella di non accedere ai pubblici uffici è decisamente una sanzione afflittiva e la norma è certamente retroattiva perché riguarda fatti precedenti la sua entrata in vigore. Quindi viola la Convenzione europea della quale lo Stato deve tenere conto. E secondo me ci potrà essere ricorso alla Corte Costituzionale”. Secondo Cesare Mirabelli invece la legge Severino non prevede sanzioni penali accessorie ma “viaggia per conto suo, prevedendo alcuni requisiti per chi voglia candidarsi in Parlamento, che si applicano anche a chi già vi siede. Non la applica un giudice in sede di condanna ma la legge disciplina autonomamente l’ineleggibilità a determinate cariche”.

Lo stesso quotidiano intervista il presidente emerito della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti. Dice che la norma è “chiarissima”, ma “ci sono problemi interpretativi perché non ci sono precedenti”. Capotosti dice che tuttavia il “problema è mal posto”, perché l’incandidabilità, “non prevista dalla Costituzione”, dovrebbe essere ricondotta “sebbene sia più dura”, alla “grande famiglia dell’ineleggibilità e nettamente distinta dalla interdizione dai pubblici uffici che ha una portata molto più ampia nelle restrizioni che impone”. Mentre l’intedizione è “una sanzione di carattere penale”, l’incandidabilità “credo sia solo una misura limitativa dell’elettorato passivo”. Capotosti afferma anche che la legge Severino contiene una criticità proprio per il fatto di prevedere l’incandidabilità, che è “una misura che incide sul diritto costituzionalmente tutelato ad accedere a cariche elettive, e quindi la sua applicazione dovrebbe essere disposta da un giudice”, non dall’ufficio centrale elettorale.

Su Il Giornale viene intervistato Nicolò Zanon, membro del Csm: “Il testo Severino fa acqua Dubbi sulla costituzionalità. Il membro del Csm Zanon sulla questione della decadenza. ‘La Giunta sollevi il problema. La questione non è Berlusconi ma i rapprti tra poteri in uno Stato di diritto”. “C’è il rischio che i giudici decidano chi va eletto e chi no”.

Egitto

L’inviato al Cairo de La Stampa racconta “il pugno del generale” al Sisi. “Falliscono i cortei pro-Morsi al Cairo, scontri in provincia. Al Sisi: unirò il Paese, c’è posto per tutti. El Baradei va a Vienna”. Ieri 36 detenuti sono morti, uccisi a seguito di un tentativo di fuga durante un trasferimento in carcere. Un retroscena del quotidiano, da New York, spiega “quelle trattative fallite e le pressioni di Israele”. Usa ed Ue hanno “cercato in tutti i modi di fermare la violenza in Egitto, con pressioni e mediazioni di ogni genere. Pensavano anche di essere arrivati a un passo dall’accordo, ma poi si sono visti sbattere la porta in faccia dai militari, convinti che non avrebbero subito conseguenze serie per la scelta della linea dura contro i Fratelli Musulmani”. E’ quel che si è letto nei giorni scorsi sul New York Times e il Washington Post.

La Repubblica intervista lo scrittore Khaled-Al-Khamissi,”best seller nel mondo rabo e in Europa”, che dal Cairo dice: “Lo sgombero dei Fratelli Musulmani in un certo senso è una vittoria”. “Lo stato di polizia e i Fratelli Musulmani rappresentano gli antipodi della rivoluzione. Dopo il febbraio 2011 siamo stati governati dalla giunta militare. Poi abbiamo vissuto l’incubo della Confraternita. Oggi l’esercito torna al potere”. “Mettiamola così: i militari hanno un potere dimezzato. Infatti, se da un lato riporteranno l’ordine nel Paese, liberandolo delle armi che circolano in entrambi gli schieramenti, dall’altro lato saranno costretti a governare con esponenti della rivoluzione del 2011 insediati in incarichi ministeriali. In più, una quantità di piccoli partiti si sta formando nella società e conquista terreno”.

L’UNità intervista Mahmoud Badr, giovane leader del movimento Tamarod, all’origine delle proteste anti-Morsi. “Non è un golpe ma il secondo atto della rivoluzione”. “I morti, prezzo alto ma accettabile per evitare la dittatura islamista”. Sulle centinaia di morti: “E’ un prezzo duro, lo so bene, del quale avremmo fatto a meno, ma tuttavia è un prezzo ‘accettabile’ per evitare che l’Egitto sia portato alla rovina dai Fratelli Musulmani con conseguenze devastanti per tutti”. Badr dice che quello in corso “non è un golpe militare ma la seconda fase di una rivoluzione iniziata due anni fa. Coloro che combatterono allora il regime corrotto e dispotico di Hosni Mubarak in nome della libertà, dei diritti civili, del pluralismo e della trasparenza sono gli stessi che sono tornati in piazza prima e dopo il 3 luglio per dire no alla dittatura islamista che Mohamed Morsi e i Fratelli Musulmani stavano mettendo in atto”.

Sullo “scontro confessionale” in Egitto (“Ora i salafiti si fanno avanti. E riparte la faida tra sunniti e sciiti”), segnaliamo un intervento di Roberto Tottoli, sul Corriere della Sera. Una mappa che va dalla Turchia all’Afghanistan illustra le percentuali di sciiti e sunniti nei Paesi del Medio Oriente, e lo studioso spiega che in NordAfrica (Egitto, Tunisia Libia) i partiti espressione dei Fratelli Musulmani vacillano, subiscono attacchi da laici e salafiti, che ne contestano titubanze e indecisioni. La reazione delle altre forze in campo e i propositi liquidatori dell’esercito egiziano generano dubbi sempre maggiori sul loro futuro politico”. Ma in Nordafrica, come in Egitto, l’eventuale ridimensionamento della Fratellanza Musulmana non sarà la fine dell’islam politico, e non potrà che essere rafforzata la componente salafita, “espressione di un Islam più attento a questioni di purità ed etichetta personale che non a proclami collettivi. Accompagnati dai soldi sauditi, e del Golfo, hanno capacità di penetrazione capillare, e rappresentano sotto molti aspetti una forza post-politica, in chiave islamica, che punta apparentemente più alla fede di esingoli che alla presa del potere”. Sul versante asiatico invece si vive una “condizione diversa” quella del “secolare contrasto tra sciiti e sunniti”.

Anche Renzo Guolo su La Repubblica si sofferma sulla “Fratellanza a rischio qaedista”, e scrive che “lo scacco subito” dai Fratelli Musulmani in Egitto “non può che rilanciare le tesi sconfitte dalla Fratellanza nel 1969, quando l’allora guida Hudaybi sconfessò l’eredità di Sayyd Qutb, ideologo del gruppo e sostenitore della tesi secondo cui la società egiziana era jihailita, preislamica. Un giudizio che legittimava il jihad contro il potere empio e quanti, tra i musulmani, lo sostenevano. Non a caso da quella frattura ideologica nasce lo jihadismo egiziano, prodotto delle scissioni di piccoli gruppi fautori della lotta armata come atto fondativo dello Stato islamico”. “Ora la brutale fine della esperienza di Morsi e la repressione che ne è seguita rischia di segnare la fresca cultura politica della Fratellanza, inducendo alcuni suoi settori minoritari ad ascoltare le sirene delle correnti islamiste più radicali. Correnti convinte che non sia possibile alcuna via diversa dall’islamizzazione dall’alto, pervase da una sorta di leninismo religioso attratto alla spirale azione-repressione-insurrezion e come levatrice di un ‘autentico’ stato islamico”.

E poi

Da segnalare su L’Unità il ministro Maria Chiara Carrozza, che commenta anche i dati dell’ultima classifica intenrnazionale degli atenei, che continuano a considerare le nostre università in coda. “Il 2014 sarà l’anno dei giovani ricercatori”, il titolo della intervista.

redazione grey-panthers:
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